Urbanistica INFORMAZIONI

Grande è la confusione sotto il cielo

La cronaca di questi anni e, soprattutto, alcuni progetti di legge promossi negli ultimi mesi dalla attuale maggioranza di governo stanno ormai dimostrando con plateale chiarezza che in Italia la riforma della disciplina urbanistica tende sempre più spesso ad affidarsi ad iniziative incoerenti e di corto respiro. Anche quando sono dettati dalla necessità di mitigare reali criticità e gravi incongruenze del nostro ordinamento, tali provvedimenti privilegiano approcci circoscritti e settoriali, tanto da ingenerare il dubbio che si tratti di accorgimenti tattici destinati ad introdurre ulteriori fattori di confusione ed incertezza, e che denunciano in definitiva la volontà di privilegiare proposte di mera semplificazione e, almeno in prospettiva, di delegificazione.
La “grande confusione” a cui fa riferimento il titolo di questa mia breve riflessione è dunque quella che caratterizza nel nostro Paese la regolamentazione dell’uso del territorio. Il riferimento immediato ad una notissima massima di Confucio è tuttavia solo parziale. Per il filosofo che l’aveva coniata, e per Mao Zedong che l’avrebbe ripresa a distanza di oltre duemila anni, il caos nel quale era piombata la società cinese (rispettivamente nel VI-V secolo aC, e alla metà del secolo scorso) faceva ritenere infatti che la situazione fosse altresì ’eccellente’, dal momento che avrebbe finito per convincere la maggior parte della popolazione di questi due periodi, pur così diversi, ad intraprendere un percorso rivoluzionario di cambiamento. Al contrario, cioè, di quanto può accadere in Italia nella situazione attuale, quando c’è principalmente il rischio che la tentazione di fare a meno della pianificazione – e di una riforma d’insieme del governo del territorio – si consolidi ulteriormente e finisca per prevalere.
Le prove tangibili di questo orientamento sono ancora poche, ma l’iter sembra chiaramente delineato, ed evidenzia il perdurare della sfiducia dei partiti di governo, e di parte dell’opinione pubblica, in strumenti normativi la cui messa a punto presuppone una lunga e complessa elaborazione. Prima l’approvazione del Decreto Salva Casa, e poi la presentazione su iniziativa dell’intera maggioranza in Parlamento della Proposta di legge n. 1987 (la cosiddetta proposta di legge "Salva Milano"), tradiscono l’intenzione delle forze politiche di affrontare le principali sfide della pianificazione privilegiando percorsi procedurali accelerati e settoriali. Tale modus operandi appare peraltro favorito, soprattutto negli ultimi anni, dalla approvazione di nuove norme statali e regionali che hanno introdotto misure di semplificazione e di flessibilità, quali, ad esempio, i Piani casa variamente denominati, i Piani attuativi in variante, il Permesso di costruire convenzionato, ecc. [1].
Lungo un percorso che denuncia in molti casi una certa attitudine alla improvvisazione, negli ultimi mesi i provvedimenti approvati e quelli ancora allo studio sembrano tradire l’intenzione di attribuire alle norme in materia edilizia, e in particolare al nuovo Testo unico Edilizia che è in fase di avanzata elaborazione, il compito di esercitare un’azione di supplenza nei confronti di alcune questioni più propriamente urbanistiche e che sono da tempo in attesa di definizione, quali ad esempio la rigenerazione urbana o la previsione di dotazioni urbanistiche di nuova generazione.
Come ho già avuto modo di sottolineare nel corso della audizione dell’Inu del 17 giugno 2024 alla VIII Commissione della Camera dei Deputati, esistono ormai le premesse perché si realizzi una ulteriore invasione di campo della legislazione in materia edilizia su questioni che attengono invece alla disciplina urbanistica, se non altro perché il legislatore non dispone ancora di una legge di principi del governo del territorio in cui introdurre i necessari emendamenti. Ma è di piena evidenza che gli effetti di un tale atteggiamento potrebbero essere particolarmente negativi, sia nel senso di un ulteriore ampliamento delle materie di potenziale conflitto giurisdizionale, sia a seguito dell’introduzione di un evidente squilibrio nel procedimento approvativo tra norme “urbanistiche” a tutti gli effetti, tenute a seguire un iter più lungo, complesso e partecipato, e norme “edilizie”, che pur essendo soggette alla approvazione di una semplice delibera comunale, sono tuttavia in grado di incidere direttamente sulla quantificazione del diritto a edificare e sulla trasformazione del sistema insediativo.
Fin qui le considerazioni che abbiamo appena sviluppato possono apparire troppo pessimistiche, e potrebbero erodere la presenza di margini di manovra che sono invece necessari per chi, come il nostro Istituto, non ha ancora rinunciato ad esercitare la propria funzione autenticamente riformista. Anche per questo motivo non solo intendiamo proseguire la nostra opera di divulgazione del progetto di legge su “I principi fondamentali e norme generali per il governo del territorio e la pianificazione” che abbiamo presentato al Senato il 16 luglio 2024, ma pensiamo si debba provare a consolidare ulteriormente il ’cartello’ – già piuttosto ampio e assai qualificato – di chi vede nella riforma della disciplina urbanistica un obiettivo di fondamentale importanza per la modernizzazione del Paese.
Per l’ottenimento di risultati significativi in questa direzione è dunque il caso di intensificare i nostri sforzi nei confronti dei numerosi e autorevoli interpreti della pianificazione che hanno già manifestato il loro interesse nei confronti della nostra proposta (tra questi alcuni esponenti del mondo datoriale e sindacale, le associazioni ambientaliste, gli ordini professionali e gli ambienti accademici), ben sapendo che le pressioni esercitate da soggetti così rilevanti non potranno essere facilmente ignorate dalle istituzioni di governo.
Tra i soggetti appena citati il caso dell’università è probabilmente il più significativo, e non perché si pretenda in tutti i modi di favorire l’affermazione di un approccio neo-illuminista alla pianificazione, ma più semplicemente perché i varchi aperti dal turnover e dal prepensionamento di dirigenti e funzionari negli apparti tecnico-amministrativi della pubblica amministrazione impongono un sostanziale cambio di passo nella formazione di nuovi profili professionali. Non solo, le sfide rappresentate tanto dalla implementazione dei processi di rigenerazione territoriale e urbana, quanto dalla sostituzione del principio di conformità con quello di coerenza nella approvazione degli strumenti attuativi, richiedono una pronta revisione del manifesto degli studi nelle scuole di pianificazione, di architettura e di ingegneria edile e delle costruzioni.
Se devo fare riferimento alla mia lunga frequentazione del mondo universitario, non posso fare a meno di nutrire un certo scetticismo circa la capacità di quest’ultimo di favorire il radicamento di quei processi innovativi che si renderebbero necessari per superare con successo tali prove. Secondo un recentissimo contributo di Carlo Olmo siamo infatti da tempo in presenza di un progressivo declino dei processi formativi di livello superiore che è assai preoccupante, e che nasce in primo luogo dal distacco delle professioni tecniche dal mondo del ’fare’, e dunque da una progettualità che è sempre più ridotta ad un mero esercizio retorico (Olmo 2024). All’origine di una crisi così allarmante vi sono senza dubbio alcuni fattori ’esterni’, tra cui il consolidarsi di un’informazione sovradimensionata e autoprodotta, ma “c’è anche un fatto interno. L’esplodere cioè di due paradossi per la scuola universalista: il dilagare delle specializzazioni e la rinunzia a qualsiasi progetto formativo e alla responsabilità per chi lo dovrebbe gestire” (ibidem).
Se riteniamo tali valutazioni condivisibili, esiste allora il concreto pericolo che la riforma del governo del territorio non sia semplicemente assai difficile da formalizzare sotto il profilo normativo, ma possa essere ulteriormente ostacolata a causa di una allarmante carenza del personale politico, amministrativo e tecnico-professionale che dovrebbe farsi carico di ’mettere a terra’ i nuovi provvedimenti.
A fronte di prospettive così preoccupanti il nostro Istituto non può certo sfuggire al principio di realtà, ma non intende nemmeno abdicare ai suoi compiti. In attesa di poter contare sulla sensibilità e l’impegno delle principali istituzioni accademiche, nei mesi scorsi abbiamo dunque dato vita ad una nuova Community sulla “Riforma dei saperi” coordinata da Bertrando Bonfantini, con l’obiettivo di promuovere l’individuazione di nuovi percorsi innovativi nella formazione e nell’aggiornamento degli urbanisti. Nel tener conto della originalità della propria base associativa – che vede all’interno dell’Istituto docenti universitari, professionisti e amministratori pubblici – l’Inu intende dunque presentare un punto di vista alternativo, che punti cioè ad associare l’innovazione dei saperi esperti a una nuova domanda di competenze specialistiche e in più stretto contatto con la riforma del governo del territorio (Talia 2024a).
Nel tentativo di rinsaldare l’alleanza tra le diverse discipline del progetto, avvertiamo non solamente la necessità di affidarci a percorsi formativi e di specializzazione a carattere interdisciplinare, con cui sviluppare l’inclinazione dell’urbanista a praticare terreni di frontiera tra profili specialistici eterogenei e differenti tradizioni di ricerca, ma anche l’urgenza di individuare uno spazio di ricerca che ci abitui, e ci alleni, alla complessità. Ciò almeno se riteniamo necessario affiancare alla predisposizione di un nuovo articolato normativo una solida proposta culturale, anch’essa di nuova concezione, con cui irrobustire il profilo tecnico-scientifico ed operativo dell’urbanista.
A noi che siamo partiti in questo breve testo da una indispensabile denuncia della situazione di disordine e di indeterminatezza in cui oggi viene praticato il governo del territorio, un possibile approdo che ci appare rassicurante è offerto dal percorso che abbiamo intrapreso solo alcuni anni fa, quando abbiamo iniziato ragionando intorno alla elaborazione della Legge di principi, e che intendiamo concludere nella prossima primavera in occasione del XXXII Congresso di Roma, allorquando proveremo a dimostrare che il ricorso alla pianificazione tende a stabilire un necessario punto di incontro tra il postulato della necessità e il principio dell’utilità del progetto urbanistico.
Come abbiamo già avuto modo di osservare solo qualche mese fa (Talia 2024b), tenere insieme questi due fondamentali presupposti del planning costituisce almeno in parte una scelta obbligata, soprattutto se si considera che non sappiamo ancora abbastanza delle reali possibilità di un positivo accoglimento della nostra proposta di riforma del governo del territorio. Fino a quando si manterrà questa condizione di incertezza, è opportuno che le due anime della pianificazione – la prima caratterizzata prevalentemente da un approccio cognitivo e valutativo, e la seconda che si distingue invece per una forte proiezione normativa – convivano serenamente, evitando cioè che questo secondo indirizzo venga preferito al primo, come di fatto è avvenuto fin troppo spesso nel nostro Paese.

Riferimenti

Olmo C. (2024), “Scuole di architettura e ingegneria: ciclisti staccati dal gruppo, che cercano disperatamente di rientrare”, Il giornale dell’Architettura, 6 settembre.
Talia M. (2024a), “La cultura del progetto urbanistico oltre la riforma dei saperi”, Urbanistica Informazioni, no. 312, p. 11-12.
Talia M. (2024b), “L’utilità dell’agire urbanistico”, Urbanistica Informazioni, no. 313, p. 7-8.

[1Si veda il servizio curato dalla Sezione Inu Lombardia “Milano in crisi? Ripartiamo da un nuovo piano”, in Urbanistica Informazioni, no. 313/2024, p. 82-86.

Data di pubblicazione: 20 ottobre 2024