I primi anni duemila si aprono all’insegna delle riforme urbanistiche promosse dalle regioni. Di fronte all’incapacità dei governi che si succedono di varare la necessaria riforma dell’ordinamento urbanistico ormai vecchio di oltre mezzo secolo sono le regioni che affrontano il tema e lo fanno certamente con una logica innovativa. Si tratta però di una riforma incompiuta perché non tutte le regioni hanno sviluppato un’ipotesi basata su di un piano strutturale non conformativo portatore di una visione strategica e di un piano operativo di durata limitata con una nuova attenzione ai temi del territorio, del paesaggio e agli irrisolti problemi dell’edilizia sociale.
Con l’avvio di queste nuove leggi, solo parzialmente soddisfacenti perché in alcuni casi sono norme formali e spesso vanno a confermare la vecchia struttura regolativa del Prg inefficace di fronte agli attuali processi di trasformazione territoriale, si apre comunque una stagione di sperimentazione e di nuovi piani. Una stagione sicuramente interessante e portatrice di una visione che metteva al centro il ‘governo del territorio’ e non più solo le norme per il ‘governo dell’edificazione’; che ha introdotto studi e regole per la difesa del suolo, la tutela del paesaggio oltre a sperimentare, forme perequative per finanziare la città pubblica.
La crisi ha scardinato tutto questo impianto perché nella pratica e anche nelle intenzioni il modello era ancora una volta incentrato sulla crescita per espansione e perché le riforme regionali hanno incominciato ad incrinarsi il giorno dopo essere state approvate.
Questa stagione urbanistica risulta però segnata anche dalla assenza di risorse pubbliche e dalla ridotta possibilità di attrarre risorse private. Con la crisi il tema del governo del territorio e le politiche di piano diventano completamente assenti dai programmi di governo e dalle azioni amministrative degli Enti Locali. Tutti sembrano pentiti della “stagione riformista” dei primi anni 2000 e preferiscono seguire la strada della “semplificazione” prefigurando una sorta di modello “in deroga che superi la necessità del piano. Ancora una volta l’urbanistica viene sospesa, l’area vasta viene liquidata come problema assieme alle provincie, le aree metropolitane sembra non interessino nessuno e così la riorganizzazione istituzionale e amministrativa del Paese viene lasciata ai comuni i quali stanno cercando di aggregarsi in modo più o meno casuale per raggiungere i 5000 abitanti che le leggi di riduzione della spesa hanno deciso.
La stagione delle riforme urbanistiche regionali, in assenza e nell’incapacità di affrontare da parte dello stato la difesa del territorio e la risposta alle domande di qualità urbana, si è caratterizzata come una occasione in gran parte perduta, perche sono arrivate troppo tardi e perché comunque non sono state in grado di produrre un cambio di rotta, una discontinuità con la politiche di premio della rendita. Ne sono prova e testimonianza la sovrapproduzione edilizia e l’incapacità di avviare processi di risanamento ambientale e rigenerazione urbana. In questo quadro l’unica cosa certa è il progressivo e continuo consumo di suolo.
Le riflessioni sullo stato dei territori e degli strumenti di governo, piani e politiche, ci dice che serve il piano e serve un piano autorevole e capace di: governare la complessità della città contemporanea, la urgente necessità della difesa del territorio, attivare risparmio energetico e contenimento del consumo di suolo, tutelare e valorizzare il paesaggio. Piano e politiche per affrontare il tema della mobilità della congestione del traffico e della carenza infrastrutturale nel trasporto pubblico e affrontare i fabbisogni abitativi e di servizi tuttora non soddisfatti.
Non si tratta di una nostalgia razionalista di un sistema dirigistico di norme e leggi, ma della necessità di costruire un percorso che contrasti la riproposizione di una, del resto impossibile, stagione della valorizzazione immobiliare e della intensa e diffusa produzione edilizia.