I rifiuti descrivono fedelmente, intimamente, una città, la sua organizzazione, il suo stile di vita. A Venezia descrivono una città complessa, che da tempo si sforza di trovare una strada per reinventarsi nella (post) modernità oltre che per risolvere problemi specifici, come, appunto, quello dei rifiuti (tipico di quest’epoca, narrata meglio di tutti, sotto questo profilo, da Don DeLillo in Underworld). Poiché tutto a Venezia dev’essere originale, anche questo aspetto dell’organizzazione civica non può che darsi in forme tipiche, adattate a un tale, singolare unicum urbano. Solo pochi anni fa, più o meno al volger del secolo, la città si trovava alle soglie di quello che oggi si chiamerebbe “rischio Napoli”. Giungendovi, a lato della ferrovia e del ponte translagunare, a punta San Giuliano, si potevano osservare enormi cumuli di spazzatura sui quali, come gli uccelli di Hitchcock, svolazzavano nugoli di gabbiani. In quel punto cruciale tra terra e acqua, già immortalato dal Canaletto, non si era trovato di meglio, anni prima, che ubicare la stazione di travaso dei rifiuti solidi urbani, in attesa di avviarli a discarica o all’incenerimento. Intorno a quelle colline maleodoranti, peraltro, appena mimetizzata da una selva incolta, si stendeva un’ampia waste land, un territorio avvelenato da sversamenti di rifiuti tossici industriali durati decenni.
La nuova politica dei rifiuti, avviata dall’amministrazione provinciale e dal comune di Venezia sul finire degli anni Novanta, prende avvio proprio da quell’ignobile visione, e da quel punto contaminato nel quale stava prendendo forma l’emergenza. Le discariche che servivano Venezia, infatti, erano in via di esaurimento. Altre forme di smaltimento non erano concretamente alle viste. Era stato soltanto da poco avviato un inceneritore di rifiuti “tal quali” che assorbiva solo una parte degli Rsu prodotti e che, pur senza salvare da solo dal rischio emergenza, stava comunque aumentando il già denso inquinamento dell’aria.
Quella svolta ha prodotto, dapprima, l’avvio di una raccolta differenziata condotta però, finora, con una certa difficoltà, oltre che forse senza troppa convinzione, a causa soprattutto dell’impatto prodotto da una gran massa di turisti (centomila abitanti equivalenti giornalieri, a fronte di circa 270 mila effettivi) e dalla complessità di un territorio comunale che comprende i litorali, le isole, il centro storico, i grandi conglomerati urbani della terraferma e le aree semirurali della cintura (per non dire dell’area industriale di Porto Marghera che non solo è sempre stata una formidabile produttrice di rifiuti tossici ma che è sempre stata anche un polo di smaltimento, tramite incenerimento, regolare o occulto, di tali rifiuti). Soprattutto, però, questo modello ha avuto il suo punto di forza nel recupero di energia dai rifiuti aggiungendo alla quota già smaltita in forma “tal quale” nell’inceneritore di cui sopra una quota importante di combustibile da rifiuti (Cdr) bruciato nella locale centrale Enel al posto di una parte del carbone prevalentemente utilizzato nell’alimentazione. Questa soluzione, tecnologicamente più avanzata e ambientalmente più conveniente, ha consentito di eliminare definitivamente il rischio di un’emergenza e, infine, ha ridotto ai minimi livelli (circa il 3%, probabile record italiano) il ricorso alla discarica. Nel frattempo, la stazione di travaso è stata spostata nella zona industriale liberando l’area di punta San Giuliano che oggi, bonificata e/o messa in sicurezza, è uno dei parchi urbani più grandi e suggestivi d’Europa. La raccolta differenziata, intanto, ha raggiunto circa il 35 %, una media comparabile a quella delle città di analogo numero di abitanti più avanti nello sviluppo del sistema.
É da questo punto che muove ora una nuova fase di implementazione del sistema, che punta decisamente a incrementare, con la quota di raccolta differenziata (obiettivo: almeno il 65% entro due anni), il recupero di materiale (avendo già raggiunto un buon recupero di energia: fin troppo, anzi, si potrebbe forse dire…) e, soprattutto, le buone pratiche di riduzione a monte dei rifiuti. Primo esito di questa nuova strategia è la decisione di chiudere, entro breve tempo, l’inceneritore di rifiuti “tal quali” (il più vecchio e inquinante della zona), rendendolo superfluo ai fini dello smaltimento con lo sviluppo della raccolta differenziata finalizzata, ora, appunto soprattutto, al recupero di materiale.
La seconda decisione è quella di investire, tramite l’azienda pubblica Veritas (braccio operativo, ma anche, per molti versi, cervello elaboratore delle strategie pensate e perseguite insieme all’amministrazione comunale), nella creazione di un grande Ecodistretto del riciclo in zona industriale, che sia, al contempo, un potente volano di recupero di materiale dai rifiuti e un esempio di industria sostenibile e produttiva, per così dire, di processi anti-entropici, reimmettendo nei circuiti vitali dell’economia e dell’industria materia che sarebbe andata perduta (e che avrebbe inquinato l’ambiente). Ovviando, in tal modo, al problema che si sta ponendo in forme crescenti ai comuni che da tempo hanno raggiunto livelli molto elevati di differenziata (anche l’80 o 90 %) ma che non hanno risolto il problema dei suoi sovvalli (che giungono anche al 20 o 30%) i quali, non recuperati né in forma di energia né, soprattutto, in forma di materia, concorrono, insieme all’indifferenziato residuo, a intasare le discariche (o a finire in inceneritori non sempre adeguati) e stanno creando, perciò, le condizioni di una nuova emergenza anche in zone ritenute finora immuni dal rischio. Politica ambientale e politica industriale si intrecciano, così, in questa scelta veneziana. La sua cornice sta nel nuovo regolamento sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani che, per la prima volta, sulla base del primo piano finanziario preventivo mai approvato dall’amministrazione in questa materia, mette al centro della propria strategia la riduzione dei rifiuti e la raccolta differenziata, con meccanismi che li incentivano premiando con forti sconti gli utenti che aderiscono a specifici e diversificati programmi di riduzione dei rifiuti prodotti. L’obiettivo è giungere a una capillare diffusione di tali pratiche virtuose e infine convergenti in un sistema di smaltimento e di riciclo che, a sua volta, produce valore, lavoro, nuova energia e nuova materia – e, anche, un pezzo della città nuova prodotto dall’intreccio di nuovi stili di vita e nuove, sostenibili vocazioni produttive.