Urbanistica INFORMAZIONI

Il mestiere dell’urbanista

Intervista di Mauro Giudice a Massimo Gallione, Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti e PPC

Tutte le libere professioni, soprattutto quando si trovano a svolgere un ruolo nei riguardi degli enti pubblici, presentano molte difficoltà nell’affrontare momenti generalizzati di crisi economiche e sociali. Nel nostro paese gli ultimi anni, forse a partire dalla riforma costituzionale del 2001 (e dalla mancata riforma della materia), si sono caratterizzati da una somma di incertezze che hanno influito fortemente sul governo del territorio e, conseguentemente, con il ruolo professionale di chi, in questi anni, ha svolto questo compito.
All’incertezza legislativa si sono aggiunte nuove attenzioni, anche di carattere disciplinare, che hanno fatto sì che la professione non sia più soltanto “la redazione dei piani regolatori”, ma un insieme sempre più articolato di saperi e di conoscenze capaci di interpretare le realtà sulle quali si opera e di progettare scenari futuri compatibili con la sostenibilità richiesta per lo sviluppo delle città, dei territori e dei paesaggi del nostro paese.
Affrontare i temi di questa generale complessità (politica e disciplinare) consente di tracciare un percorso in grado di definire un nuovo quadro per il futuro della professione, soprattutto verso le nuove generazione di professionisti.
Su questi temi generali abbiamo chiesto all’architetto Massimo Gallione – Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) – di risponderci ad alcuni quesiti in merito per meglio chiarire l’attuale funzione della professione.

Qual è, all’interno dell’attuale periodo di crisi, il ruolo che è chiamato a svolgere l’architetto nei processi urbanistici?
Il dato fondamentale è capire la crisi, non solo tramite tutte le opportune analisi necessarie, ma anche indicando soluzioni credibili ed attuabili.
Il mercato edilizio privato sta subendo una difficoltà abbastanza consistente (di circa il 20% rispetto al 2005), ma quasi nulla rispetto al crollo verticale e profondissimo del mercato delle opere pubbliche architettoniche o ingegneristiche con esclusione delle sole grandi infrastrutture.
Infatti i Lavori Pubblici sono attualmente a solo il 10% di quanto lo erano non più tardi di 10 anni orsono.
Il Governo e le Regioni hanno provato ad intervenire nel settore privato con un “Piano casa” che si è rivelato del tutto insufficiente ad affrontare non solo una ripresa del mercato, ma anche il tema di un riequilibrio urbanistico territoriale, requisito oramai indilazionabile nel nostro paese.
Uscire dalla crisi significa uno sforzo normativo nettamente superiore a quello sino ad oggi prospettato, formulando, come noi suggeriamo da tempo, di affrontare, basandosi principalmente sul finanziamento privato, su di un efficace e pluriennale piano di rigenerazione delle periferie urbane delle nostre città. Qualità urbana ed architettonica, limitazione del consumo del territorio, mitigazione del rischio sismico ed idrogeologico, contenimento dei consumi energetici, dovrebbero essere gli assi portanti di tale riforma.
Se questo avvenisse in tempi relativamente rapidi il ruolo dell’architetto e dell’urbanista tornerebbero ad essere essenziali per lo sviluppo del paese.

Di conseguenza quali sono i limiti, i problemi e i contenuti del rapporto tra professionista privato e ruolo pubblico della pianificazione?
Oltre ad un “piano casa” veramente evoluto e basato sui criteri prima esposti è del tutto evidente che occorre procedere ad una ragionevole e responsabile semplificazione normativa ed amministrativa tesa ad esaltare nuovi rapporti costruttivi tra professionista pubblico e privato e, dato ancora più importante, tra amministrazioni pubbliche e cittadini.
Di questo tema si è occupato un recente convegno a Venezia promosso dal CNAPPC con il Ministro Brunetta e l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI).
Non più ottusa concorrenza, ma sostanziale ed efficace collaborazione.
Ridare dignità e nuovi significati etici a questi due differenti, ma essenziali ruoli, è uno dei nostri massimi compiti che ci prefiggiamo.

La professione come esprime le proprie capacità a fronte di nuove competenze e attenzioni disciplinari (la VAS, il paesaggio …)?
Intervenire sulla formazione universitaria e proporre ed organizzare il costante aggiornamento professionale degli architetti, sono passi essenziali che il nostro sistema ordinistico si accinge a compiere già a partire dai prossimi mesi.
Si tratta non solo di intervenire sulle discipline usuali, ma di ampliare la conoscenza sia in campo architettonico che urbanistico, a tematiche innovative: ad esempio sul versante sismico, piuttosto che su quello idrogeologico, o sull’uso di nuovi materiali alternativi ad una sclerotica industria edilizia italiana basata sul cemento armato.
Risistemare complessivamente il nostro territorio disastrato da sessant’anni di incuria, di abusivismo, di speculazione, è un compito che possiamo svolgere prioritariamente solo noi architetti ed urbanisti: di questi aspetti ci dobbiamo assume una responsabilità diretta. Certamente quindi dobbiamo attrezzarci opportunamente anche dal punto di vista conoscitivo.
È necessario che noi veicoliamo queste esigenze prima di tutto al nostro sistema universitario che spesso soffre di una endemica distanza da positive e sostanziali possibilità evolutive del mercato.

In un quadro così complesso quali sono le incertezze a fronte dell’attesa riforma nazionale della materia?
La maggiore delle incertezze è quella di origine politico–istituzionale che si riferisce ad una profonda frattura tra le competenze legislative dello Stato centrale rispetto a quelle delle Regioni. L’anarchia istituzionale successiva alla “incompiuta” riforma costituzionale del 2001 è tutt’altro che risolta; la massima Corte, in mancanza di ulteriori passi significativi della politica, non potrà riuscire se non parzialmente a risolvere una materia estremamente intricata.
Questo dato si riferisce a molti settori, ma la divaricazione tra interessi ed interpretazioni è veramente profonda in materia di governo del territorio.
Sono oramai quattro legislature che le diverse maggioranze ed opposizioni, che si sono alternate, affermano a livello parlamentare di avere raggiunto un accordo; ma sono altrettanto quattro legislature che non se ne fa niente. La ragione è appunto principalmente quella di uno scontro insanabile tra Stato e Regioni.
Definire una chiara demarcazione tra principi generali, tra aspetti pratici applicativi, tra norme di indirizzo e regolamentari è un ginepraio inestricabile stante l’attuale scrittura dell’articolo 117 della Costituzione ed altri a questo collegati.
In mancanza di un accordo di modifica costituzionale o di una credibile interpretazione univoca tra le parti è sinceramente impossibile aspettarsi una soluzione a breve del tema legislativo del Governo del Territorio.
Quindi alla luce delle riforme prima indicate e della mera constatazione che le finanze pubbliche non possono più essere fondamentali per rigenerare una vera ripresa del mercato edilizio, è del tutto ovvio che occorre basarsi sulle ampie risorse private che il nostro sistema nazionale dispone, indicando incentivi fiscali e volumetrici, introducendo opportune modifiche sul tema del diritto privato e su quello del “concedere” il diritto a costruire, tramite criteri del tutto innovativi per il nostro sistema legislativo.
Un nuovo apparato normativo che tratti la materia di un mercato privato teso a percorrere strade di prevalente interesse pubblico, pur con il legittimo ristoro di utili, è l’unica vera riforma da tracciare nel nostro paese in ambito urbanistico- edilizio.
È uno sforzo, già pienamente in essere in altri paesi europei, che può essere risolto ovviamente solo mediante un tavolo a cui siedano più soggetti.
È per questo che la nostra proposta può essere vincente solo con accordi condivisi con il sistema imprenditoriale, con i Comuni, con tutte le categorie professionali interessate, con il sistema creditizio etc.

Per finire, con uno sguardo ottimistico in prospettiva, esiste uno spazio per i nuovi laureati in pianificazione, e se sì quale?
In base ai molteplici aspetti sin qui tracciati certamente si! La crisi ha creato condizioni di lavoro per tutti i professionisti del nostro settore, estremamente precarie.
Il solo modo per uscirne è appunto cercare nuove strategie per nuovi mercati; occorre che le nostre professioni evolvano positivamente e coraggiosamente, altrimenti non se ne esce.
Certo la politica deve fare la sua parte.
Occorre quindi riattualizzare almeno una prima parte sostanziale del dibattito sulla Legge sui principi del Governo del Territorio nell’ambito di una necessaria intesa tra Stato e Regioni tesa prevalentemente ad attuare i seguenti quattro principi:
- semplificazione responsabile connessa all’efficacia dell’azione amministrativa;
- concertazione pubblico–privato;
- compensazione e perequazione urbanistica;
- fiscalità ed incentivi.
Proporre inoltre una vera, efficace e concreta proposta di Legge sul “Piano Casa” tesa prevalentemente alla rottamazione dell’edilizia postbellica di scarsa qualità e alla riqualificazione delle periferie urbane in modo da proporre alle forze politiche, agli operatori ed al Governo soluzioni tecnico- amministrative che ne rendano agevole e snella l’attuazione e quindi realistica una diffusa apertura del mercato della progettazione e della realizzazione.
Queste nostre proposte, anche dal punto della formazione, non possono che essere basate:
- sulla tutela delle risorse ambientali;
- sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici;
- sul razionale sviluppo degli insediamenti, garantendo la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle trasformazioni e sul contenimento delle espansioni urbane;
- sulla mitigazione del rischio sismico ed idrogeologico; Conseguentemente occorre quindi:
- una normativa per attuare veri master-plan di “rinnovo urbano delle periferie” da attuarsi per ambiti organici (quartieri/ isolati);
- la definizione di accordi pubblico-privati;
- l’attuazione degli accordi pubblico-privati mediante la perequazione urbanistica, i crediti edilizi e la compensazione urbanistica;
- la realizzazione di una fiscalità urbanistica, attraverso razionali incentivi e fondi pubblici di rotazione.
I master-plan di rinnovo urbano dovrebbero individuare gli ambiti delle periferie degradate, definendo le linee guida strategiche del loro rinnovo urbano da attuarsi attraverso interventi coordinati di conservazione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione di intere parti di insediamenti urbani, garantendo una adeguata dotazione di attrezzature pubbliche e incentivando l’iniziativa dei soggetti interessati anche prevedendo benefit consistenti nella incrementabilità dei diritti edificatori.
In tal modo l’Ente “Comune” torna ad essere al centro della programmazione urbanistica di sviluppo del suo territorio (e con lui i progettisti).

Data di pubblicazione: 24 marzo 2011