Dopo cinque anni di governo del centrodestra a Roma, si può riprendere il cammino per programmare, ripianificare, attuare le azioni di governo urbanistico della città. Roma è sempre stata un esempio trainante per il resto della Regione e per l’Italia. Le norme urbanistiche del Prg vigente consentono l’uso di strumenti innovativi e possono essere ancora migliorate. La rigenerazione della città esistente, la sostenibilità ambientale e la promozione del patrimonio paesaggistico e culturale costituiranno i principi guida per la urbanistica dei prossimi anni. Giovanni Caudo Assessore all’Urbanistica del Comune di Roma Capitale, illustra i principali intendimenti per il governo delle trasformazioni urbane del territorio romano.
La nuova agenda per il futuro di Roma.
La dimensione della città metropolitana e il governo del suo territorio con tutto quello che ne segue in termini di assetto e di articolazione in poli funzionali, sistemi di trasporto su ferro e su gomma, logistica, accessibilità dalla rete di trasporti a scala internazionale.
Ricompattare la città laddove è possibile realizzare nuove concentrazioni di funzioni, a partire dalle aree direttamente accessibili dal sistema su ferro, ferrovie regionali e metropolitane,
Dare più forza ed efficacia alla rigenerazione diffusa del costruito utilizzando gli strumenti previsti dal Piano regolatore generale vigente apportando, se necessari, dei correttivi normativi che possano semplificarne l’attuazione e la realizzazione. Favorire gli interventi sul costruito, specie nelle zone dove maggiore è il degrado, individuando incentivi fiscali e tributari.
Fare in modo che l’utilizzo degli immobili pubblici, dismessi o dismettibili, riorienti le scelte nell’uso del territorio e contribuisca a limitare l’ulteriore espansione fisica della città che scarica sulla collettività costi insostenibili in termini di opere di urbanizzazione e di infrastrutture.
Portare a compimento alcune scelte urbanistiche che si trascinano da anni e che in buona parte hanno perso il loro spirito originario. Mi riferisco agli interventi sulle ex aree abusive (zone O ed ex toponimi). Le Borgate di Roma sono state all’origine di un riformismo urbanistico che però ha perso la sua carica di innovazione e oggi è vissuto, in molti casi, dagli stessi abitanti di queste zone, come lontano dalle reali esigenze. Nati per dotare dei servizi essenziali parti consistenti di città, obiettivo che è stato in buona parte raggiunto soprattutto grazie all’azione delle giunte di sinistra tra la fine degli anni 70 e i primi anni ‘80, oggi i consorzi mancano l’obiettivo originario e spesso dirottano i proventi delle opere a scomputo in interventi non essenziali. Sembra cioé che stia prevalendo l’interesse per la dimensione edificatoria e una conseguente privatizzazione dello sviluppo urbanistico sull’affermazione delle esigenze collettive.
Ma questi punti non assumerebbero il profilo che devono avere se non si realizza il progetto Fori, previsto dal Piano regolatore generale e se non si dà attuazione all’area archeologica centrale e alla sua unione con l’Appia Antica. A questo disegno urbanistico deve corrispondere la costituzione del Parco Archeologico dei Fori e dell’Appia Antica, uno strumento unitario da istituire con apposita norma statale (già previsto per altro nella legge su Roma Capitale) in grado di assicurare, attraverso il coordinamento tra Stato, Regione e Comune, la tutela e la conservazione dei diversi valori che sono racchiusi in quell’area (archeologico, storico monumentale e paesistico-naturalistico) e che ne fanno, insieme all’Acropoli di Atene, probabilmente un unicum universale.
Roma è una delle città più belle, più articolate e complesse del mondo. È l’unica metropoli italiana che ha un Prg approvato pochi anni fa. Quali indirizzi guideranno le politiche urbanistiche per Roma e per la città metropolitana alla luce delle mutate condizioni degli ultimi anni?
Il Piano regolatore definitivamente approvato nel febbraio 2008 e uscito dal tavolo di copianificazione con la Regione Lazio deve essere attuato. Un Piano non è una fotografia statica di una situazione, è un processo. Sarà necessario quindi distinguere tra quello che dovrà essere attuato e quello che, anche a seguito di recenti scelte delle passate amministrazioni, costituisce ormai di fatto variante, spesso sostanziale al Piano vigente. Inoltre la cattiva gestione della norma che prevede le compensazioni rischia, in concreto, di vanificare le scelte operate a suo tempo dal Piano regolatore nel 2003 e poi nel 2008. Infine c’è l’esigenza di completare la graficizzazione del Piano regolatore generale, di risolvere le questioni sorte a seguito della mancata armonizzazione della zonizzazione di Piano adottata nel 2003, quella uscita dalla copianificazione e quella definitivamente approvata nel 2008. Ci sono, com’è noto, circa 228 aree che a seguito di questa messa in ordine necessitano di una ripianificazione. Inoltre c’è la questione della cartografia su cui è disegnato il Piano regolatore che non è di proprietà del Comune di Roma e che non può essere da noi modificata. C’è quindi l’esigenza di ridisegnare il Piano su una nuova base cartografica. Infine, ma non ultima, è la necessità di affrontare la decadenza dei vincoli delle aree pubbliche soggette ad esproprio. Com’è noto, questi vincoli valgono cinque anni e sono scaduti nel febbraio scorso. Bisogna quindi avviare una variante del verde e dei servizi per verificare la dotazione di aree a standard, anche alla luce delle numerose varianti apportate al Piano dalle compensazioni e dagli accordi di programma. Sarà necessario rifare completamente il bilancio delle aree pubbliche.
C’è poi l’esigenza di verificare l’esito delle trasformazioni in corso e delle previsioni per attivare una qualche forma di coordinamento territoriale delle scelte che oggi è assente. Gli uffici lavorano per strumenti e per competenze, tutto si muove in una logica frammentata e manca una visione territoriale delle scelte e degli esiti delle trasformazioni urbanistiche.
C’è quindi la necessità di avviare un processo che, muovendo dal Piano attuale, possa configurare una sua definitiva sistemazione e nello stesso tempo aggiornarne il contenuto e le scelte principali.
Con quali politiche e secondo quali priorità ritiene di affrontare il tema del rilancio della qualità urbana?
Stiamo pensando a diversi modi di affrontare quella che è una questione centrale e per lo più ineludibile, tanto più se vogliamo accedere alle forme di finanziamento di tipo europeo. Penso alla necessità di adottare i protocolli di certificazione per gli edifici ma anche per porzioni di città, la certificazione dei progetti di nuovi interventi di trasformazione urbana e di interi quartieri. C’è poi la volontà di favorire il ricorso ai concorsi di progettazione, anche per opere minute, apparentemente secondarie. Ereditiamo dalla precedente amministrazione il tentativo di un protocollo della qualità, abbiamo ripreso la sperimentazione e verificheremo se e come adottarlo all’interno delle procedure di formazione degli strumenti urbanistici. Nella riorganizzazione della struttura del dipartimento pensiamo di costituire un ufficio che si occupi di questo aspetto. Ma oltre a tutto questo teniamo al riequilibrio del rapporto tra pubblico e privato, un rapporto che oggi è fortemente squilibrato anche perché il soggetto pubblico ha rinunciato a svolgere il suo ruolo. Noi vogliamo tornare ad affermare non tanto un primato autoritativo del soggetto pubblico quanto una sua centralità per riaffermare gli interessi collettivi e ci impegniamo nei confronti delle imprese e degli operatori privati a dare certezza di norme e di tempi e soprattutto trasparenza. Lo schema di convenzione con cui oggi si regola la partnership pubblico-privato nelle trasformazioni, come le lottizzazioni, deve essere rivisto per dare seguito a questa volontà politica.
La sostenibilità ambientale ricomprende i temi più specifici della mobilità, delle problematiche energetiche, del contenimento del consumo di suolo. Come si declinano tali temi nella attuazione del Piano in corso?
Oggi le previsioni di Piano sono teoricamente tutte contemporaneamente realizzabili. Non c’è più un criterio di programmazione temporale che una volta l’amministrazione comunale esercitava attraverso il Ppa (il Piano pluriennale di attuazione). Una condizione che costringe l’amministrazione a inseguire le proposte del privato anche lì dove non ci sono le infrastrutture necessarie, spesso neanche le urbanizzazioni primarie. La soluzione è di caricare la trasformazione urbanistica degli oneri utili a realizzare le opere pubbliche necessarie, il privato in cambio ottiene degli incentivi volumetrici in deroga ai contenuti del Prg. Una soluzione che si è rivelata nei fatti inconsistente. Sono tantissimi i casi in cui la realizzazione delle opere private si è conclusa e invece le promesse opere pubbliche, soprattutto quelle di connessione esterna, mancano del tutto o quasi. Da qui l’insostenibilità complessiva della città che vede crescere il carico urbanistico ma non vede il conseguente adeguamento del sistema infrastrutturale. Si assiste a dei veri e propri paradossi urbanistici: comprensori di nuova formazione con una rete viaria anche sovradimensionata, delle vere autostrade in alcuni casi, e appena si varca il limite dell’intervento si trovano le antiche strade di campagna dove inevitabilmente la mattina ci si mette tutti in fila. L’esito di questa modalità di sviluppo come è evidente è insostenibile e non si può perpetuare oltre. In molti casi si tratta di aree dove non potrà mai arrivare un sistema di trasporto pubblico locale su ferro e anche quello di superficie non potrà corrispondere alla domanda. È necessario quindi pensare a un provvedimento che, sulla base della misurazione di alcuni criteri di sostenibilità - penso all’accessibilità, alla dotazione delle infrastrutture e ai costi a carico del soggetto pubblico - possa consentire all’amministrazione comunale di fissare delle priorità e di riprendere l’ordinato sviluppo del territorio e assicurare la sostenibilità degli interventi.
Sul tema delle risorse molti indicano che dovrà essere ripensato un nuovo sistema di fiscalità locale in grado di affrontare le questioni strutturali delle trasformazioni territoriali per consentire la costruzione della città pubblica e continuar a garantire standard e servizi. Quali sono i suoi orientamenti e le azioni che andrete ad intraprendere?
La fiscalità e i tributi locali sono leve importanti per il governo delle trasformazioni urbane che non hanno ancora trovato nel nostro Paese un’adeguata risposta legislativa. Il federalismo doveva contribuire ad andare in questa direzione ma in alcuni casi si è addirittura ottenuto l’esito opposto. Nel rivendicare quindi un quadro normativo nazionale che agevoli le trasformazioni dell’esistente mentre oggi queste sono penalizzate rispetto alla nuova edificazione, che metta in ordine, ad esempio, il regime dell’imposta sul valore aggiunto tra nuova edificazione e alloggi ottenuti a seguito di interventi di ristrutturazione urbanistica, ritengo che alcune cose, anche importanti, si possono fare a scala comunale. È possibile individuare delle zone a tassazione speciale o addirittura a tassazione zero, ad esempio per l’imposta sugli immobili e l’esonero dai tributi, come incentivo alla trasformazione dell’esistente. L’utilità sociale consisterebbe non solo nella rigenerazione di porzioni di città degradate ma anche nella possibilità che una quota delle unità abitative aggiuntive possa essere destinata ad usi sociali.
Infine, sulla costruzione della città pubblica, come già detto in precedenza, è centrale il rapporto pubblico-privato e quindi il monitoraggio e la valutazione delle forme di partenrship a cominciare dal contenuto della Convenzione che regola questo rapporto e che sottende alle trasformazioni urbanistiche. Su questo argomento, c’è bisogno veramente di fare un passo enorme in avanti e di fondare un nuovo patto civico tra le imprese e la città.
In che misura la ridefinizione del ruolo e dell’identità di Roma condiziona le scelte che orientano la riforma del governo urbanistico e la gestione della città e quali sono le immagini paradigmatiche che sintetizzano tali orientamenti?
Ho già detto qualcosa in merito a ciò quando ho citato il Progetto Fori, esemplare se possibile ancor prima che per l’idea progettuale per il potenziale che quel progetto esprime e che pure resta tale da troppi, tanti anni. C’è bisogno del coraggio di decidere: questa città ha tutte le conoscenze e le informazioni necessarie per costruire le proprie scelte ma fino ad oggi è mancato il coraggio di decidere. Una seconda immagine, che conosco bene nei pregi e nei difetti, e che però anche questa può evocare una direzione verso cui necessariamente ci si deve incamminare quando parliamo di riuso dell’esistente è l’area dell’ex mattatoio di Testaccio. Nonostante il senso di incompiutezza che pervade l’area e di mancanza di una gestione unitaria, questioni a cui cercheremo di dare una soluzione, resta fermo il principio che è possibile rigenerare dal suo interno la città costruendo luoghi di formazione, di cultura, di arte, di ricerca e aiutare la città a conseguire un nuovo volto mantenendo la sua identità e le sue radici. Qualche anno fa gli studenti di Architettura di Roma Tre aprirono i padiglioni agli abitanti di Testaccio e agli anziani. Io mi immagino che cada il muro che recinge i padiglioni dell’ex mattatoio e che i cittadini possano vivere gli spazi pubblici tra i padiglioni come delle piazze aperte alla città.
Quale rilevanza è riconosciuta alla partecipazione nella costruzione delle scelte di governo della città?
A Roma sono sorti negli anni moltissimi comitati di cittadini. Sono l’espressione di un malessere urbano determinatosi dal progressivo divaricarsi delle scelte urbanistiche dalle reali esigenze degli abitanti e dei cittadini. Si è fatta urbanistica senza fare città. I tentativi di normalizzare, con regolamenti e altri provvedimenti, la partecipazione degli abitanti si sono scontrati nei fatti con questa divaricazione e l’esito è stato una crescente mancanza di fiducia nel rapporto tra cittadini e governo della città. Dentro ai comitati i cittadini che solitamente sono impegnati in mestieri e lavori del tutto diversi si sono dovuti costruire, di necessità, competenze tecniche per comprendere le scelte urbanistiche e poter costruire le forme e i modi per opporsi, spesso con successo. È avvenuta una torsione del rapporto tra cittadini e istituzioni. Nello stesso tempo i comitati esprimono ormai una conoscenza diffusa delle dinamiche di trasformazione urbana preziosissima che non può essere ignorata.
L’impegno nei confronti della partecipazione dei cittadini dunque non è formale o di prassi. Bisogna ridurre la distanza tra le scelte urbanistiche e le esigenze reali dei cittadini e per farlo bisogna ristabilire un canale di comunicazione e un coinvolgimento quanto più diretto possibile. Nelle linee programmatiche di mandato abbiamo previsto i Laboratori di Città da attivare in ogni trasformazione urbanistica di rilievo, ma oltre a questo intendiamo attivare un canale di dialogo costante con la cittadinanza improntato alla trasparenza. Gli uffici dell’Assessore sono a disposizione di tutti i cittadini e i comitati; chiunque faccia richiesta, riceve un appuntamento e una risposta su quanto portato in evidenza. Con lo stesso spirito di trasparenza intendiamo comunicare alla città le nostre scelte e le nostre decisioni, perché in ogni caso la città ha bisogno di decisioni, ha bisogno del coraggio di decidere.