La città europea ha costituito per molti secoli il grande incubatore della storia umana. Attraverso le reti di relazioni che tendevano a manifestarsi grazie ad una ri-configurazione ininterrotta delle trame urbane, l’ordinamento sociale si è modificato ad un ritmo accelerato, e ogni sistema insediativo ha finito per rappresentare una lente deformante attraverso la quale osservare e interpretare le metamorfosi che caratterizzavano nel corso del tempo gli stili di vita, le pratiche e i comportamenti degli individui, il modificarsi dei rapporti di reciprocità che si manifestano nella vita quotidiana (Toti 2020).
Naturalmente la città costituisce tuttora il centro propulsore dello sviluppo economico, sociale e culturale del nostro continente, ma dobbiamo prendere atto che soprattutto le aree più densamente popolate hanno ormai smarrito la capacità di favorire l’aggregazione e l’inclusione sociale, e in un prossimo futuro potrebbero sottrarsi a quel fondamentale ruolo di ‘costruzione’ della coscienza collettiva che hanno svolto per secoli.
Questa abdicazione ad un compito fondamentale per lo sviluppo della capacità di adattamento ai cambiamenti sociali e alle nuove sfide della società contemporanea avviene paradossalmente proprio ora che la condizione urbana tende a costituire uno dei caratteri dominanti del nostro continente. Nell’Unione europea oltre due terzi della popolazione vivono ormai all’interno di contesti antropizzati, e a ciò corrisponde una analoga concentrazione dell’85% del Pil e di circa l’80% dei consumi energetici.
Dal momento che la socializzazione ha un impatto significativo e riconosciuto nella formazione dell’identità delle comunità locali, la crisi dei processi di integrazione e di inclusione sociale rischia di tradursi al tempo stesso in una profonda alterazione dei processi identitari e in un incremento progressivo della conflittualità urbana.
I principali punti di crisi sono costituiti in primo luogo dal deterioramento dei rapporti tra il centro e la periferia, e di conseguenza da una crescente polarizzazione sociale, sospinta dalla deindustrializzazione, e da processi di globalizzazione sempre più estesi che hanno svuotato interi comparti urbani di attività produttive e di dotazioni urbanistiche che avrebbero potuto svolgere un ruolo essenziale nel favorire il miglioramento della qualità urbana e l’aumento della coesione sociale.
Tra le dinamiche fra centro e periferia che la crisi postindustriale ha accelerato in seguito alle riconversioni di interi quartieri periferici o di ambiti specifici delle aree centrali si registra un impulso crescente alla gentrificazione, e cioè alla ‘colonizzazione’ di aree urbane degradate da parte di persone o di nuclei famigliari economicamente abbienti. Il costo di tali processi è l’espulsione delle popolazioni insediate, l’aumento geometrico dei valori immobiliari e il mutamento radicale della sua composizione sociale.
La globalizzazione sta creando pertanto un nuovo ceto emergente costituito da managers, politici, scienziati, artisti, persone dello spettacolo e dello sport che rappresentano una borghesia cosmopolita che si muove con disinvoltura e segna con la sua presenza le città globali. In modo del tutto speculare sono ancora le città ad assorbire la quota più cospicua dell’emigrazione che proviene dal Sud del mondo; la mobilità territoriale riguarda dunque gli estremi delle classi sociali: da una parte la borghesia globalizzata, dall’altra le persone che fuggono dalla miseria e dalle guerre e che si insediano nei tessuti urbani preesistenti, spesso colpiti dalla deindustrializzazione e dalla perdita di coesione sociale.
Se è accaduto sovente che le politiche pubbliche abbiano tentato di contrastare i processi di marginalizzazione e di ghettizzazione, l’attuale polarizzazione del benessere economico, una crisi apparentemente irreversibile del sistema del welfare e un’Unione europea sempre più allarmata dall’ingresso di consistenti flussi di migranti ci spingono a guardare con preoccupazione al futuro della città nel nostro continente. Ciò, soprattutto, se proviamo ad integrare una lettura più convenzionale e ormai condivisa dei processi di urbanizzazione con altre tracce interpretative offerte più recentemente dalla ricerca di settore.
È questo il caso, ad esempio, della possibilità di tener conto dei mutamenti avvenuti a seguito della emersione in Occidente del fenomeno della planetary urbanization studiato a partire dalle intuizioni di Brenner (2014) e Schmid. Uno schema insediativo, quest’ultimo, che anche in Italia sembra caratterizzarsi per il passaggio da un modello di città metropolitana che teneva conto dell’impulso alla agglomerazione delle aree contermini ad un polo urbano attrattore, a un paradigma assai più complesso, che tende viceversa ad organizzarsi prevalentemente per corridoi urbani, che costituiscono elementi di connessione territoriale che partecipano ad una geografia dei flussi materiali e immateriali.
In un contesto che è ormai congeniale alla metamorfosi dello stesso
concetto di cittadinanza, dovremo tener conto dei mutamenti prodotti dalle tecnologie della comunicazione e dell’intelligenza artificiale nella effettiva fruizione della offerta culturale e delle dotazioni urbanistiche da parte degli abitanti delle nuove metropoli.
Con qualche sostanziale analogia con le considerazioni che abbiamo sviluppato in precedenza a proposito dei processi di discriminazione sociale prodotti dalla gentrification, la ‘città intelligente’ sembra dunque destinata a favorire una corrispondente polarizzazione, che rischierà di accentuare ulteriormente il divario tra un ristretto numero di cittadini e soggetti politici ed economici che sono in grado di possedere e/o controllare i nuovi apparati tecnologici, e una vasta comunità che ne risulta esclusa. In questa transizione da una prima ad una seconda modernità, le aree urbane fondate sull’economia della conoscenza tendono ad acquisire un ruolo guida in questo processo dicotomico, e potranno offrirci informazioni importanti in relazione agli effetti sociali di questa trasformazione, ma dobbiamo aspettarci al tempo stesso una serie di conseguenze negative per i gruppi sociali più deboli come gli anziani, i migranti e i lavoratori non qualificati, che saranno oggetto di ulteriori fenomeni di emarginazione (Cavalca 2010).
A fronte di una città contemporanea che non riesce o non vuole dotarsi dei fondamentali strumenti dell’empowerment e della partecipazione attiva dei cittadini, acquista una notevole importanza la riflessione che sta caratterizzando l’attuale dibattito scientifico sulla crescita tendenziale delle disuguaglianze in età contemporanea (Perocco 2018), e di conseguenza anche la discussione che si è svolta a Napoli dal 22 al 24 aprile 2024 nell’ambito della XIV Biennale delle città e degli urbanisti europei che l’Inu ha organizzato insieme all’ECTP-CEU. A partire dal titolo scelto dagli organizzatori (Inclusive cities and regions), una vasta ed attenta platea di urbanisti e di ricercatori proveniente da numerosi Paesi europei ha discusso gli oltre 400 contributi pervenuti al comitato scientifico, spingendosi ad immaginare con un certo ottimismo un domani differente, in cui una significativa tendenza al recupero della città pubblica, pur episodica ed eterogenea, possa contribuire ad un cambio di paradigma, in grado cioè di garantire l’integrazione sociale e di rimettere in moto le energie migliori della società. Per uscire dalla crisi – se almeno seguiamo questa chiave di lettura – è dunque necessario correggere la stessa idea di città, non solo ricostruendo gli spazi di uso pubblico e riformando gli strumenti del welfare urbano, ma anche individuando alcuni possibili percorsi che potrebbero essere adottati per rendere la società urbana più equa e coesa.
Riassumendo le principali suggestioni che abbiamo raccolto nelle giornate della Biennale, possiamo evidenziare come da una riflessione iniziale sui valori e i significati da porre alla base degli obiettivi della riqualificazione e della rigenerazione urbana e territoriale, discenda un vasto campo di proposta e di sperimentazione, in cui si collocano le iniziative europee più promettenti in materia di politiche pubbliche orientate al benessere e alla inclusione sociale dei cittadini. Si tratta in particolare di provvedimenti e programmi a medio e lungo termine che riguardano: a) il perseguimento di obiettivi fondamentali di sicurezza e benessere urbano; b) il contenimento del consumo di suolo; c) la realizzazione di azioni di contrasto nei confronti del cambiamento climatico; d) il potenziamento della mobilità sostenibile; e) il miglioramento delle condizioni di accessibilità alla città pubblica; f) l’elaborazione di politiche indirizzate a favorire l’inclusione sociale e a superare i principali fattori di segregazione; g) la realizzazione di interventi finalizzati a migliorare il coinvolgimento dei residenti nella individuazione degli obiettivi delle politiche urbane e dei processi decisionali.
Grazie al prezioso apporto di quanti hanno contribuito alla organizzazione e al successo della XIV Biennale, [1] la discussione che si è sviluppata in queste intense giornate ha posto le premesse per il consolidamento dei rapporti di collaborazione e di confronto tra l’Inu e le altre associazioni europee anche oltre alle tradizionali occasioni di contatto già offerte dalla comune adesione al Consiglio europeo degli urbanisti. Almeno in prospettiva questo network internazionale può rivelarsi prezioso non solo per favorire la condivisione di conoscenze ed esperienze nel campo della pianificazione, ma anche per porre le basi di nuovi partenariati e politiche europee finalizzati al rafforzamento dell’inclusione sociale e al miglioramento della capacità delle città europee di convivere con l’immigrazione.
Brenner N. (ed.) (2014), Implosions/Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, Jovis, Berlino.
Cavalca G. (2010), “Transizione post-industriale e cambiamento delle disuguaglianze sociali nelle principali aree urbane d’Italia”, Rassegna Italiana di Sociologia, a. LI, no. 3, luglio-settembre, p- 367-398.
Perocco F. (2018), “La crescita strutturale delle disuguaglianze nell’era neo-liberista”, in P. Basso, G. Chiaretti (a cura di), Le grandi questioni sociali del nostro tempo. A partire da Luciano Gallino, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, p. 55-86.
Toti A. M. P. (2020), “Inclusioni ed esclusioni sociali. Utopie e distopie della smart city”, Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, no. 3, p. 1-17.
[1] Nella impossibilità di ricordare in questa sede tutti coloro che hanno offerto il loro apporto al successo dell’iniziativa, mi limiterò a richiamare il fondamentale contributo di Francesco Domenico Moccia e Marichela Sepe, che hanno curato i rapporti con le istituzioni che hanno promosso la Biennale, e che hanno coordinato i comitati scientifici e organizzativi.