La situazione che stiamo vivendo a causa della pandemia da coronavirus è parte di un processo complesso, che mescola aspetti sanitari, sociali, economici e che disegnerà una nuova organizzazione del territorio.
Territorio è la parola evocata stavolta non dai professionisti del territorio ma dai medici lombardi che hanno denunciato l’errore di concentrarsi sull’ultima trincea, gli ospedali, quando sarebbe stato necessario organizzare meglio le strutture territoriali di base.
Il territorio vedrà una ripresa controllata delle attività, ripensamenti e marce indietro , azioni di natura sanitaria e reazioni di natura economica. Un processo che cambierà abitudini, comportamenti, stato sociale, con la minaccia incombente di nuove drammatiche povertà. Un gigantesco esperimento sociale (internazionale 28 aprile) che già riguarda 3 miliardi di persone con conseguenze sociali e psichiche inedite.
Un processo di feed back continui con eventi imprevedibili ,di adattamento dinamico, che con-fonde gli ambiti professionali, obbliga a interagire con altre discipline e aprirsi al contributo dei cittadini, trae forza dalla circolarità di informazioni tra enti, istituzioni, persone .
Un processo globale e locale, la cui efficacia si misura in termini esclusivamente empirici, che coniuga quattro parole: complessità, interdisciplinarietà, partecipazione, autorganizzazione, intendendo la partecipazione non solo come prerogativa democratica ma anche come componente essenziale del processo interattivo di scambio con l’ambiente.
Un processo che impegnerà soprattutto le grandi aree urbane per trovare soluzioni compatibili con il distanziamento fisico partendo dalla difficile riorganizzazione del trasporto pubblico, da una riduzione della mobilità urbana grazie a una ristrutturazione dei servizi di prossimità, da una rivalutazione del quartiere in termini funzionali, simbolici, identitari.
Le città continueranno ad accogliere la maggior parte dell’umanità, sia chi le ama sia chi è costretto a viverci. I territori si assesteranno su nuovi equilibri, su nuovi pesi insediativi, ma l’attrazione per le città resterà. L’uomo è un animale sociale, le città sono state e restano i luoghi privilegiati della convivenza tra estranei, luoghi densi, conflittuali ed emancipatori. Le città, quelle vere, quelle che condensano storia, cultura, sostenibilità ambientale, buon governo sopravviveranno a qualunque virus.
Con le recenti interviste pubblicate da Repubblica l’architetto Fuxas e l’architetto Boeri si candidano invece a formare il gruppo di testa di un movimento anti-urbano che trova ispirazione dalle circostanze imposte dal coronavirus.
Sorprende la categorica certezza di Fuxas che definisce la città una prigione mentre più sfumata è la posizione di Boeri che auspica un “Ministero della dispersione”. La principale motivazione è di ordine sanitario: città tropo dense e inquinate favoriscono la diffusione dei virus.
La storia delle città è costellata di proposte di tipo sanitario, dalle Garden cities di Howard alla Ville radiuese di Le Corbusier, che in buona misura hanno influenzato la costruzione dei suburbs americani, dove si materializza nella casetta con giardino l’american way of life , e la proliferazione delle più modeste villettopoli nostrane. Motivi di natura sanitaria portarono negli anni 60 all’abbandono dei centri storici da parte dei ceti medio-alti perché non c’era abbastanza luce e mancavano adeguati servizi igienici. Furono costruiti quartieri residenziali con servizi igienici di lusso ma poi ci si accorse che mancava la città, non c’erano negozi né adeguati servizi di prossimità, si doveva prendere la macchina per qualunque commissione, il quartiere era privo di identità. Cosi nacque un movimento opposto di gentrificazione dei centri storici. Corsi e ricorsi della vita urbana.
Sono ancora motivi di natura sanitaria quelli che spingono Fuxas a indicare la necessità di attrezzare le case popolari con bombole d’ossigeno necessarie per la cura da coronavirus. Coerentemente con questa impostazione, in vista di probabili nuove pandemie annunciate dai virologi, le case dovrebbero essere attrezzate anche contro altri virus trasformando la casa in un “ambulatorio domestico” che difficilmente rientra nelle aspirazioni dell’abitante di Tor bella Monaca o dell’operaio dell’Ilva di Taranto i quali sarebbero realisticamente soddisfatti di un ambulatorio territoriale attrezzato contro le pandemie, come invocato dai medici lombardi.
Più in generale il messaggio di Fuxas è lapidario: fuggire dalla città.
La proposta di Boeri di ripopolare i borghi abbandonati delle aree interne è salutata con entusiasmo da Marco Busone, presidente dell’Unione dei comuni montani. Che i borghi debbano essere ripopolati è più che condivisibile, Fabrizio Barca dedica attenzione e convoglia risorse su questo obiettivo. Si dovrà comunque evitare che i borghi si trasformino principalmente in resort esclusivi per benestanti come già è accaduto in alcune aree interne di prestigio.
Tra le città e i borghi ci sono le campagne, in parte abbandonate o angustiate dalla mancanza di mano d’opera. C’è chi propone di regolarizzare gli immigrati che hanno robuste braccia e che possono raccogliere i frutti della terra. L’auspicato ripopolamento dei borghi potrebbe contemplare un mix sociale nel quale troverebbe un po’ di posto il modello Riace?
La perseverante attitudine di Boeri al rinverdimento degli edifici, giustificato dalla riduzione del CO2, indicava già da tempo una predilezione per una naturalizzazione dell’artificio edilizio, un annunciato viatico per la dispersione urbana verso la campagna.
Ma i virus passano e le città restano, è successo con la peste di manzoniana memoria, con il virus della spagnola, con l’ebola e così via. Saranno le grandi aree urbane del mondo il terreno della sfida tra chi vorrà ripristinare il vecchio modello di sviluppo e chi vede l’opportunità di avviare una riconversione ecologica incardinata su ambiente e salute come beni comuni inalienabili. E’ una scelta esiziale per il pianeta, come ci ricordano i giovani di “Friday for future”, che sono stati zittiti dal virus ma è prevedibile che presto faranno sentire di nuovo la loro voce.
Perché architetti di fama internazionale non dovrebbero accettare la straordinaria sfida che riguarda il futuro delle città ?
In una parte dell’opinione pubblica e del giornalismo alberga la vecchia idea dell’architetto demiurgo senza il quale «è impossibile che ogni cosa abbia nascimento» per dirla con Platone. Ma i processi complessi sono irti di ostacoli che nessuna autorità morale o professionale può superare da sola, presentano tanti vincoli dettati da eventi imprevisti o da imposizioni di altre discipline . Ho avuto la fortuna di frequentare negli ultimi anni della sua vita Mario Ridolfi, citato da Fuxas in riferimento al piano-casa del dopoguerra, il quale sosteneva che più sono i vincoli e le richieste (intelligenti) del committente migliore è il progetto.
Fuxas mio coetaneo e già compagno di studi ricorderà l’Olanda del compianto Cruijff inventore del calcio totale: una strategia dinamica del gioco fa sì che la somma dei giocatori dia un valore maggiore del valore che si ottiene dalla somma dei giocatori presi singolarmente, cioè la totalità influenza le parti del sistema.
Come architetto, urbanista, cittadino sarei lieto di vedere Fuxas e Boeri ale tornanti del gioco di squadra nella partita che vede le città battersi contro le pandemie.