Urbanistica INFORMAZIONI

Intervista a Ilda Curti, Assessore all’Urbanistica del Comune di Torino

Di fronte ai processi di trasformazione e di “metropolizzazione” che hanno investito molte città italiane, e certamente anche l’area torinese, che cosa pensa della necessità di allargare il campo di competenza dei piani urbanistici, uscendo dall’anacronistico confine amministrativo comunale e affrontando nel suo complesso il territorio della metropolizzazione, e come la sua amministrazione si propone di affrontare questa tematica.
Concordo sulla necessità di individuare nuovi paradigmi concettuali per interpretare la trasformazione che ha investito i territori metropolitani ed anche l’area torinese. Nel caso di quest’ultima negli ultimi anni emerge una ormai consolidata organizzazione policentrica del territorio, con una minor dipendenza dalla città centrale. Ciò non toglie che, soprattutto nei territori di frangia, quelli su cui è probabilmente più necessario concentrare l’azione, possano generarsi situazioni di competizione che vanno affrontate con pragmatismo e attraverso forme e strumenti di cooperazione. La situazione del territorio è tale che rinchiudersi entro confini amministrativi ottocenteschi, quali quelli comunali, rende impossibile affrontare i problemi di un territorio in cui le interazioni economiche e sociali sono molto forti.
Ci vuole, però, un forte pragmatismo, occorre individuare temi concreti su cui sviluppare processi cooperativi, senza aspettare soluzioni di architettura istituzionale quali la Città metropolitana ex lege 142/90. Sono passati vent’anni senza che la Città Metropolitana abbia visto la luce: se ci si concentra ancora sulla ricerca di soluzioni puramente istituzionali, si rischia di non raggiungere l’obiettivo. Il tema Provincia sì/no si inscrive nella questione dell’architettura istituzionale, che non appare il tema centrale, mentre l’esistenza di un Piano provinciale può essere la cornice entro cui collocare processi cooperativi.
Negli anni passati, nonostante esperienze di cooperazione in alcuni settori (ad esempio la mobilità) e tentativi di istituire nuove forme di governance sviluppate all’interno del processo di pianificazione strategica, è in parte mancata, in particolare da parte della città di Torino, una sufficiente consapevolezza dell’importanza e del’imprescindibilità di procedere lungo questa strada. La maggior capacità politica ed economica del capoluogo ha reso in alcuni casi difficile e faticoso il processo di cooperazione. Oggi le cose sono cambiate: c’è nell’amministrazione del capoluogo e di molti comuni dell’area una maggiore consapevolezza ed una chiara condivisione della necessità di superare spinte competitive per istituire forme di cooperazione, costruire modalità e strumenti operativi comuni, pena la difficoltà e talvolta l’impossibilità di rispondere ai problemi che un’area come quella torinese deve affrontare.
Non va dimenticato che oggi il tema non è quello della competizione interna all’area quanto quello del confronto fra l’area nel suo insieme ad altre realtà territoriali nazionali ed internazionali: l’esempio che si può citare è quello della comunità lionese, che proprio perché comunità di più comuni si presenta al confronto con ben altra forza. La nuova amministrazione sta cercando di muoversi in questa direzione, sfruttando le occasioni che si presentano per la costruzione ci rapporti cooperativi. Un esempio è la candidatura di Torino al bando europeo Smart City, che potrebbe portare alla città e alla sua area risorse importanti. Nel processo di costruzione della candidatura è entrata, ad esempio, l’Unione dei Comuni dell’area nord-est Torino, ma altri potrebbero essere coinvolti [1]. Ad un altro livello come esempio concreto di cooperazione può essere citato il caso della futura stazione di attestamento della linea 1 della Metropolitana che modificherà dal punto di vista funzionale e morfologico un luogo periferico come la piazza Bengasi posta a cavallo del confine Torino-Moncalieri.

In che misura temi, quali la rete della mobilità, il contenimento del consumo di suolo, la sostituzione dei tessuti più degradati con interventi di densificazione, la costruzione di nuove centralità che polarizzino il territorio metropolizzato, il problema di vitalizzare le periferie, l’attenzione alle problematiche energetiche, caratterizzano il territorio della sua città e quali le politiche che si intendono attivare.
Negli ultimi anni Torino ha molto lavorato sul tema della mobilità e delle reti di trasporto: è stata costruita la linea 1 della Metropolitana, il cui prolungamento fino a piazza Bengasi è oggi in fase di progettazione, ed è allo studio una seconda linea di Metropolitana. La rete ha oggi una dimensione metropolitana ed è gestita, appunto, dall’Agenzia Mobilità Metropolitana Torino [2].
Il tema del consumo di suolo tocca in misura minore il comune di Torino, la cui area è da tempo fortemente urbanizzata. Le trasformazioni urbane, anche consistenti, avvenute negli ultimi anni sono avvenute quasi esclusivamente attraverso la sostituzione di tessuti già edificati, spesso degradati, nella maggior parte aree industriali dismesse. Il tema tocca invece molto il resto dell’area metropolitana dove le continue addizioni edilizie hanno portato ad un forte consumo di suolo, come indicato dal Piano della Provincia che ha fra i suoi obiettivi la limitazione di tale consumo. Sul tema si giocano anche problemi di competizione fra Comuni che si sono recentemente accesi: il riferimento è all’ipotesi di un nuovo insediamento commerciale dell’Ikea, proposto in un Comune dell’area sud su un territorio a destinazione agricola, avversato dalla Provincia in nome della limitazione del consumo di suolo agricolo, e per il quale altri comuni dell’area si stanno proponendo e proponendo possibili localizzazioni, ad esempio il riuso di aree industriali.
Il tema della costruzione di nuove centralità è un tema rilevante purché ci si intenda sul modo di concepire le nuove centralità. Spesso l’idea di costruire nuove centralità è quella di introdurre nuove infrastrutture in luoghi talvolta periferici, di creare nuove polarità con un’azione dall’alto. Operazioni di questo tipo si sono sviluppate non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa, spesso utilizzando fondi europei. Da questo punto di vista nell’azione della UE è rilevabile anche una certa schizofrenia: finanziamenti per operazioni di infrastrutturazione di questa natura accanto a programmi come il programma Urban che seguivano logiche di rigenerazione urbana di tutt’altra natura. Viene citato come esempio il caso di Saint Denis nella banlieu parigina. Creare nuove centralità deve essere invece un processo che non parte dall’alto, ma dalle risorse presenti nei luoghi e si sviluppa con la partecipazione di chi in quei luoghi vive. Viene citato il caso del quartiere San Salvario in cui una serie di interventi frutto di un processo anche di ascolto e di partecipazione ha fatto uscire il quartiere da una situazione di degrado ed anche di conflitti e gli ha ridato una centralità [3]. Un altro esempio è la cascina Roccafranca, una cascina nella periferia sud della città, che è stata ristrutturata nell’ambito degli interventi del programma Urban e che è diventata un centro estremamente vitale per tutto il quartiere.
Il comune di Torino ha una ormai lunga tradizione ed esperienza nel campo delle politiche di rigenerazione urbana concepite secondo una logica simile a quella di Urban [4]. Però le esperienze sono state rivolte soprattutto alla periferia, mentre parallelamente altre politiche di riqualificazione urbana con altri obiettivi toccavano le parti più centrali della città. Si tratta di politiche parallele, dettate da esigenze diverse, che, però, non sempre si sono incontrate

Sul tema delle risorse molti indicano che dovrà essere ripensato un nuovo sistema di fiscalità locale in grado di affrontare le questioni strutturali delle trasformazioni territoriali, in primo luogo quella della ridistribuzione sociale della rendita, per consentire la costruzione della città pubblica e continuare a garantire standard e servizi. Quali sono orientamenti e le azioni che andrete ad intraprendere.
E’ difficile parlare di fiscalità locale in una situazione in cui, dopo quattro mesi di governo la vera preoccupazione dell’amministrazione è come fare per evitare di tagliare i servizi, in un momento in cui la loro presenza è essenziale per la vita di molte persone. Tutto il dibattito sul federalismo fiscale e sulla fiscalità locale per ora ha solamente portato le amministrazioni locali a dover agire non a favore ma contro i loro stessi cittadini. Il tema della redistribuzione sociale della rendita a favore della costruzione della città pubblica e dei servizi, connesso anche ad un nuovo sistema di fiscalità, è un tema che l’emergenza attuale non ha ancor consentito di affrontare.
Dal punto di vista del far contribuire i privati ad interventi materiali, ma anche immateriali che migliorino la situazione di area urbane toccate dalle trasformazioni, può essere ricordata un’esperienza interessante svolta in Spina 3, una delle più grandi trasformazioni urbane definite dal Piano regolatore del 1995 e ancora in parte in fase di realizzazione. Si tratta di un nuovo quartiere sorto su aree industriali dismesse, in cui al momento dell’insediamento degli abitanti si sono determinate condizioni di disagio, soprattutto per la mancanza di molti servizi, previsti ma non ancora realizzati. La Città di Torino ha quindi promosso la costituzione di un comitato di scopo che, finanziato direttamente dai costruttori con un simbolico euro a metro quadro costruito, si è occupato di accompagnare l’ingente processo di trasformazione affiancando sia gli attori della trasformazione sia e soprattutto nuovi e vecchi abitanti del territorio a creare e consolidare un nuovo “pezzo” di città. Questa esperienza che introduce a tutti gli effetti il concetto di “onere di urbanizzazione sociale” potrebbe essere riproposta in altre situazioni fin dall’inizio delle trasformazioni, una sorta di piano di accompagnamento sociale finanziato da chi dalla trasformazione trae utili e gestito da una vigorosa regia pubblica.

Come la nuova amministrazione pensa di muoversi in tema di politica urbanistica a 16 ani dall’approvazione del Piano, dopo un’esperienza di pianificazione strategica ormai giunta al termine, mentre sono in fase di avvio progetti di trasformazione rilevanti come la variante 200 al Prg [5].
C’è un aspetto da ricordare: le grandi trasformazioni urbane devono essere affrontate con una forte regia pubblica; potranno richiedere accordi pubblico-privato - come nel caso della variante citata, magari risolvendo attraverso questi il problema delle risorse, ma non possono essere pensati solo come un modo per fare cassa: la regia pubblica non è appaltabile. Una forte regia pubblica richiede, ovviamente, autorevolezza e legittimità, e queste derivano anche da processi di partecipazione e di coinvolgimento allargato.
Torino ha vissuto una fase irripetibile, lo stesso processo di governace che era stato costruito nella fase della pianificazione strategica, si è sfilacciato. Oggi è necessario porsi il problema di definire nuove linee di indirizzo per l’urbanistica e la trasformazione della città: se queste porteranno ad un nuovo Prg, o ad una sostanziale revisione di quello esistente, non è una questione rilevante. La questione rilevante è come ci si arriva, come si arriva a definire una nuova visione del futuro della città. Perché la questione è, appunto, definire una nuova idea di futuro. La situazione è fortemente cambiata sotto tutti i profili. Gli stessi operatori privati, che hanno lavorato alle trasformazioni urbanistiche ed edilizie negli ultimi anni, si troveranno in un mercato molto cambiato, dove gli utenti saranno giovani, precari, spesso senza lavoro, non in grado di accedere ai prodotti da loro realizzati. Definire una visione del futuro della città richiede un coinvolgimento molto allargato delle forze sociali, che porti ad una visione largamente condivisa, in sostanza richiede l’avvio di un nuovo processo di governance.

* L’intervista è stata svolta il 29 settembre 2011 e non è stata registrata. Il testo è stato steso da Silvia Saccomani e rivisto dall’Assessore.

[1I Comuni di Borgaro, Caselle, San Benigno, San Mauro, Settimo e Volpiano hanno dato vita all’Unione dei Comuni dell’area nord-est Torino, che si pone come obiettivo primario la gestione associata e coordinata di servizi comunali.

[2L’Agenzia è stata costituita nel 2003 ed ha la forma di un Consorzio di Enti Locali, cui partecipano oltre al comune di Torino, la Regione Piemonte, la provincia di Torino, e 31 Comuni dell’are metropolitana

[3Il quartiere San Salvario è un quartiere centrale, vicino alla stazione di Porta Nuova, che è stato un luogo concentrazione gli immigrati extracomunitari, e in cui si sono determinate condizioni di degrado e di conflitto.

[4L’Assessore Curti è al suo secondo mandato: nella Giunta precedente ricopriva il ruolo di Assessore alla Rigenerazione Urbana e in quanto tale ha gestito molte delle iniziative che hanno caratterizzato Torino nel campo della rigenerazione urbana delle periferie dalla seconda metà degli anni ’90. Ancora prima aveva gestito il Progetto Pilota Urbano "The Gate", finanziato dalla Comunità Europea, che ha sviluppato un processo di rigenerazione economica e sociale in un’area da sempre problematica, quella del grande mercato all’aperto di Porta Palazzo.

[5La Variante 200 riguarda un intero quadrante urbano, quello nord-est, in cui sono previste interventi di trasformazione importanti su uno scalo ferroviario da tempo abbandonato, e il riutilizzo di una trincea ferroviaria non più in uso per la realizzazione di una parte della seconda linea di metropolitana.

Data di pubblicazione: 27 marzo 2012