Urbanistica INFORMAZIONI

Il grande paradosso

Nel dibattito di questi ultimi mesi sui temi del governo del territorio e della rigenerazione delle nostre città tende ad affacciarsi in modo sempre più allarmante un conflitto, apparentemente insanabile, tra le aspettative di benessere (fisico, psicologico, economico, sociale ed ambientale) maturate dai cittadini e i ritardi accumulati dalle politiche che dovrebbero farsene carico.
Per effetto di un autentico paradosso della condizione urbana attuale le principali agglomerazioni del Paese registrano dunque una palese e insostenibile contraddizione, che fa sì che al desiderio ampiamente condiviso di vivere in contesti insediativi più sani, inclusivi e sostenibili corrisponda una persistente esitazione – quando non un vero e proprio rifiuto – da parte delle istituzioni e della pubblica amministrazione ad investire risorse commisurate al perseguimento di obiettivi così ambiziosi. Al punto che, mentre la popolazione urbana chiede visioni lungimiranti e trasformazioni coraggiose, i soggetti pubblici si rifugiano sovente in retoriche di semplificazione, che spesso mascherano l’inazione o, peggio, la rinuncia ‘programmatica’ ad intervenire.
Per quanto riguarda ad esempio la richiesta di contesti urbani più salubri, inclusivi e sostenibili, studi e rilevazioni molto recenti offrono autorevoli conferme, come nel caso del Dossier "Mal’aria di città" di Legambiente (2025), che registra il raggiungimento di livelli di inquinamento atmosferico oltre i limiti di legge da parte di 25 città italiane, con picchi significativi a Frosinone, Milano e Verona, e segnala al tempo stesso una richiesta insistente di politiche urbane più efficaci e integrate con cui migliorare la qualità dell’aria e, più in generale, dell’ambiente urbano. Nel complesso questa rilevazione evidenzia un’attenzione crescente da parte delle amministrazioni e dei cittadini verso la vivibilità urbana, con un aumento delle aree verdi accessibili e delle iniziative di forestazione urbana, che vengono percepite come una componente essenziale del benessere urbano e delle azioni a favore della lotta ai cambiamenti climatici e dell’incremento della resilienza urbana.
A fronte di questa rinnovata sensibilità, gli importanti vincoli di bilancio che penalizzano da tempo la nostra spesa pubblica ci costringono ad ammettere che la richiesta di una superiore qualità urbana implica inevitabilmente l’accettazione di costi economici, culturali e amministrativi che non sono probabilmente alla nostra portata. Tanto che mentre non si può fare a meno di riconoscere che l’intervento sulla città esistente con progetti di rigenerazione profonda e a grande scala richiede tempi di realizzazione adeguati, competenze approfondite ed investimenti rilevanti, il discorso politico tende sempre più spesso ad eludere questo dato fattuale, alimentando l’illusione di soluzioni rapide, quasi indolori, e trascurando la considerazione, che sembrerebbe evidente, che ogni trasformazione urbana significativa implica un’elevata complessità: sociale, normativa, progettuale.

Il mito della semplificazione e le promesse mancate

In linea con questa fiducia crescente nelle iniziative di legge, spesso incoerenti e di corto respiro, che sono state messe a punto più di recente, alcuni provvedimenti normativi adottati negli ultimi anni hanno mostrato i limiti di un approccio che, anche quando era dettato dalla necessità di mitigare criticità e incongruenze del nostro ordinamento, hanno finito per introdurre ulteriori fattori di confusione e di incertezza.
Misure come il Decreto semplificazioni edilizie (il Dl n. 76/2020), il Salva casa o il Salva Milano, per quanto fossero animate da intenti pragmatici almeno in parte condivisibili, hanno finito per tradursi in risultati modesti o controversi, dimostrando che la convinzione che si possa rinunciare ad una nuova legge organica sul governo del territorio, confidando nelle scorciatoie della rigenerazione semplificata, rischia di essere non solo illusoria, ma regressiva, [1] e che un alleggerimento dell’apparato normativo, se non è ben governato, può alimentare una crescente incoerenza della cornice legislativa, una pericolosa discontinuità amministrativa e nuovi conflitti interpretativi.
Anche a prescindere dai limiti, sempre più evidenti, del funzionamento delle istituzioni di governo – che hanno comportato da un lato la perdita di efficacia del lavoro parlamentare e della sua capacità di incidere sulle decisioni delle forze di governo, e dall’altro un ricorso patologico alla decretazione d’urgenza – la fiducia rivendicata dalla politica di riuscire a individuare un percorso semplificato verso il superamento di alcune grandi minacce della contemporaneità rischia di trascinare il dibattito pubblico in un processo decisionale sempre più episodico e confuso, che può condurre ad esiti inadeguati o addirittura controproducenti, e ad ignorare alcuni punti di vista cruciali della realtà.
Se poi prendiamo atto che la politica opera, per sua natura, all’interno di un quadro complesso di interessi e di priorità spesso conflittuali, non possiamo fare a meno di constatare che la formulazione di politiche chiare ed univoche si rivela quasi sempre assai problematica, tanto che la capacità di affrontare sfide globali come la transizione ecologica, la perequazione economica o il governo delle migrazioni di massa viene costantemente messa in discussione. Ne consegue pertanto che il ricorso alla semplificazione, sebbene possa apparire inevitabile al fine di rendere più trattabili alcune questioni particolarmente complesse, può portare ad una deriva riduzionista, e cioè a trascurare la complessità di un problema e a concentrarsi su aspetti superficiali o secondari, perdendo di vista di conseguenza le cause profonde e le interazioni sistemiche delle problematiche su cui le istituzioni sono chiamate a pronunciarsi.
Le conseguenze patologiche di questo modus operandi sono ormai ampiamente conosciute, e indirizzano in molti casi a generalizzazioni estreme, come nel caso della implementazione di soluzioni standardizzate a situazioni diverse, ignorando le specificità locali o settoriali. Effetti collaterali inaspettati fanno sì che provvedimenti superficiali e semplificati possano avere conseguenze negative impreviste, creando nuove disuguaglianze o aggravando problemi esistenti. Ne consegue quindi che soluzioni semplici possano essere accolte nell’immediato con maggiore favore, ma non affrontando le cause profonde di un determinato problema si limiteranno a produrre soluzioni temporanee, che nel lungo periodo finiranno per rivelarsi insoddisfacenti.
In definitiva si può assumere che una governance orientata a fornire risposte semplici a problemi complessi è inevitabilmente destinata a deludere le aspettative dei cittadini, con conseguenze significative anche per le forze politiche che ne hanno sostenuto l’ascesa. Secondo Hirschman (1983) tale delusione è sperimentata soprattutto quando l’aspirazione ad un cambiamento radicale si scontra con i limiti strutturali e sociali della circolazione dei beni pubblici, come nel caso delle disuguaglianze che intervengono nella loro distribuzione, o di interessi privati che cercano di appropriarsi indebitamente di tali beni. E tuttavia, nella attuale dinamica dei cicli elettorali, si verifica sovente che questa delusione venga percepita come un male minore rispetto a possibili alternative, quali l’inazione o la paralisi decisionale.

La complessità come condizione ineludibile del contemporaneo

Nel tentativo di trarre alcuni spunti propositivi dalle riflessioni che abbiamo appena sviluppato, conviene partire dalla considerazione che nelle vicende che hanno caratterizzato di recente il governo del territorio tende a manifestarsi da parte dei cittadini un’aspettativa crescente nei confronti della possibilità di vivere in contesti urbani più sani, più inclusivi, più sostenibili. E tuttavia, nonostante la qualità abitativa ed ambientale ormai si caratterizzi come una esigenza condivisa, è possibile riscontrare una persistente esitazione – quando non un vero e proprio rifiuto – della politica ad investire risorse adeguate in questa direzione. Da qui nasce il “grande paradosso” cui si fa riferimento in questo contributo: mentre la cittadinanza chiede visioni lungimiranti e trasformazioni coraggiose, l’azione pubblica si rifugia in retoriche di semplificazione che spesso mascherano l’inazione o, peggio, una esplicita e consapevole rinuncia.
Invece di cercare percorsi semplificati ed episodici, può rivelarsi pertanto ben più efficace l’adozione di un approccio sistemico che consideri le sfide della modernità come parte integrante di sistemi complessi, e che cerchi di tener conto delle interazioni tra i diversi elementi costitutivi delle politiche urbane e le loro conseguenze a lungo termine. Secondo tale paradigma è altresì opportuno che il governo del territorio faccia i conti con la complessità, e non cerchi in alcun modo di eluderla. Fino al punto che la riscoperta delle virtù indiscutibili del fondamentale esito dell’urbanistica – ovvero l’urbe – può rivelarsi la mossa vincente, invitando una comunità sempre più allargata a celebrare l’invenzione della città come il prodotto incontestabile di questa disciplina (Garau 2021).
Se è ormai indiscutibile che viviamo in sistemi urbani assai articolati, dove interessi, aspettative, norme e vincoli si intrecciano, l’idea di perseguire la qualità architettonica, urbanistica e ambientale all’interno di un quadro di deregolamentazione appare contraddittoria. La delegificazione produce effetti opposti rispetto agli obiettivi dichiarati: indebolisce la capacità progettuale, penalizza le buone pratiche e favorisce interventi opportunistici. In altre parole, non si possono avere città migliori con regole peggiori o, peggio, con l’assenza di regole.
In un quadro siffatto il valore della progettazione appare un fondamentale atto politico, e il paradosso di cui stiamo parlando non sembra ricomponibile, se non a condizione di riconoscere che la qualità urbana è un bene pubblico che va costruito con metodo, con coraggio e con strumenti normativi all’altezza di tale sfida. Occorre che la politica torni a vedere nella pianificazione non un ostacolo, ma un’occasione per generare valore collettivo. Ed è solo assumendo la complessità come risorsa – e non come alibi per l’inerzia – che sarà possibile dare risposta alle domande che le città continuano a porci.

[1Su questi temi sono intervenuto più volte, anche su Urbanistica Informazioni. Più in particolare nel n. 316/2024 (“Grande è la confusione sotto il cielo”), ho già evidenziato come alcuni provvedimenti recentemente approvati, e quelli ancora allo studio, “sembrano tradire l’intenzione di attribuire alle norme in materia edilizia, e in particolare al nuovo Testo unico Edilizia che è in fase di avanzata elaborazione, il compito di esercitare un’azione di supplenza nei confronti di alcune questioni più propriamente urbanistiche e che sono da tempo in attesa di definizione, quali ad esempio la rigenerazione urbana o la previsione di dotazioni urbanistiche di nuova generazione” (Talia 2024: 7).

Riferimenti bibliografici

Garau P. (2021), “Stadtgeist o lo spirito della città: escapismo romantico o umanesimo urbano?”,Planum. The Journal of Urbanism, vol. 1, no. 41 [http://www.planum.bedita.net/garau-stadtgeist-o-lo-spirito-della-citta [http://www.planum.bedita.net/garau-stadtgeist-o-lo-spirito-della-citta]].
Hirschman A. O. (1983), Felicità privata e felicità pubblica, Il Mulino, Bologna.
Legambiente (2025), Mal’aria di città. Luci ed ombre dell’inquinamento atmosferico nelle città italiane [https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/MalAria-2025.pdf [https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/MalAria-2025.pdf]].
Talia M. (2024), “Grande è la confusione sotto il cielo”, Urbanistica Informazioni, no. 316, p. 7-8.

Pubblicato il 28 luglio 2025