Quando, agli inizi del 2018, la Ministra Valeria Fedeli aveva promosso la revisione complessiva delle Classi dei Corsi di Laurea e di Laurea Magistrale, e aveva dato avvio ad un parallelo riesame dei Settori scientifico disciplinari (Ssd), a pochi era sfuggita l’incongruenza di tale iniziativa, che a cinque mesi di distanza dalla conclusione della legislatura intendeva dare impulso ad un progetto straordinariamente complesso ed ambizioso. Secondo le intenzioni della Ministra la comunità scientifica avrebbe dovuto effettuare una riflessione approfondita sui saperi, sulla loro classificazione e, soprattutto, sulle conseguenze che il nuovo assetto sarebbe stato in grado di produrre nei confronti della valutazione della ricerca universitaria, del reclutamento dei docenti e dell’avanzamento delle carriere. Il periodo immediatamente successivo ha ampiamente dimostrato la difficoltà di procedere in questa direzione.
È necessario sottolineare che, nonostante l’intitolazione altisonante di ’riforma dei saperi’, la deliberazione ministeriale mirava soprattutto ad una ’drastica semplificazione’ della attuale classificazione delle aree disciplinari in conseguenza delle mutate esigenze culturali e professionali della società contemporanea. Gli effetti di questa scrematura sembravano preludere pertanto ad una ulteriore contrazione dell’offerta formativa e, al tempo stesso, ad una adattabilità più accentuata delle Classi dei Corsi di Laurea, propedeutica ad una flessibilizzazione della docenza e, quindi, “ad una riduzione complessiva degli organici e alla dequalificazione del ruolo insostituibile svolto dai docenti universitari” (Rosati, Occelli e Marzo 2018).
A fronte dei contenuti più preoccupanti di questa proposta, la reazione di molte società scientifiche anche dell’area del progetto è stata sovente inadeguata, tradendo in più di un’occasione la tendenza a sottovalutare i rischi contenuti nel modello predisposto dal Cun e, contemporaneamente, ad utilizzare la competizione tra aree disciplinari contigue anche allo scopo di occupare posizioni di potere nella valutazione dell’attività dei docenti in vista del reclutamento o degli avanzamenti di carriera. Per quanto risultasse ormai evidente la necessità di una reazione di segno opposto a questo invito alla semplificazione, la discussione anche degli ultimi mesi non ha pertanto messo bene in luce l’esigenza di rispondere all’aumento di complessità dei processi di governo del territorio con un deciso ampliamento delle conoscenze, e con un arricchimento dei punti di vista utilizzati. Di conseguenza le società scientifiche hanno preferito dedicarsi ad una paziente attività di cesello nella predisposizione delle declaratorie dei Ssd da inviare al MIUR.
Rispetto al ruolo esercitato in molte aree disciplinari dalle società scientifiche è lecito sollevare qualche dubbio, soprattutto per quanto riguarda i risultati finora raggiunti che paiono troppo spesso inadeguati se non, almeno in parte, controproducenti. Oltre ai compiti più tradizionali di un’associazione che opera nell’ambiente universitario, e che dovrebbe promuovere l’evoluzione di una disciplina attraverso lo sviluppo di contatti, networking e spirito di appartenenza, si avverte in molti casi l’esigenza di iniziative più larghe nei confronti dell’opinione pubblica che raramente sono state adottate, ma che potrebbero essere in grado di aumentare la reputazione della ricerca scientifica, e la fiducia nei confronti delle applicazioni di una determinata disciplina a favore del benessere dei cittadini, dello sviluppo sostenibile e della rigenerazione territoriale e urbana.
Naturalmente non possiamo escludere che, in un prossimo futuro, possano maturare le condizioni per un accorpamento di alcuni Ssd esistenti ma una decisione di questa natura non dovrebbe prescindere da un esame preventivo delle motivazioni culturali di fondo, tali dunque da assicurare in ogni caso il rispetto di alcuni fondamentali requisiti:
* il mantenimento e la salvaguardia dei valori identitari e dei contenuti sostantivi di ogni disciplina sia nel campo dell’insegnamento, sia in quello della ricerca;
* la valorizzazione di approcci cognitivi fondati sulla multidisciplinarità e dunque tali da favorire la soluzione dei problemi di ricerca attraverso una composizione fondata sulle differenze che non annulli le rispettive individualità disciplinari ma le consideri piuttosto un arricchimento dei differenti punti di vista al fine di generare nuova conoscenza;
* la rivendicazione della specificità di una disciplina – quella urbanistica – riconducibile ad un vasto insieme di conoscenze, di pratiche e di strumenti applicativi, in cui l’ottimizzazione dei sistemi cognitivi si prefigge di rispondere alle esigenze dell’azione, della pianificazione e del progetto; ovvero di quel campo di studi applicati che ritiene che sia possibile migliorare la realtà mentre la si conosce (Saija 2016).Sia detto per inciso che, mentre le prime due questioni sono ormai condivise da una vasta comunità scientifica, il terzo paradigma deve ancora affermarsi pienamente nella cerchia assai più ristretta dei planners, che stentano a riconoscere che l’azione, almeno nel proprio specifico disciplinare, svolga un ruolo ordinatore nei confronti di funzioni cognitive fondamentali quali l’attenzione, la memoria e la volizione.
Non possiamo fare a meno di sottolineare a questo punto che orientamenti di questo tipo sono destinati ad incontrare ostacoli assai rilevanti in un panorama universitario che è ormai caratterizzato da una cronica contrazione di risorse e, di conseguenza, dalla progressiva riduzione degli insegnamenti proposti dai corsi di laurea in urbanistica e architettura. Ne consegue pertanto una crescente divaricazione tra la vocazione mono-disciplinare dei piani di studio, tuttora molto diffusa nell’università italiana, e l’esigenza di approcci inter e multidisciplinari, con i quali favorire una compiuta transizione da una nozione tradizionale di urbanistica – condizionata dal traino esercitato dai processi teorici di apprendimento – ad una concezione più aggiornata, applicata e performante del governo del territorio (Talia 2022a).
Verso un rinnovato impegno dell’Inu nella formazione degli urbanisti
Già nel maggio 2022 il mio testo di apertura del n. 302 di Urbanistica Informazioni era dedicato all’esigenza di una partecipazione attiva dell’Inu alla definizione dei nuovi profili tecnico-amministrativi, che fossero in grado di soddisfare quella domanda crescente di competenze specialistiche che era stata progressivamente alimentata dalle pratiche di governo del territorio (Talia 2022b), ma nel volgere di poco tempo questo quadro d’insieme sembra ormai superato. Nella situazione attuale l’impegno che avevamo profuso in quella direzione non sembra più sufficiente, anche perché le criticità registrate in molte aree del Paese durante l’attuazione delle misure adottate dal PNRR ci fanno ritenere che il coinvolgimento del nostro Istituto debba manifestare un autentico salto di qualità. Alle considerazioni che abbiamo proposto in precedenza in relazione agli esiti negativi palesati dalle istituzioni accademiche è possibile associare a questo punto la crescente difficoltà di riportare l’urbanistica e le attività di pianificazione e progettazione al centro del dibattito pubblico e di valorizzare ancora una volta l’attitudine della nostra disciplina a ispirare in egual misura competenza e passione civile. Tale obiettivo appare tanto più urgente se consideriamo che il rinnovamento del processo di pianificazione non può discendere solamente dalla approvazione di una legge innovativa di principi del governo del territorio – a cui pure stiamo lavorando, come è noto, con molto impegno – e che invece sarà necessario affiancare alla proposta di un nuovo quadro normativo una iniziativa culturale di lungo periodo, che contribuisca ad irrobustire il profilo tecnico-scientifico e operativo del planner.
In considerazione della rilevante complessità che le pratiche urbanistiche e i processi di pianificazione stanno sperimentando, le discipline del progetto non sembrano in grado di affrontare in piena autonomia le sfide molto impegnative con cui dovremo fare i conti in un prossimo futuro. Si avverte pertanto la possibilità che i traguardi più impegnativi richiederanno da un lato la ricerca di collaborazioni qualificate di saperi e di competenze differenti e dall’altro comporteranno la necessità di sottoporsi a programmi continui di aggiornamento e di formazione permanente che si renderanno indispensabili per integrare le competenze peculiari del pianificatore progettista con quelle dell’analista e del valutatore. Ne consegue evidentemente la necessità di affidarsi a percorsi formativi e di specializzazione a carattere interdisciplinare, con cui sviluppare l’inclinazione dell’urbanista a praticare terreni di frontiera tra profili specialistici eterogenei e differenti tradizioni di ricerca.
Naturalmente il superamento delle barriere disciplinari non costituisce una peculiarità del bagaglio culturale degli urbanisti, che tuttavia sembrano incontrare difficoltà crescenti nel collocare i problemi urbani entro i perimetri predefiniti dalle differenti discipline. Soprattutto nel settore degli studi urbani e territoriali questa problematicità tende ad accentuarsi ulteriormente, con la conseguenza di richiedere uno scambio sempre più intenso di modi di pensare tipici del “sapere esperto” e del “sapere comune”, con i quali attivare un processo di scambio e di influenza reciproca, e pervenire in questo modo alla individuazione di uno spazio di ricerca che richiede disposizione e allenamento alla complessità (Di Giovanni 2019).
Coerentemente con questa nuova assunzione di responsabilità, abbiamo pertanto deciso di dedicare al progetto formativo dei nuovi planners il Convegno nazionale che verrà associato alla prossima Assemblea nazionale dei soci Inu (Genova, 9 febbraio 2024), nella convinzione che alla predisposizione di un nuovo articolato normativo debba essere affiancata una proposta culturale con cui irrobustire il profilo tecnico-scientifico e operativo dell’urbanista.
Pertanto l’Inu intende partire dell’originalità della sua base associativa – che vede al suo interno docenti universitari, professionisti e amministratori pubblici – per presentare un punto di vista alternativo, che miri cioè ad associare l’innovazione dei saperi esperti a una nuova domanda di competenze specialistiche, in più stretto contatto con la riforma del governo del territorio ed il ruolo delle istituzioni che ne hanno le competenze.
In linea con questo peculiare orientamento, l’università e il mondo della formazione superiore dovrebbero stabilire relazioni virtuose con la pubblica amministrazione e con il mondo delle professioni, al fine di tenere insieme la sperimentazione didattica e l’esperienza progettuale mediante il ricorso programmato a periodi di tirocinio (sia durante il percorso formativo, sia successivamente alla discussione della tesi), a corsi di specializzazione, a master e a viaggi di studio in Italia e all’estero, con l’obiettivo di affiancare alla formazione universitaria più tradizionale modelli formativi che si ispirano al paradigma dell’educazione permanente o dell’apprendimento continuo (lifelong learning).
Anche tenendo conto del progressivo declino del numero degli iscritti ai corsi di laurea in pianificazione e della difficoltà di assicurare la riconoscibilità del contributo dei docenti di urbanistica nelle strutture dipartimentali, nel manifesto degli studi e nelle Scuole di dottorato, si apre un nuovo spazio di collaborazione tra le istituzioni della formazione universitaria, quelle del governo del territorio e il mondo complesso e variegato dell’associazionismo e degli ordini professionali, a cui l’Inu intende contribuire con impegno come ha già fatto in passato con la Fondazione Astengo e come si propone di fare in futuro attraverso un rapporto serrato di proposta e di collaborazione critica con il Cun e con le società scientifiche che operano nell’area del progetto.
Di Giovanni A. (2019), “Urbanistica come pratica di ricerca interdisciplinare. Note a partire da due esperienze di ricerca”, Tracce Urbane, no. 6, p. 238.
Rosati L., Occelli C., Marzo M. (2018), “In tema di riordino e classificazione dei saperi. Alcune riflessioni dell’Area 08 - Ingegneria Civile e Architettura”, Bollettino del Centro di Studi per la Storia dell’Architettura, no. 2 (Nuova serie), Parte II, p. 5-9.
Saija L. (2016), La ricerca-azione in pianificazione territoriale e urbanistica, FrancoAngeli, Milano.
Talia M. (2022a), “La fatica della sintesi. Il progetto didattico e la pluralità delle pratiche urbanistiche”, in L. Montedoro, M. Russo (a cura di), Fare Urbanistica oggi. Le culture del progetto, Donzelli, Roma, p. 241-251.
Talia M. (2022b), “Le competenze e i saperi dell’urbanista tra vecchie e nuove sfide”, Urbanistica Informazioni, no. 302, p. 7-8.