Urbanistica INFORMAZIONI

I corsi di laurea in urbanistica e pianificazione falcidiati da Gelmini

L’incontro convocato a Venezia da Matelda Reho, preside dell’unica facoltà di Pianificazione italiana, è servito per riprendere lo scambio di informazione tra i corsi di laurea e rilanciare un coordinamento dei loro presidenti. La prima esplorazione che si è riusciti a condurre presenta un quadro peggiore dell’assetto ufficiale dell’insegnamento delle materie della pianificazione urbanistica e territoriale di quanto appare dalle tabelle ufficiali per due motivi principali: 1) alcuni corsi di laurea, anche se istituiti, non saranno attivati nel prossimo anno accademico; 2) si registra una riduzione dei settori scientifici disciplinari ICAR 20 (tecnica urbanistica) e 21 (urbanistica) negli altri corsi di laurea in cui tradizionalmente erano presenti. Il panorama degli studi urbanistici in Italia è molto variegato. Lo “sfiocca mento” dal ceppo degli architetti e degli ingegneri ha trovato varie direzioni per esplorare i rapporti interdisciplinari alla ricerca di una formazione in grado di completare le competenze di un tecnico in sintonia con la complessità dei fenomeni territoriali. In questa direzione si sono sviluppate anche relazioni con facoltà di agraria, scienze naturali, economia e giurisprudenza che tuttavia appaiono fragili, in molti casi, nonostante la grande promessa formativa, e incapaci di resistere alla mannaia ministeriale ed all’arroccamento dei settori scientifici disciplinari. I corsi si trovano penalizzati da una forbice che vede crescere il numero degli studenti, ma ridursi le risorse in special modo per effetto del blocco del turn-over dei docenti. Così quando un corso chiude non si sta tagliando un ramo secco, improduttivo, dove non c’è domanda, ma si sta solamente prendendo atto che, nonostante tutti gli sforzi dei volenterosi che si sobbarcano di orari di lavoro crescenti, bisogna applicare le dettagliatissime e contraddittorie norme ministeriali sulle numerosità [1].
L’analisi della domanda mette in luce settori nuovi, a cui si riesce a dare una risposta ancora più carente. Si tratta degli studenti lavoratori per i quali raramente vengono determinate condizioni di orario, e di curricula adatti alle loro disponibilità; oppure della formazione continua, per l’aggiornamento di professionisti e funzionari di enti pubblici sulle innovazioni tecniche e normative. La riunione ha considerato le opportunità fornite dalle nuove tecnologie di comunicazione quale ulteriore strumento per mantenere in contatto tra di loro i diversi corsi e potenziarne l’offerta formativa.
Per altri versi, alle nuove tecnologie bisogna dare uno spazio sempre maggiore nell’insegnamento, restando sempre attenti ed informati sulla loro rapida evoluzione. Come i Sistemi Informativi Territoriali hanno avuto grande e rapida diffusione negli enti locali contribuendo decisamente al governo del territorio e creando una domanda di tecnici esperti in quel settore, si affacciano sempre di più nuove tecnologie in grado di aumentare le conoscenze, rendere i rilevamenti sempre più sofisticati, razionalizzare e sostenere con maggiore consapevolezza i processi decisionali, costruire scenari complessi e previsioni. Per far fronte alle crescenti difficoltà, si esplorano le più diverse possibilità e risultati incoraggianti provengo dalle potenzialità delle relazioni tra corsi ed atenei, anche in reti internazionali. Per questa strada, si riesce ad ottimizzare risorse scarse specialmente se altamente specializzate, utilizzando la mobilità degli allievi tra diverse sedi. La soluzione è funzionale anche al radicamento in aree con limitata domanda non sufficienti a sostenere una dotazione completa dell’offerta formativa. Il gradimento degli allievi per un percorso accademico itinerante è certamente presumibile, come la concentrazione più perimetrata su aree di ricerca ed insegnamento ha tutti i suoi ben noti pregi e difetti certamente contribuenti a rafforzare il profilo delle identità delle scuole, comunque fattore di ricchezza per la libertà di scelta degli immatricolandi.
Tuttavia non va sottovalutato come le scuole hanno operato un radicamento territoriale rivelatosi uno dei fattori da innescare nello sviluppo sostenibile locale in grado di evidenziare le risorse territoriali, suscitare attori e promuovere processi di apprendimento e di proposta. Questa funzione di radicamento non ha mancato di riflettersi nelle conoscenze e negli stili didattici rivelandosi quanto mai fertile per gli avanzamenti disciplinari. In termini più elementarmente istituzionali non si può trascurare come, aver reso il governo del territorio materia di competenza regionale concorrente, abbia ampiamente diversificato non solamente la normativa, ma anche le pratiche urbanistiche e perfino il lessico. I benefici di riflettere, in qualche sua parte, nell’Università questa regionalizzazione, non si riferiscono solamente alla preparazione di professionisti tecnicamente competenti, ma anche alla possibilità di uno sviluppo dell’autonomia attraverso l’apporto della ricerca appuntata sulle singolarità ed esperienze locali. A valle di una rapida esplorazione della situazione, di cui ho riportato alcuni tratti, per me, salienti, si è dovuto necessariamente convenire sulla gravi difficoltà in cui è stata costretta l’attività universitaria del nostro settore ed il grave danno che da tutto ciò può derivare. Le condizioni di ristrettezza e di condizionamento son tali che non appare sufficiente nessuna modalità di adattamento e il massimo sforzo ed impegno del personale universitario all’interno del presente quadro risulterebbe del tutto insufficiente a dare quel minimo di risposte che il paese si attende. D’altra parte, la stessa attuazione della legge Gelmini dovrebbe rendere logicamente obsoleto la griglia normativa centralizzata che controlla i corsi di laurea in quanto rinnova la governance degli Atenei e ad essi dovrebbe coerentemente riconoscere l’autonomia di gestione perlomeno di una quota di quei dettagli attualmente stabiliti a livello nazionale. Perciò in questa fase attuativa è necessario che si senta anche la voce di pianificatori e a questo scopo è chiamato il coordinamento dei presidenti dei corsi di laurea il quale programma in ottobre la sua costituzione ufficiale ma che già da subito richiede la presenza nel coordinamento dei presidi delle facoltà di architettura della preside della facoltà di pianificazione. Il coordinamento si rivolge alle associazioni ed agli istituti degli urbanisti: ad AssUrb, INU, SIU, UrbIng ed ai SSD Icar 20 e 21 affinché si uniscano nella rivendicazione della funzione essenziale che ricerca e didattica dei corsi di laurea svolgono per il governo del territorio e coinvolgano le altre associazioni che hanno a cuore questo tema quali le associazioni ambientaliste, ACI ed UPI.
I corsi di laurea si impegnano a delineare quel profilo professionale a cui hanno dato vita negli ultimi anni della loro attività esplicitandone le qualità e documentando il contributo che ha fornito nelle istituzioni e nella professione. Questo manifesto dell’urbanista e del pianificatore non vuole essere solamente una difesa della sua utilità sociale, ma un momento di confronto e verifica sull’operato svolto con la sincera determinazione a valutarne i lati positivi e negativi; in un momento di svolta, quando il lavoro accademico deve necessariamente essere sottoposto al giudizio severo di un bilancio ed ad un nuovo indirizzo. I parametri di performance che provengono dalla domanda degli enti locali come da quella più in generale di una società a confronto con fondamentali sfide ambientali, costituiscono la misura dei contenuti minimi della formazione. Questo circuito virtuoso è stato, per un certo tempo, trascurato, lasciando il campo ai paletti della burocrazia ministeriale, senza confronto con gli esponenti della disciplina. La chiusura in 5 anni di 10 corsi di laurea triennale (circa la metà di quelli esistenti nel 2006) e la riduzione a 10, nel paese dei corsi di laurea magistrale è solo uno dei molteplici attacchi che sono stati condotti al governo del territorio, alla cura dei beni comuni. L’orgoglio del nostro impegno chiede di non continuare a subire passivamente, ma di reagire, in primo luogo con l’informazione di quanto è stato realizzato e con il dialogo, poi, di tutte quei soggetti che si sentono coinvolti nelle medesime finalità.

[1Si rimanda alla recente pubblicazione di Emanuela Stefani e Vincenzo Zara, Dentro il labirinto. La sostenibilità dei corsi di studio alla luce della recente normativa (DM 17/10 e DM 50/10), pubblicata a cura della CRUI, Roma 2011, dove si conduce una analisi dettagliata delle norme e delle loro contraddizioni e lacune.

Data di pubblicazione: 7 luglio 2011