Il Municipio III di Roma, collocato nella zona nord della Capitale tra il Tevere, l’Aniene e la Via Nomentana, ha una superficie molto estesa (quasi 100 kmq, di poco inferiore a quella del comune di Firenze) in cui risiedono oltre 200mila abitanti (una popolazione analoga a quella del Comune di Parma). A seguito di nuove elezioni da luglio 2018 ha cambiato guida politica ed è governato da una Giunta di centrosinistra presieduta da un candidato indipendente passato per primarie aperte (Giovanni Caudo).
Certo si tratta di un intervallo di tempo molto limitato che naturalmente non consente analisi retrospettive, tuttavia i primi passi di tale esperienza possono offrire alcuni spunti per guardare alla città, alla sua attuale condizione ed alla possibilità di innestare un cambiamento.
Come è noto il decentramento amministrativo romano è assai debole: i 15 Municipi hanno poteri e risorse assolutamente inadeguate, ma inevitabilmente sono anche l’istituzione percepita come più prossima dai cittadini. Se il cassonetto dei rifiuti è strapieno, se l’autobus non passa, se il parco di quartiere versa in uno stato di incuria e degrado, il cittadino romano si rivolge in primis al suo Municipio benché il quadro delle competenze rimandi a Roma Capitale e alle sue disastrate municipalizzate (Ama e Atac).
In questo contesto la crisi dei servizi urbani, in una città in cui sembra che niente funzioni, ha certamente alimentato non solo un atteggiamento di diffuso scontento ma anche la formazione di un gran numero di comitati e associazioni di quartiere che si battono per denunciare disservizi e promuovere il miglioramento della qualità della vita locale. Naturalmente il rischio è quella dell’esasperazione localistica dei problemi, della mancanza di una visione e quindi di un’azione comune, specie in relazione a temi caldi come i rifiuti, il trasporto pubblico, la manutenzione urbana (verde e strade), rispetto ai quali il fronte delle criticità è vasto, le leve di azione sono deboli e la sensazione è talvolta quella di vivere un’emergenza continua. In questo quadro, anche laddove le competenze dirette sono scarse, crediamo tuttavia vi sia uno spazio di azione del Municipio che è in primo luogo quello di “fare sindacato di territorio”, cercando di ricondurre ad unitarietà e a progetto quello che invece è frammentato e spesso privo di prospettiva.
Il caso, ormai noto, del Tmb Salario è per molti versi indicativo dell’approccio che come Municipio stiamo cercando di seguire. La vicenda dell’impianto è assurta agli onori delle cronache nazionali a seguito del violento incendio sviluppatosi al suo interno (per cause ancora da accertare) nelle prime ore dell’11 dicembre 2018, generando una grande nube nera che in poche ore ha investito gran parte della città.
Si tratta di un impianto di Trattamento Meccanico Biologico (Tmb) di proprietà dell’Ama, attivo dal 2011 ed impropriamente collocato a pochi metri da case e scuole, che naturalmente esistevano prima che l’impianto fosse attivato. Fino a pochi giorni fa qui venivano trattati rifiuti indifferenziati e veniva gestita anche la trasferenza verso altri impianti di lavorazione: ogni giorno vengono scaricate qui fino a 1.500 tonnellate di immondizia ma spesso ne stazionavano contemporaneamente fino a 5mila. Gran parte del municipio terzo, parte del secondo e del quindicesimo, erano quotidianamente e per diverse ore del giorno colpite da cattivi odori aggressivi e nauseabondi, la cui intensità variava a seconda delle stagioni e delle condizioni meteorologiche, restando comunque insopportabili. Miasmi che causavano molestie fisiche agli abitanti (bruciore agli occhi, alle narici, alla gola, tosse, mal di testa, nausea, vomito, dermatiti), nonché preoccupazioni diffuse per la salute.
In linea con gli impegni assunti in campagna elettorale da quando ci siamo insediati come Giunta abbiamo dato priorità alla questione del Tmb Salario chiedendo di valutare sempre come prevalente la salute dei cittadini nelle scelte di gestione che riguardano l’impianto, il suo funzionamento come il suo uso ma anche cercando di inquadrare la vicenda all’interno della questione più generale del ciclo dei rifiuti a Roma.
In questa ottica come Municipio abbiamo promosso l’istituzione dell’Osservatorio permanente per la chiusura del Tmb. Per la prima volta si è creato così un luogo unitario per condurre la battaglia, partecipato dai tutti i comitati dei cittadini. Nell’ambito dell’attività dell’Osservatorio, dal 1 agosto 2018 è stato svolto un monitoraggio sulle emissioni odorigene che ha coinvolto quasi 300 famiglie con circa 4000 rilevazioni. Inoltre il 6 ottobre 2018 è stata indetta dal Municipio una grande manifestazione pacifica, a cui hanno partecipato migliaia di persone, per chiedere la chiusura dell’impianto e l’istituzione nel percorso verso questo obiettivo di una unità di crisi che gestisse l’emergenza ambientale rappresentata dal Tmb.
Grazie all’azione del Municipio e dell’Osservatorio il tema del Tmb Salario è finalmente uscito dai confini locali ed è stato posto all’attenzione della città, anche se in questi mesi sia Ama che il Campidoglio hanno sempre cercato di minimizzare la questione arrivando addirittura a mettere in dubbio le responsabilità dell’impianto nel generare i miasmi avvertiti dai cittadini e promettendone comunque (senza tuttavia mai indicarne tappe e modalità), la chiusura tra 2019 e 2020. A smentire la posizione della Giunta Raggi, proprio pochi giorni prima dell’incendio, l’ARPA Lazio nell’ambito della procedura di revisione dell’A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale), ha confermato nel suo parere tutte le preoccupazioni da tempo sollevate dall’Osservatorio, evidenziando le numerose criticità legate all’impianto.
Naturalmente ora che l’incendio ha messo definitivamente fuori gioco l’impianto, si è venuto a determinare uno scenario inatteso ed ancor più emergenziale, rendendo la situazione dei rifiuti a Roma, già critica da tempo, ancora più grave. Al momento l’area del Tmb Salario è posta parzialmente sotto sequestro giudiziario, ma contiene ancora gran parte dei rifiuti presenti al momento dell’incendio, ed è di fatto una discarica in mezzo alla città. Oggi l’Osservatorio è più che mai mobilitato non solo per pretendere la messa in sicurezza immediata e la bonifica dell’area, ma perché questa, dopo anni in cui è stata causa di forte penalizzazione per la qualità della vita degli abitanti, possa diventare al contrario occasione di risarcimento.
Un altro ambito che illustra il tentativo in corso è quello culturale. Sin dall’inizio ci siamo posti l’obiettivo di provare a rianimare la socialità di una città che in periferia sembra ormai priva di occasioni di incontro al di fuori dei grandi magneti commerciali. In un territorio dimensionalmente “grande come una città” ma povero di occasioni e infrastrutture culturali e aggregative (cinema e teatri, ecc.), su impulso dell’assessore Christian Raimo è nata l’idea di promuovere un percorso di pedagogia pubblica usando gli spazi aperti e chiusi comunque disponibili.
Ne è nata una serie numerosa di occasioni di incontro (accomunate appunto sotto la sigla “grandecomeunacittà”) che da mesi attraversano il Municipio e che hanno coinvolto persone, risorse e competenze. Da Luca Serianni a Franco Lorenzoni, da Luigi Manconi a Elena Cattaneo, da Giancarlo De Cataldo a Alessandro Portelli, da Miguel Benassayag a John Lansdale, da Valerio Mastandrea a Diego Bianchi, tanti sono i nomi che hanno animato incontri grandi e piccoli e che hanno coinvolto luoghi anomali del Municipio: d’estate il tetto del parcheggio di una stazione della metropolitana o i cortili della case popolari del Tufello, di inverno l’aula magna di un liceo, un tendone da circo di un’associazione culturale, i capannoni del Poligrafico dello Stato. Un modo inedito e sorprendente per uscire dall’isolamento individuale e contrastare la desertificazione sociale e culturale costruendo opportunità di incontro, di scambio e approfondimento che hanno registrato un grande (e forse inatteso) interesse da parte dei cittadini.
Infine, per venire ad un tema più vicino all’oggetto di questa rivista, vale la pena fare riferimento al tema della “città incompiuta”. Il Municipio Terzo di Roma solo 100 anni fa, prima della realizzazione del quartiere “Città Giardino” di Montesacro, era sostanzialmente un pezzo di agro romano. Già nel dopoguerra aveva superato la soglia dei 40mila abitanti e, grazie ad una spinta espansiva dirompente negli anni ’60 e ’70, al Censimento 1981 aveva raggiunto la consistenza demografica attuale (200mila abitanti). Da allora, se il numero di abitanti è rimasto pressoché invariato, i processi di urbanizzazione sono stati invece rilevantissimi: mentre la densità abitativa dei quartieri della periferia storica (Montesacro, Val Padana, Tufello, Valmelaina ma anche Nuovo Salario e Talenti) si sgonfiava, una nuova periferia esterna è sorta dentro e a cavallo del Gra, da Porta di Roma a Casal Boccone.
Una nuova città costruita in gran parte, anche per quanto riguarda le infrastrutture ed i servizi pubblici, dall’intervento privato in base alle convenzioni urbanistiche, ma che è ancora in molte parti, incompleta. Un ambito di lavoro importante e fondamentale che impegna il Municipio è quindi quello che riguarda il riesame delle convenzioni urbanistiche, la ricostruzione del quadro degli obblighi e delle opere da realizzare, per arrivare a completare servizi e infrastrutture previsti nei programmi rivedendone, se è il caso, gli impegni per adeguare gli obblighi dei privati alle nuove domande dei quartieri e garantire il funzionamento e il buono stato manutentivo di quelli già realizzati.
Naturalmente molti altri temi potrebbero essere citati, ma non è questa la sede, per illustrare il tentativo in corso, che in sostanza mira a costruire, come abbiamo detto tante volte in campagna elettorale, un laboratorio di un nuovo modo di governare la città che sia capace di “rieducare alla speranza” in una Roma che appare spesso, purtroppo, sfiduciata e scoraggiata.