Urbanistica INFORMAZIONI

L’eccezione e la regola

È difficile negare che il 2019 abbia rappresentato un anno di svolta nei rapporti, solitamente problematici, tra l’uomo e l’ambiente. Nel manifestare il carattere sempre più traumatico del processo di antropizzazione, le cronache degli ultimi mesi registrano infatti fenomeni climatici estremi – associati a seconda dei casi, e delle latitudini, ad alluvioni devastanti o al prolungarsi dei periodi di siccità, nonché ad un aumento generalizzato delle temperature - che fino a poco tempo fa ritenevamo eccezionali, ma a cui ci stiamo abituando molto rapidamente.

Agli inizi di dicembre il fallimento della Conferenza di Madrid sul Climate Change è apparso in qualche modo l’effetto emblematico e paradossale di questa assuefazione, ma il rifiuto dei grandi Paesi inquinatori (con in testa la Cina, l’India e gli Stati Uniti) di accettare qualunque responsabilità sul destino del Pianeta costituisce nondimeno una ulteriore conferma che alla base di questa palese incapacità di affrontare adeguatamente la sfida imposta dal riscaldamento globale vi sia ancora una volta l’ostinazione a fare a meno di una visione globale e a lungo termine nel governo dei sistemi ecologici e socio-economici.

Eppure un cambio radicale di prospettiva appare necessario, almeno se si vuole che il rapporto tra eventi eccezionali e situazioni ordinarie non venga definitivamente sovvertito. Se infatti la ricerca di settore, nel fornire il proprio contributo alla lotta al riscaldamento della Terra, ha evidenziato specifici traguardi da raggiungere nella riduzione del livello di emissioni, nella transizione verso fonti energetiche rinnovabili, nella de-carbonizzazione del modello di sviluppo, nel contenimento del consumo di suolo e nel passaggio verso il nuovo paradigma dell’economia circolare, è sempre più urgente che le elites culturali e politiche moltiplichino il loro impegno per raggiungere i traguardi che le vengono assegnati. Lo richiedono, in modo sempre più pressante, le allarmate previsioni sull’aumento della temperatura (fino a 2° C entro il 2035), sull’innalzamento del livello dei mari (dai 20 ai 50 cm nel Mediterraneo, pressoché alla stessa data) e sulla preoccupante e crescente scarsità dell’acqua, che sembra destinata a diventare molto presto un bene di gran lunga più prezioso di qualunque altra materia prima [1].

è bene sottolineare che nei (pochi) decenni di tempo di cui possiamo disporre prima che l’aggravarsi dei cambiamenti climatici assuma un carattere irreversibile, dovremo modificare comportamenti consolidati e apparentemente irrinunciabili, forgiando nuovi modelli abitativi e di consumo, ridefinendo la scala delle priorità e delle strategie di impresa, offrendo alternative credibili per una evoluzione sostenibile dell’economia agricola, modificando i paradigmi di pianificazione da adottare tanto nella regolazione dei sistemi insediativi, quanto nella individuazione di inedite formule progettuali.

Dietro questo cambio di passo di cui si avverte finalmente il bisogno è possibile scorgere l’esigenza di un recupero della sovranità del governo urbano, che per essere correttamente esercitata richiede che la pianificazione urbana non si limiti ad opporsi agli effetti più traumatici del cambiamento climatico e demografico, ma innovi in profondità il suo apparato strumentale, la sua scala d’intervento e, soprattutto, la configurazione dei processi decisionali e delle procedure a cui affidare il consenso e l’approvazione delle proprie scelte.

Nel contesto che si sta delineando l’INU e, prima ancora, la nostra disciplina possono acquisire una nuova centralità. Operando di concerto con le altre scienze sociali è necessario dimostrare che gli interventi a sostegno di uno sviluppo sostenibile sono in condizione di creare più occupazione e più reddito di quanto un capitalismo tuttora ancorato allo sfruttamento delle risorse non sia più in grado di fare. Non solo; questa nuova cultura della pianificazione a cui stiamo alludendo può dimostrare che le politiche urbane e territoriali, se vogliono combattere efficacemente gli effetti del cambiamento climatico e le vecchie e le nuove fragilità dei nostri sistemi insediativi, hanno bisogno non solo delle risposte tecniche che la nostra disciplina è tradizionalmente in grado di fornire, ma anche delle visioni e degli scenari che essa saprà predisporre, e che potranno ispirare la proposta di una nuova idea di città.

è necessario prendere atto che questo riposizionamento dell’urbanistica presuppone la consapevole adesione a tre differenti principi ispiratori, che riguardano rispettivamente il consolidamento del legame del piano con la ricerca di settore, il rinnovamento radicale della vocazione riformista della pianificazione e la predisposizione di strumenti atti a far sì che la rigenerazione urbana e territoriale non costituisca un mero artificio retorico, ma diventi piuttosto un terreno cruciale di sperimentazione.

Con riferimento al primo di questi obiettivi è sufficiente citare l’ampio ventaglio di innovazioni che la città dovrà ospitare - o piuttosto alimentare - per apprendere dalla natura e dalle sue trasformazioni, o per rendere possibile la transizione verso un nuovo modo di produzione, per accorgersi di quanto il governo del territorio debba imparare dagli studi sulle città intelligenti, sulla applicazione del principio della biodiversità alle nuove formazioni urbane o sulla individuazione di una etica della responsabilità cui anche l’impresa sia invitata ad attenersi. Il processo di apprendimento collettivo che si preannuncia, e al quale l’INU intende offrire il proprio contributo anche attraverso la promozione di una partnership con altri istituti culturali e di ricerca [2], coinvolgerà in larga misura tutti i principali soggetti e attori delle trasformazioni urbane. Esso comporterà inevitabilmente importanti cambiamenti nella formazione e nell’aggiornamento dei profili professionali più direttamente interessati, e richiederà al tempo stesso anche un significativo mutamento nelle procedure che concorrono alla assunzione delle scelte della pianificazione. è ragionevole supporre che queste ultime risulteranno sempre meno codificate da un quadro normativo rigidamente formalizzato, ma dipenderanno piuttosto da criteri di valutazione endo-progettuali ispirati a criteri di razionalità, di sostenibilità e di aderenza alle aspettative dei residenti.

Passando ora all’impegno richiamato in precedenza di ripensare dalle fondamenta l’ispirazione riformista della pianificazione, esso presuppone da un lato il rinnovamento del patto tra le istituzioni, i tecnici e i cittadini che costituisce la fonte primaria della legittimazione e dell’utilità del progetto urbanistico, ma dall’altra rispecchia il bisogno di sostituire, o comunque affiancare, alla battaglia contro la rendita immobiliare e la speculazione edilizia l’esigenza di adattare il proprio bagaglio culturale e strumentale alle nuove sfide che la città è chiamata ad affrontare. Nel ripercorrere la lunga storia dell’urbanistica italiana e del nostro Istituto - che nel 2020 celebrerà il suo 90° anniversario – è possibile accertare che la declinazione delle politiche riformatrici messe in campo per rispondere alle esigenze in continuo mutamento della società e del territorio hanno costituito in molti casi una originale fusione tra le proposte di emendamento del quadro normativo vigente e la coraggiosa anticipazione di soluzioni e modelli che intendevano rispondere a bisogni che erano ancora in fase germinale. Secondo questa accezione il riformismo urbanistico non dovrà limitarsi a ipotizzare una graduale modifica dei fattori di vincolo che impediscono l’evoluzione equilibrata di un sistema economico, sociale e insediativo, ma tenderà piuttosto ad associare alle sue proposte di riordino normativo la descrizione di un modello auspicabile della città futura, nei confronti del quale sviluppare forme virtuose di convergenza.

Infine il perseguimento di politiche integrate di rigenerazione urbana e territoriale, soprattutto se praticato congiuntamente al raggiungimento dei due obiettivi precedenti, può tradursi più concretamente nella definizione di un nuovo paradigma del progetto della città contemporanea, nel quale l’evoluzione degli strumenti urbanistici costituisce solo un sottoprodotto di un processo di elaborazione e di sperimentazione che punta ad immaginare, e a praticare, una realtà profondamente diversa da quella che ancora caratterizza gran parte dei nostri insediamenti. In questa prospettiva esso può costituire un utile punto di contatto tra le due sponde, altrimenti contrapposte, del capitalismo neo-liberista e di un nuovo sistema sociale ed economico per molti versi ancora sconosciuto, ma che possiamo contribuire a delineare partendo da una approfondita riflessione sul nuovo ruolo della città.

A ben vedere le tracce di questa evoluzione della cultura del progetto sono già presenti nella concreta esperienza di molte amministrazioni locali, che hanno rinunciato al ruolo di orientamento tradizionalmente assegnato al settore edilizio in cambio di programmi di rigenerazione che individuano i principi ispiratori nella riduzione di CO2, nella transizione energetica, nella bonifica dei suoli e delle acque, nel riuso dei manufatti demaniali abbandonati o nella messa in sicurezza del territorio.

Se ci affidiamo a questa strategia d’intervento appare fattibile una riconversione dell’impianto urbano ereditato dall’età industriale che faccia leva sulla centralità dei beni comuni e sulla valorizzazione degli spazi di uso collettivo, e che punti all’affermazione di una città più giusta e di un nuovo modello di welfare [3]. Ne consegue pertanto l’esigenza di una nuova disciplina che contempli la decadenza delle previsioni pubbliche e di quelle private quando la rigenerazione di una parte di città non risulti altrimenti perseguibile. In molti casi ciò richiederà l’affidamento a nuovi parametri urbanistici di tipo quali-quantitativo e a categorie della trasformazione urbana, con cui perseguire tanto il miglioramento delle prestazioni ambientali delle città mediante il potenziamento delle attrezzature urbane, quanto la previsione di dotazioni materiali e immateriali complesse con funzioni eco-sistemiche e riequilibranti, e con discipline che prevedano la reversibilità delle destinazioni d’uso indicate dal piano.

[1Cfr. Jacques Attalì, Finalmente dopodomani! Breve storia dei prossimi vent’anni, Ponte alle Grazie, Milano, 2017.

[2Si fa riferimento, tra l’altro, all’”Accordo Quadro” sottoscritto nel dicembre 2019 dal CNR e dall’INU per la messa a punto e le prime applicazioni del progetto Urban Intelligence.

[3Michele Talia, “Governo del territorio e lotta alle disuguaglianze: un nuovo modo di pensare al futuro” in M. Talia (a cura di), Il bisogno di giustizia nella città che cambia, Planum, Milano.

Data di pubblicazione: 20 gennaio 2020