L’incremento della popolazione insediata in aree urbane, gli incessanti processi di urbanizzazione e infrastrutturazione stanno sempre più esponendo le città e i territori a stress di diversa natura (ambientale, sociale, economica) oltre che a catastrofi naturali. Innumerevoli e gravi sono le problematiche che la società contemporanea deve fronteggiare, dall’inquinamento al consumo di suolo, dall’aggravarsi di vecchie disuguaglianze all’emergere di nuove, dalla carenza di acqua e cibo alla necessità di salvaguardare la biodiversità e fronteggiare il cambiamento climatico.
Oggi più che mai, queste tematiche richiedono risposte e soluzioni efficaci e urgenti, per evitare il raggiungimento di quella che potrebbe divenire una condizione irreversibile.
Difficile non riconoscere che la crescita fisica dei consumi materiali in un sistema finito come la Terra, non possa essere infinita: “il 2030, anno in cui gran parte dei target dell’Agenda dovrebbero essere raggiunti, è ormai alle porte e, con esso, il probabile fallimento degli impegni presi relativi alla trasformazione delle nostre città in insediamenti più inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili e di quelli che puntano, in particolare, ad assicurare che il consumo di suolo non superi la crescita demografica, all’accesso universale a spazi verdi e spazi pubblici, alla riduzione del degrado del territorio e al mantenimento delle funzioni e dei servizi ecosistemici forniti dal suolo” (Munafò 2022: 7). Città e territorio chiedono quindi di confrontarsi con urgenza con i problemi concreti che derivano dall’attuazione della sostenibilità nei processi di sviluppo.
In tale contesto, il principio di sostenibilità si pone da decenni come approccio e paradigma per azioni ed interventi, con l’obiettivo di limitare l’accrescere di queste problematiche e mitigarne gli effetti a lungo termine: dal Rapporto Brundtland del 1987 ai SDGs dell’Onu del 2015, la definizione di sviluppo sostenibile è stata declinata in obbiettivi che coinvolgono e interessano tutte le dimensioni della sostenibilità a scala planetaria con l’intento di porre fine alla povertà, lottare contro le ineguaglianze e valorizzare lo sviluppo sociale ed economico, sottolineando aspetti di fondamentale importanza, quali i cambiamenti climatici e la tutela dell’ambiente.
Parallelamente si è sviluppato un pensiero ecologista che affronta anche criticamente alcuni concetti, tra cui quello di ‘sostenibilità’, per riflettere sul ruolo che la cultura può giocare nel passaggio ad un paradigma alternativo. In particolare, il limite che viene attribuito alla definizione formulata da Gro Harlem Brundtland (1987), figura femminile fondamentale della sostenibilità, prima donna al mondo a ricoprire la carica di primo ministro (in Norvegia), è quello di ridurre la sostenibilità a semplice aggettivazione di uno sviluppo ‘inceppato’, incapace di produrre redistribuzione e benessere ma solo crescita diseguale. In tal senso, al successivo Summit di Rio de Janeiro (1992) sulle condizioni della Terra viene riconosciuto il pregio di avere portato all’attenzione del mondo la nozione di ‘sostenibilità’ facendola diventare paradigma d’azione per molti Paesi e per molte politiche settoriali ma anche il difetto di non averla liberata dalla relazione stretta con lo ‘sviluppo’, cui viene imputato di essere ostaggio dal concetto dominante di ‘crescita’ (Franz 2022).
L’attuazione di obiettivi come quelli dello sviluppo sostenibile, così come della più recente ‘transizione ecologica’, apparentemente sostenuti a tutti i livelli politici, mostrano segni di debolezze e contraddizioni laddove stigmatizzano uno scontro tra valori che alcuni ritengono si possano e debbano mettere in coerenza tra loro, mentre altri considerano inconciliabili. Il campo sul quale si gioca tale scontro è quello dei modelli (o paradigmi) di sviluppo. In sostanza, i termini della discussione riguardano il fatto che la declinazione pratica del concetto di sostenibilità presenta difficoltà oggettive e si presta ad interpretazione ambigue laddove l’impossibilità di sostituzione del capitale naturale con il capitale economico conduce ad una definizione di sostenibilità ‘forte’, profondamente diversa da quella ‘debole’ più o meno esplicitamente adottata dell’economia ambientale di matrice neoclassica (Neumayer 2003).
Benché il dibattito sulla ‘transizione ecologica’ nel quadro di un più generale cambio di modello di sviluppo richieda una discussione ben più ampia di quella che si può solo evocare con queste note, è altresì evidente che la pianificazione urbanistica e territoriale si ponga come ‘agente’ della transizione in virtù della relazione diretta che collega le scelte di pianificazione e organizzazione dello spazio con le risposte che l’ambiente è in grado di fornire alle pressioni cui è sottoposto.
Occorre dunque domandarsi quale debba e possa essere l’effettivo ruolo della pianificazione e del piano.
Nell’affrontare le sfide della pianificazione urbanistica e territoriale nel contesto della (in)sostenibilità dello sviluppo, è imperativo guardare al futuro con una visione olistica, innovativa capace di integrare urbanistica ed ecologia. La direzione che prenderemo oggi influenzerà la qualità della vita urbana e la sostenibilità dei territori per le generazioni a venire.
In questa direzione, ci sono alcune ‘posture strategiche’ che è necessario assumere per promuovere pratiche di pianificazione che siano resilienti, inclusive e soprattutto sostenibili, che si possono individuare in:
integrazione e multidisciplinarietà: una pianificazione efficace richiede un approccio realmente integrato che consideri simultaneamente aspetti economici, sociali, ambientali e tecnologici. È fondamentale favorire la collaborazione tra saperi e professionalità di diversi settori, così come tra enti e pubbliche amministrazioni, imprese private e comunità locali. Solo attraverso un dialogo costante e la condivisione di conoscenze e risorse è possibile affrontare le complesse sfide dello sviluppo sostenibile;
innovazione tecnologica responsabile: le tecnologie emergenti, come i GIS, l’IoT e l’analisi dei Big Data, offrono strumenti potenti per migliorare la pianificazione e la gestione urbana; tuttavia, è cruciale che l’adozione di queste tecnologie sia guidata da principi etici, con particolare attenzione alla protezione (non formale) della privacy, alla sicurezza dei dati e alla promozione dell’equità. Inoltre, le innovazioni tecnologiche dovrebbero essere impiegate per amplificare la voce delle comunità locali nel processo di pianificazione, garantendo che le loro esigenze e aspirazioni siano parte delle decisioni;
partecipazione: la pianificazione urbanistica e territoriale non può prescindere dal coinvolgimento attivo delle comunità interessate; fermo restando il ruolo fondamentale della democrazia rappresentativa, la compartecipazione dei cittadini al processo decisionale garantisce che azioni e progetti di sviluppo rispecchino reali necessità e desideri della popolazione, promuovendo al contempo un senso di appartenenza e responsabilità verso l’ambiente urbano e lo stesso sviluppo sostenibile. Usati col dovuto equilibrio, gli strumenti digitali possono facilitare forme innovative di partecipazione e dialogo tra cittadini, stakeholders e amministrazioni;
formazione e educazione: investire nella formazione di professionisti e tecnici della Pa nel campo della pianificazione è essenziale per garantire che siano dotati delle culture e competenze necessarie per affrontare le sfide contemporanee. Parimenti, è importante promuovere una maggiore conoscenza e consapevolezza pubblica sui temi della sostenibilità, incoraggiando comportamenti responsabili e un impegno proattivo nella valorizzazione e tutela dell’ambiente.
Una domanda retorica per la cui risposta ritengo utile richiamare, con convinzione, le parole di Federico Oliva (2011): “In realtà, sono sempre stato convinto della necessità e dell’utilità del piano urbanistico, non come un quadro completo apparentemente razionale di regolazione dell’uso del suolo e di conseguente conformazione edificatoria, ma come un quadro di riferimento necessario per valutare i vantaggi e gli svantaggi di una certa trasformazione, o, come diremmo oggi, la sua sostenibilità complessiva, ambientale, sociale ed economica. Così come sono stato sempre convinto che un tale quadro di riferimento debba essere necessariamente territorializzato, basato cioè su un sistema d’informazioni adeguatamente cartografate e non possa accontentarsi di un sistema di regole e di procedure e, tantomeno, debba confidare solo su comportamenti virtuosi della gestione pubblica, tecnica e politica” (Oliva 2011: 12).
L’integrazione tra urbanistica ed ecologia rappresenta non solo una necessità per affrontare le sfide ambientali del nostro tempo ma anche un’opportunità per trasformare le città e i territori in luoghi più vivibili, resilienti e in armonia con la natura, attraverso l’applicazione di principi di pianificazione e progettazione sostenibili, la promozione della biodiversità urbana e l’adozione responsabile di tecnologie innovative a partire da quelle inerenti i sistemi di mobilità e trasporto.
Le sfide esistenti, comprese le resistenze al cambiamento e i costi iniziali, possono essere superate attraverso politiche lungimiranti, investimenti strategici e la collaborazione tra settore pubblico, privato e la società civile. Urbanistica ed ecologia non sono solo un compito degli urbanisti e degli ecologisti ma una responsabilità condivisa che richiede cultura, volontà e impegno da parte di tutti.
Guardando al futuro, l’urbanistica dovrà continuare a evolversi con l’avanzare della tecnologia e l’emergere di nuove pratiche sostenibili. L’obiettivo finale è la creazione insediamenti umani che non solo siano sostenibili dal punto di vista ambientale ma che offrano anche spazi inclusivi, accessibili e innovativi per le generazioni presenti e future.
Il prossimo aprile 2024 si svolgerà in Italia, a Venaria Reale (To) l’incontro dei G7 Ambiente ed Energia: sarà certamente un evento di grande risonanza e in quei tre giorni non mancheranno entusiastiche quanto impegnative, dichiarazioni di buone intenzioni.
Ma Alice nel Paese delle Meraviglie (Carrol 1872) ci insegna che non esiste solo il giorno del compleanno, che pur resta una giornata molto particolare perché accende e attiva attenzioni, parole speciali, donazioni. E ricorsivamente consente speciali celebrazioni.
Però arriva una sola volta l’anno. In quel giorno siamo felici perché ci sentiamo al centro del mondo e intorno a noi ruotano persone importanti e tante sorprese. Ma tutto il resto dell’anno? I rimanenti 364 giorni?
Ecco che una fiaba straordinaria deve continuare ad aiutarci a comprendere che il non-compleanno è ancora più importante, dato che si festeggia tutti i giorni tranne il giorno in cui siamo nati.
E quale può essere il senso di tutto questo? È una folle invenzione del Cappellaio matto o c’è un significato più profondo dietro a questa apparente stramberia?
Sappiamo che le fiabe contengono sempre un significato oltre le parole e oltre gli avvenimenti raccontati, proprio perché sono nate come simboli e archetipi di qualche insegnamento importante che anche la pianificazione e il buon governo del territorio dovrebbero recuperare.
Il non-compleanno degli eventi dell’ambiente e dello sviluppo (in)sostenibile ci suggerisce che possiamo imparare a collocare al centro delle nostre azioni, ogni giorno, la sostenibilità; ci insegna a cercare e trovare soluzioni sostenibili in ogni momento, ci aiuta a riconoscere la vita sul nostro pianeta come una lunga serie di giorni speciali che riceviamo in dono dall’Universo.
Brundtland G. H. (1987), Our common future, Oxford University Press, Oxford, Usa.
Carrol L. (1872), Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, trad. di Teodorico Pietrocòla Rossetti [prima versione italiana], Macmillan and Co., Londra.
Franz G. (2022), L’umanità a un bivio. Il dilemma della sostenibilità a trent’anni da Rio de Janeiro, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni.
Munafò M. (2022), “Riparte il consumo di suolo: raggiunto il valore più alto degli ultimi 10 anni”, Urbanistica Informazioni, no. 304, p. 7-8.
Neumayer E., (2003), Weak versus strong sustainability: exploring the limits of two opposing paradigms, Edward Elgar, Cheltenham, UK (II ed).
Oliva F. (2011), “Serve ancora il piano? Prefazione”, in P. Galuzzi, P. Vitillo (a cura di), Praticare il piano, Inu Edizioni, Roma, p. 8-19.