Gli standard urbanistici sono una conquista culturale e sociale da difendere, che può essere adeguata alla prospettiva di miglioramento delle città che auspichiamo.
Riaprire la pagina degli standard è, per l’INU, occasione per riportare appieno nella cultura urbanistica la centralità delle questioni sociali, mai estranee alla disciplina di cui ci occupiamo nella ricerca, nella formazione, nelle pratiche professionali, nel governo pubblico.
Proteggere e progettare gli ambiti territoriali e urbani per mantenere, riprodurre, integrare le attività sociali, economiche, culturali, comporta avere attenzione ai diritti, quelli da garantire nella trasformazione della città esistente.
È tempo, perciò, di passare dagli standard pensati per la crescita della città alle dotazioni per la qualità delle diverse forme urbane, dalle destinazioni d’uso alle attività, dalla predeterminazione di assetto all’idoneità ambientale, dalla pre-quantificazione degli spazi alla loro riconfigurazione.
Come accadde per i minimi inderogabili di spazi pubblici, stabiliti nel Decreto Ministeriale del 1968, così, oggi, affrontare la questione degli standard nell’ambito del rinnovo delpiano è questione che afferisce ai diritti alla vita urbana: solidarietà, qualità estetica, efficienza ambientale, sicurezza, accessibilità ai servizi materiali e immateriali. Essa non prescinde dall’orizzonte culturale, dalla consapevolezza dei bisogni, dagli insegnamenti provenienti dalle migliori sperimentazioni locali, dalle condizioni di contesto e dalle tante e diverse aspettative.
All’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, il dibattito sull’obbligatorietà dei servizi sociali nella programmazione urbanistica, oggetto di un Documento dell’Unione delle Donne Italiane nel 1963, s’incardina nella complessità delle battaglie per la casa e nelle speranze per una nuova legge urbanistica, ma anche sulla rivendicazione delle donne per il riconoscimento di servizi sociali che le aiutassero a coniugare l’impegno casalingo e quello nel mondo del lavoro al quale avevanofinalmente avuto accesso.
Nello stesso anno si svolse un Convegno dedicato alle grandi città, nel quale furono trattati gli aspetti della pianificazione urbanistica e organizzazione della società, da un lato e dall’altro i problemi della democrazia politica. L’introduzione di Luciano Barca aveva per oggetto sviluppo economico e urbanizzazione; Carlo Aymonino parlò di nuova concezione della città; Giuseppe Campos Venuti trattò di proprietà del suolo e pianificazione urbanistica.
L’anno dopo, il Convegno che recava il titolo di quel Documento, organizzato dall’U.D.I., ha fra i relatori Edoardo Detti, Giovanni Astengo, molti amministratori comunali, e si conclude con la richiesta di impegno inviata al Ministero dei Lavori Pubblici, a Regioni, Province e Comuni, per garantire il reperimento delle aree per i servizi sociali.
Il dibattito aveva avuto come temi di ampia discussione la casa, i servizi per l’infanzia e la gioventù, le reti per i servizi, il coordinamento dei tempi e degli spazi, ma anche la città nel suo complesso e l’urbanistica.
La contemporaneità vede un mutato quadro di condizioni sociali, uno scenario di migrazioni e di rischi ambientali, una spiccata frammentazione dei cicli di vita e dei bisogni, il progressivo invecchiamento della popolazione, la drammatica riduzione delle risorse pubbliche.
Oggi, a fronte di un’attenzione crescente alla città, ove sono centrali questioni come l’adattamento ai cambiamenti climatici e sociali, le strategie di prevenzione dei rischi, l’importanza delle reti, materiali e immateriali, che costituiscono città pubblica in senso lato e di sostanza, è necessaria la declinazione rinnovata degli standard.
Per la città in espansione, oggetto dei piani regolatori del Novecento, il diritto a quote inderogabili di verde, parcheggi e attrezzature pubbliche ha rappresentato una conquista della cultura urbanistica. Quella conquista va resa funzionale alla città da riqualificare, oggetto dei piani del XXI secolo.
Si tratta di integrare la misura quantitativa con parametri qualitativi e prestazionali utili a generare valore pubblico, a garantire la funzionalità eco-sistemica degli ambienti favorevoli allo svolgimento delle attività umane, a rispondere ai nuovi bisogni.
Le nuove dotazioni pubbliche sono le reti ecologiche che ospitano la mobilità lenta e permettono la riproduzione di biodiversità, le opere di bonifica e di difesa dei suoli, i servizi dell’abitare sociale, la produzione energetica, gli spazi che servono per ridurre le isole di calore e quelli da lasciare liberi per gestire le emergenze, quelli che servono per l’aria e l’acqua, per la riforestazione e per l’agricoltura di città.
È tempo di indicare i nuovi minimi inderogabili per i progetti unitari di risanamento e riabilitazione dei luoghi urbani.
La necessità di collegare la pianificazione urbanistica e le azioni sociali è attuale come non mai: l’urbanistica non è confinabile nei settori tecnici e amministrativi, ha una valenza sociale, deve tornare nelle agende politiche.