Urbanistica INFORMAZIONI

La coerenza come valore per Alessandro Dal Piaz

Parte del Servizio "Ricordo di Alessandro Dal Piaz"
a cura di Emanuela Coppola

Anna Mesolella

Funzionario di Roma Capitale, PhD

Abstract

L’attività professionale e accademica di Alessandro Dal Piaz sottolinea il suo impegno nella pianificazione urbana e territoriale in Campania. Tra il 1990 e il 2015, Dal Piaz ha sperimentato metodologie didattiche innovative, trasferendo l’esperienza professionale agli studenti per stimolare una progettazione urbana integrata, in particolare nella riqualificazione dei ‘casali’ periferici napoletani. Ha contribuito alla redazione di piani territoriali e paesistici, dal Piano Sorrentino-Amalfitano (1974-1977) al Piano territoriale regionale della Campania (2008), promuovendo la pianificazione come strumento di governo sostenibile del territorio e di coesione sociale. Ha valorizzato il principio di sussidiarietà e la flessibilità normativa dei piani urbanistici, con particolare attenzione alla componente strutturale e operativa dei Puc. La sua attività si è estesa a pubblicazioni, interventi culturali e politici, sempre orientata alla qualità urbana, alla tutela ambientale e allo sviluppo sostenibile, incarnando rigore morale e impegno civile.

Per circa 25 anni, dal 1990 al 2015, ho condiviso con Alessandro Dal Piaz gran parte della mia esperienza lavorativa nello studio “Fedora architetti associati” e all’Università Federico II di Napoli.
Iniziai a collaborare al suo corso quando gli studenti si confrontavano con le problematiche di riqualificazione urbana dell’area napoletana e della città di Napoli oggetto, pochi anni prima, del Programma straordinario di edilizia residenziale (Pser), scaturito dal Titolo VIII della Legge n. 218/1981, all’indomani del terremoto dell’80. Ricordo che, nel suo corso di “Urbanistica”, Dal Piaz sperimentava metodologie per trasferire il sapere acquisito nella professione di urbanista sul campo nella sua attività di docenza e didattica per poi trovare spunti utili a innovare la stessa pratica professionale, innescando un ciclo virtuoso di contaminazione tra diverse attività disciplinari. In particolare, era il cosiddetto “Piano delle periferie”, inserito nel Pser come sistema coordinato di Peep e di zone di recupero, in larga parte assoggettate a piani di recupero, a stimolare una significativa riflessione per impostare “una strategia per la riqualificazione dei vecchi nuclei insediativi delle periferie, i cosiddetti ‘casali’, e la loro trasformazione in un sistema di parti di città dotate di ruoli e caratteri propriamente urbani” (Dal Piaz 1984: 34). Il corso era infatti organizzato in modo da far esercitare gli studenti in una attività di progettazione operativa che riguardava tre parti periferiche della città napoletana affinché da “periferia” diventassero “città” (Dal Piaz et al. 1989). I casali venivano studiati con riferimento alla metodologia di analisi tipo-morfologica proposta da Gianfranco Caniggia per il Pser (Caniggia 1989). L’attività progettuale dei corsisti si incentrava sugli interventi di riqualificazione in grado di introdurre un grado più elevato di “complessità” e “qualità urbana” nella struttura non ancora pienamente consolidata della periferia. E proprio alla connessione tra riqualificazione urbana e “volontà di senso”, come attività di ricerca di strutturazione o ri-strutturazione degli aggregati insediativi, che Alessandro Dal Piaz riconduceva la possibilità di individuare criteri ed indirizzi per manipolare i fattori della qualità urbana nella periferia napoletana (Dal Piaz et al. 1989: 55).
Nel dipartimento di urbanistica dell’Università Federico II di Napoli, attraversato in più fasi dai fecondi dubbi che in tutta Italia hanno riguardato la pianificazione, affascinato dalla contaminazione di altre discipline umanistiche e sociali, spinto a volte a considerare le politiche preferibili ai piani, Alessandro Dal Piaz, seppur interessato anche ad altri sguardi, ha sempre comunque difeso “il principio della pianificazione” e l’attività di regolazione ad esso sottesa. Egli ha sempre sostenuto “le ragioni della pianificazione” (Dal Piaz 1999: 22) una attività che definiva “irrinunciabile”.
“Non si tratta tanto” – scriveva – “di regolare le iniziative capaci di incidere sull’assetto insediativo o sugli equilibri ambientali, quanto di individuare, e di valutare, le possibili alternative secondo le quali le risorse presenti (innanzitutto l’identità locale, il milieu fatto di istituzioni, tradizioni, patrimonio ambientale, cultura materiale, e poi le infrastrutture e i tessuti urbani, gli spazi trasformabili, le capacità di investimento, di progettazione e gestione e infine la vita sociale) possano essere utilizzate per costruire processi cumulativi e socialmente coesi ai fini della riqualificazione ambientale e insediativa” (Dal Piaz 1999).
“Un piano ad ogni livello istituzionale” intitolava un suo paragrafo del libro “Questioni di urbanistica”, perchè “l’importanza e la pregnanza delle questioni del governo del territorio” – asseriva – “impongono che ciascun provvedimento, assunto ad ogni livello dell’articolazione dei poteri pubblici, venga preventivamente verificato secondo una logica di pianificazione, cioè valutandone i prevedibili effetti sia sull’ambiente che sulle dinamiche insediative”.
“A me sembra” – scriveva ancora Dal Piaz – “che l’assunzione della pianificazione urbanistica come metodo per le decisioni istituzionali circa l’utilizzazione delle risorse territoriali contribuisca a incrementare lo spazio della democrazia”. E arrivava perfino a dolersi che a livello nazionale non vi fosse nessuno sforzo in tal senso, quando finanche a livello comunitario si promuoveva uno Schema di sviluppo dello spazio europeo (Dal Piaz 2004).
La sua attività professionale ha, infatti, spesso investito il livello territoriale e l’area vasta in tutto l’arco della sua vita: da giovanissimo ha partecipato al noto Piano territoriale di coordinamento e Piano paesistico dell’area sorrentino-amalfitana (1974-1977), nel 1991-1992 ha redatto il piano paesistico della Regione Campania per l’ambito del Taburno, più tardi e a vario titolo è stato coinvolto nella redazione del Piano di bacino del Liri, Volturno e Garigliano e dei Piani provinciali di Benevento, Napoli e Salerno, del Cilento costiero (1997) e all’inizio degli anni 2000 è stato uno dei progettisti del Piano territoriale regionale (Ptr) della Campania di cui era coordinatore Attilio Belli. Questo piano, approvato nel 2008 e tutt’ora vigente, è uno strumento di inquadramento, di indirizzo e di promozione di azioni integrate, costituito dall’insieme di cinque quadri di riferimento per la pianificazione regionale di settore, provinciale e sub-provinciale. La sua attuazione si fonda non tanto sull’adeguamento conformativo degli altri piani, ma su meccanismi di accordi e intese intorno alle materie dello sviluppo sostenibile e delle grandi direttrici di interconnessione, senza una diretta interferenza con le previsioni di uso del suolo (di competenza dei piani urbanistici in accordo con quelli provinciali).
In sostanza, il Ptr è stato articolato in tre percorsi progettuali. Il primo è volto alla definizione degli “ambienti insediativi”, cioè gli ambiti delle scelte strutturali con tratti di lunga durata, coerenti con l’identificazione dei caratteri dominanti dal punto di vista ambientale e delle trame insediative. Il secondo è incentrato sulle iniziative strategiche “dal basso”, già organizzate o da organizzare in rapporto all’individuazione dei “sistemi locali di sviluppo” (Sts), concepiti come “trama di base per costruire processi di copianificazione”, attraverso le conferenze di pianificazione. Il terzo è relativo ai “campi progettuali complessi”, nell’ambito dei quali, pur con la partecipazione di altri soggetti, la regione ricopre un importante ruolo di promotore dell’iniziativa di pianificazione.
In particolare, Dal Piaz si è occupato del primo percorso progettuale connesso al secondo quadro di riferimento, nell’ambito del quale si riconoscono nove “ambienti insediativi” [1] che consentono, incrociando elementi della morfologia del territorio e trame insediative, di individuare gli ambiti di trasformazione del lungo periodo a cui si prevedeva che potessero connettersi i grandi investimenti.
Tali ambiti non sono sottoposti ad una normativa di tipo regolativo e la responsabilità della definizione del piano degli assetti insediativi è affidata alla pianificazione provinciale. Per essi si individuano piuttosto degli indirizzi, anche di tutela paesaggistica e ambientale, da recepirsi negli strumenti della pianificazione provinciale, arrivando tuttavia ad esplorare il quadro delle prospettive possibili per disegnare uno scenario preferito di lungo termine (“visioning preferita”) sulla base degli scenari probabili secondo le tendenze in atto (“visioning tendenziale”).
Dal Piaz coglieva in questo Ptr un tentativo apprezzabile per integrare gli interventi del Por 2007-2013 nella pianificazione di area vasta e, quindi, un tentativo per coniugare politiche per lo sviluppo e pianificazione territoriale e questo perché in esso era proposta “un’articolazione della regione in sistemi territoriali di sviluppo per ciascuno dei quali si indicava, oltre che una delimitazione territoriale su base amministrativa, anche una precisa dominante economico-funzionale, ipotizzando che tale griglia complessiva costituisse il riferimento essenziale per le scelte del Por”. Egli si doleva che tale tentativo era successivamente stato vanificato dal ritardo nell’approvazione del Ptr e dalla decisione di costruire i riferimenti del Por attraverso i cosiddetti “accordi di reciprocità”, senza alcun vincolo territoriale (Dal Piaz 2008: 212).
Insieme al principio della pianificazione Dal Piaz ricordava spesso, citando François Ascher (1996), il principio della sussidiarietà perché “una autorità qualsiasi non deve esercitarsi che per mitigare le insufficienze di una comunità più piccola; perché un principio operativo di sussidiarietà, attento al problema delle minoranze o delle collettività locali allargate, può realizzare sia il massimo livello di decentramento possibile, sia la tutela degli interessi delle comunità di scala superiore” (Dal Piaz 1999).
Il suo interesse per il livello locale, infatti, si manifesta in una attività di pianificazione comunale estremamente significativa, anche se spesso interrotta o eccessivamente prolungata dall’instabilità e dall’avvicendamento delle amministrazioni locali al potere.
Proprio in nome dell’efficacia del piano urbanistico comunale, Dal Piaz ha sostenuto la “pianificazione a due tempi” e l’articolazione del piano urbanistico comunale in una componente strutturale e una componente programmatico operativa di cui, per la verità, egli ha sempre riconosciuto un antecedente nel Piano pluriennale di attuazione (Ppa) della Legge Bucalossi n. 10/77 (Dal Piaz 1989).
Le due componenti sembrano rappresentare in effetti due esigenze fortemente sentite da Alessandro Dal Piaz, quella di rendere stabile e trasversale alla compagine politica e, quindi, indifferente all’avvicendamento delle amministrazioni locali l’individuazione del patrimonio, dell’identità e dei valori da tutelare e valorizzare e quella di prevedere gli interventi che, per esigenze sociali incombenti, disponibilità di risorse, interessi collettivi presenti sul territorio è necessario progettare prioritariamente per avviare una più rapida attuazione.
Su tali interventi della componente operativa Dal Piaz suggeriva di sviluppare una spinta esplorazione progettuale in “un rapporto fecondo e corretto di complementarità tra progettazione urbanistica e progetto urbano” (Dal Piaz 1999: 55).
Nell’attività di pianificazione dello studio associato il contributo di Dal Piaz era quasi sempre legato alla redazione delle norme tecniche di attuazione dei piani. Alle norme egli collegava le regole e le prestazioni, non come contenuti generali e astratti delle stesse, ma come l’esito dell’analisi degli aggregati insediativi perché è da questi che per Dal Piaz si possono desumere definite regole tipo-morfologiche che informano l’organizzazione fondamentale dei tessuti e costituiscono il fondamento per le ipotesi delle trasformazioni ammissibili e desiderabili. Una particolare ricerca innovativa nella formulazione dell’apparato normativo del piano riguardava per Dal Piaz il campo delle “norme procedurali”. Con tale denominazione egli si riferiva alla costruzione di un quadro normativo in cui si integravano alcune norme che è possibile fissare preventivamente ed altre flessibili al variare delle condizioni di contesto. Solo in tal modo si potevano per Dal Piaz affrontare le esigenze di versatilità e adattabilità del processo di pianificazione rispetto alle forme mutevoli e non sempre prevedibili delle dinamiche urbane. E così egli auspicava un consistente grado di flessibilità gestionale ma entro una griglia fondamentale di invarianti predeterminate non negoziabili.
Solo pochi Puc dello studio da lui guidato o degli uffici di piano di cui era consulente sono stati approvati e consentono di osservare concretamente ciò che Dal Piaz sosteneva, tra questi il piano di Ottaviano (2015), Nocera Inferiore (2016), Sant’Angelo dei Lombardi (2019).
Il contributo di Dal Piaz è andato anche oltre l’attività professionale e quella di docenza e ricerca perché egli si è sempre speso per promuovere una prospettiva di sviluppo territoriale fondata sulla questione ambientale e per questa finalità ha partecipato attivamente alla vita politica e a quella associativa culturale ed ambientale ed è stato presente con molteplici contributi sia su riviste disciplinari che su testate giornalistiche.
Ricorderemo per sempre la sua figura, connotata da grande rigore e spessore morale e culturale, che ha dato voce ai più elevati valori della nostra collettività.

[1Gli ambienti insediativi individuati nella Regione, i cui confini debbono essere assunti in modo del tutto sfumato, sono nove: la piana campana, dal Massico al Nolano e al Vesuvio, la penisola sorrentino-amalfitana (con l’isola di Capri), l’agro sarnese-nocerino, l’area salernitana e la piana del Sele, l’area del Cilento e del Vallo di Diano, l’Irpinia, il Sannio, la media valle del Volturno con il Matese e la valle del Liri-Garigliano.

Riferimenti bibliografici

Ascher F. (1996), “De l’intéret gènèral substantial a l’intéret general procedural?” in P. Genestrier (ed.), Vers un nouvel urbanisme. Faire la ville, comment? Pour qui?, La Documentation Française, Parigi.
Belli A., Mesolella A. (a cura di) (2008) Forme plurime della pianificazione regionale, Alinea editore, Firenze.
Caniggia G. (1989), “Il recupero urbano: analisi, norma, progetto. Le analisi tipo-morfologiche. Le regole possibili”, in Pser - Programma Straordinario di Edilizia Residenziale, Notiziario 13/14 Programma Straordinario di Edilizia Residenziale per la città di Napoli. Il recupero urbano, Art grafiche Boccia, Salerno.
Dal Piaz A. (1984), “«Dare gambe» all’urbanistica”, in F. Ciccone (a cura di), Recupero e riqualificazione urbana nel Programma straordinario per Napoli, Volumi Cresme n. 19, Giuffrè editori, Milano, p. 34.
Dal Piaz A. (1999), Ragionando di urbanistica, edizioni Graffiti, Napoli.
Dal Piaz A. (2004), Questioni di urbanistica, edizioni Graffiti, Napoli.
Dal Piaz A. (2008), “La questione dello sviluppo e la pianificazione di area vasta” in A. Belli, A. Mesolella (a cura di), Forme plurime della pianificazione regionale, Alinea editore, Firenze.
Dal Piaz A., Apreda I., Mangoni F., Talamona L. (1989), Da “periferia” a “città”. Studi e proposte per Napoli, Franco Angeli, Milano.
Mesolella A. (2006), Pianificazione regionale tra interessi territoriali e garanzie a lungo termine, Franco Angeli, Milano.
Pser - Programma Straordinario di Edilizia Residenziale (1989), Notiziario 13/14 Programma Straordinario di Edilizia Residenziale per la città di Napoli. Il recupero urbano, Art grafiche Boccia, Salerno.

Pubblicato il 25 marzo 2025