L’Istituto ha voluto porre alcune domande sugli effetti del sisma che ha colpito il Centro Italia a tutt’oggi ancora attivo, per avviare una prima valutazione con i soggetti che concretamente stanno affrontando l’emergenza della gestione del territorio. Da qui nasce l’idea di un’intervista a doppio livello: a un Sindaco di un Comune del cratere che deve far fronte alle richieste della comunità colpita e agli amministratoti regionale che hanno il compito di coordinare le azioni di intervento. L’obiettivo è quello di raccogliere delle testimonianze sul campo relative alla gestione dell’immediato, ma anche riflessioni su quelle che sono le possibili strategie per la ricostruzione che nel caso delle Marche interessa le aree interne della Regione. L’intervista ai due soggetti tratta il tema del sisma visto da angolazioni diverse, la prima al Sindaco di Acquasanta Terme è indirizzata a rappresentare in presa diretta le drammatiche necessità dei territori, la seconda alla Vicepresidente è indirizzata a valutare il sistema amministrativo improntato per far fronte all’emergenza e l’efficacia del suo utilizzo.
Claudio Centanni, Giovanna Rosellini Sindaco, ci descriva brevemente le conseguenze del sisma sul paese di Acquasanta, sia nella fase dell’emergenza che in quella attuale; la fase emergenziale si può ritenere conclusa?
Sante Stangoni Dopo il 24 agosto, giorno del primo evento, abbiamo gestito l’emergenza attraverso la realizzazione di una tendopoli in un’area comunale, cioè la zona del Parco Rio. Successivamente la gran parte degli sfollati sono riusciti a ricollocarsi, anche grazie anche alle seconde case che abbiamo qui in zona, ed ai primi di ottobre c’era una situazione abbastanza tranquilla, nel senso che c’erano già stati molti danni ma eravamo riusciti a sistemare le persone e a salvaguardare le attività commerciali.
Dopo il 30 ottobre si è aperta una seconda fase emergenziale, non più gestita attraverso tendopoli, visto l’approssimarsi dell’inverno, bensì attraverso la ricollocazione delle persone negli gli alberghi della costa; in quella fase, alcuni che si erano ricollocati nelle seconde case, si sono trovati a perdere anche quelle, con il risultato che dopo il 30 ci siamo trovati a gestire un’emergenza costituita da un migliaio di persone impossibilitate a rientrare nelle proprie case, sia per problemi di inagibilità sia per paura e per il forte stress accumulato. Nei giorni a seguire abbiamo fatto i sopralluoghi nelle case, abbiamo trovato fabbricati agibili che non avevano tutte le utenze, abbiamo quindi provveduto a renderli confortevoli e vi abbiamo ricollocato molte persone.
Nella fase attuale abbiamo ancora una settantina di persone lungo la costa e gran parte della popolazione tornata sul territorio; stiamo vedendo una piccola luce in fondo al tunnel perché le attività commerciali le abbiamo salvate quasi tutte, certificandone l’agibilità.
Stiamo ripartendo lentamente: dopo la prima ordinanza sui danni lievi stanno iniziando i primi progetti, ovviamente restiamo in attesa delle successive ordinanze per andare avanti.
C.C. G.R. Come vive il proprio ruolo di Amministratore in questa situazione? A quali necessità della comunità locale dovrà rispondere nel breve-medio periodo?
S.S. In questo momento abbiamo la necessità di veder emanare il prima possibile le ordinanze per ricostruire i fabbricati molto danneggiati; poi è necessario che ci sia una risposta sul fronte del lavoro e dell’occupazione in questi territori, cioè che si faccia una politica che possa portare gli imprenditori ad investire in questi luoghi.
Ciò che è stato fatto dal 24 sino ad oggi è stato appunto orientato al mantenere la popolazione sul posto; ciò dovrebbe avere un seguito, nel senso che occorre dare a queste persone, che amano questi luoghi e che quindi vogliono restare, un motivo in più per rimanerci, cioè la possibilità di lavorare; questo sarà possibile solo se imprenditori esterni porteranno qui la loro capacità, e le conseguenti opportunità lavorative.
Terza cosa secondo me importante è capire come gestire i territori da un punto di vista urbanistico, con riferimento sia al comune capoluogo che alle frazioni, che hanno avuto i maggiori danni; si tratta di capire come essi debbano essere gestiti ai fini della ricostruzione, a partire dalla definizione delle zone rosse, che corrispondono agli agglomerati principali, attraverso un piano di ricostruzione oppure attraverso un piano più strategico, comunque inserendo all’interno di questi strumenti gli interventi prioritari sui sotto servizi.
C.C. G.R. Quindi, secondo lei, c’è esigenza è di raccogliere le esigenze che vengono “dal basso”, cioè dai territori, ma è anche importante puntare ad un coordinamento strategico, prendendo a riferimento dei centri capoluogo. Il coordinamento secondo lei può avvenire a livello provinciale, o ritiene che vi sia una geometria più aderente alle esigenze ed alle caratteristiche del territorio?
S.S. Si dovrebbe fare un discorso Comune per Comune, che tenga conto delle peculiarità e dei tanti aspetti sia urbanistici che geologici morfologici che caratterizzano alcune zone, però tenendo anche in grande considerazione quelle che sono le realtà comuni; per sviluppare e rilanciare queste aree interne serve un coordinamento che possa riuscire a rendere tutte queste realtà, seppur diverse, molto vicine. Potrebbe trattarsi di un coordinamento a livello provinciale o anche regionale, che riguardi tutte le aree che hanno risentito maggiormente dell’evento sismico.
Questo sarà fondamentale soprattutto fini delle strategie di rilancio turistico di queste aree, che dovranno essere complessive ma tuttavia capace di valorizzare le peculiarità di ogni Comune.
C.C. G.R. Con riguardo alle Istituzioni; Il Governo ha emanato due Decreti, Il Commissario ha emanato le prime ordinanze, la Regione ha Istituito l’Ufficio Speciale per la Ricostruzione, che vede ad Ascoli Piceno la prima sede territoriale. Ritiene che il sistema normativo e organizzativo così improntato risponda alle necessità reali del suo territorio?
S.S. Occorre da subito affrontare il problema dei tempi, ovvero non è opportuno subordinare gli interventi nelle zone rosse alla redazione ed approvazione del piano di ricostruzione, perché il rischio è quello di perdere la popolazione, che non può aspettare tempi così lunghi per fare gli interventi necessari a rientrare nelle proprie case. Dovrebbe essere possibile presentare progetti subito dopo l’emanazione delle ordinanze, e rilasciare permessi di ricostruzione verificando le modalità di intervento, affinché siano consone e rispettose dei valori architettonici ed urbanistici del preesistente.
Riguardo all’efficienza del sistema configurato, è troppo presto per dirlo (l’Ufficio per la ricostruzione è stato inaugurato ad Ascoli il 29 dicembre); ad esso sono state per ora destinate poche persone, bisognerà vedere con quali tempi rilasceranno i permessi, si potrà comunque capirne la qualità e l’utilità tra non meno di sei/otto mesi.
C.C. G.R. L’Ufficio Speciale per la Ricostruzione curerà, tra l’altro, la pianificazione urbanistica attuativa connessa alla ricostruzione dei centri storici, urbani e rurali. Quale tipo di pianificazione ritiene più idonea per guidare la ricostruzione del suo Comune? Ritiene che il concetto “dov’era, com’era” possa guidare la pianificazione o serve altro? Ritiene necessaria e possibile una pianificazione più strategica, orientata alla prevenzione ed alla sicurezza del territorio?
S.S. Da questo punto di vista, vorrei che si riscostruisse come era e dov’era, ovviamente con delle migliorie, nei sotto servizi e anche a livello urbanistico. È possibile che le indagini geologiche, mirate in alcune frazioni, possano evidenziare specifiche incompatibilità a livello geomorfologico, e in quel caso si tratterà di valutare; tuttavia penso che in linea di massima qui in Acquasanta la maggior parte dei borghi potrà essere ricostruito così com’era, e ciò è particolarmente importante con riferimento alla diffusa realtà delle seconde case. Infatti i proprietari vi tornano nel periodo estivo, proprio per il piacere di ritrovare le proprie radici, la casa dove hanno abitato e vissuto, e precisamente quella finestra da cui si vede lo stesso panorama che vedevano da bambini… è fondamentale cercare di mantenere vivi questi valori, dove si può.
C.C. G.R. Secondo lei, dentro e fuori dai borghi storici si deve ragionare nello stesso modo? Al di fuori di essi, le scelte urbanistiche fatte negli anni 70/80 vanno comunque riconfermate o può essere data priorità al tema della prevenzione?
S.S. Il criterio dovrebbe essere lo stesso, quello di mantenere i caratteri preesistenti, tuttavia ci saranno necessariamente interventi più o meno fedeli, per il semplice fatto che nei casi di miglioramento sismico si dovranno fare degli interventi di demolizione e ricostruzione, che nei casi di edifici in pietra renderanno necessario ricostruire in cemento armato con rivestimento in pietra, invece nei casi miglioramento sismico si potrà mantenere la struttura precedente; quindi ogni edificio avrà il suo specifico progetto, in base alle valutazioni del tecnico, e ci saranno ricostruzioni più o meno consone.
C.C. G.R. Secondo lei la ricostruzione potrà rivestire un significato rispetto alle politiche di sviluppo dei territori colpiti?
S.S. Sì, a condizione che non si faccia la ricostruzione tanto per farla, agendo per necessità e senza una prospettiva strategica e di miglioramento.
C.C. G.R. Vicepresidente, ritiene che il sistema normativo improntato dalle Istituzioni per fare fronte all’emergenza, definito dai DL emanati, abbia le caratteristiche per rispondere alle necessità dei territori colpiti dal sisma? Il modello delineato dà una risposta efficace all’esigenza di tempestività legata al sisma?
A.C. Secondo me sì. Il Decreto, poi convertito in legge, è stato veloce. Si tratta di un provvedimento organico, viene declinato in ordinanze e molte di esse sono già state emanate: per i danni di tipo B (agibilità con provvedimenti), per chi vuole ricostruire le stalle (può già farlo dal 5 dicembre), sta per uscire un’ulteriore ordinanza per la inagibilità gravi. Quindi l’organizzazione c’è tutta, e si può agire su due livelli: quello “veloce”, per le situazioni meno gravi ovvero per gli edifici “strategici” come le scuole, e quello della programmazione, più complesso e per questo meno veloce. Chi dice che la ricostruzione “più veloce è, meglio è”, non dice una cosa giusta: si deve certamente ricostruire velocemente tutto ciò che è possibile, ripristinando e riavviando rapidamente le attività, perché la gente non perda il legame con i luoghi, ma poi c’è il tempo della programmazione, che non può essere veloce, pena l’inefficacia dei provvedimenti.
C.C. G.R. Come si concilia l’esigenza immediata di interventi, atti ad evitare l’abbandono delle zone rosse da parte della popolazione, con i tempi di un piano di ricostruzione inteso anche come piano strategico del territorio? In effetti già prima del terremoto le aree interne esprimevano l’esigenza di un ripensamento strategico…
A.C. Non è semplice. Ciò che ci chiedevano già da prima le aree interne, oggi ce lo chiedono centuplicato: infatti i servizi sono azzerati, sulle scuole si sono già fatti degli interventi, ma ci sono ancora 47 milioni stanziati dal governo da utilizzare, come pure le zone rosse da riaprire subito, attraverso la rimozione delle macerie, oltre agli interventi di messa in sicurezza e le ricostruzioni veloci; bisogna poi supportare i Comuni con normative snelle, che consentano di comprimere i tempi burocratici, ferme restando le verifiche relative alla sicurezza, che rimane comunque al primo posto, insieme alla tutela delle caratteristiche culturali e dell’identità dei luoghi.
Ma bisogna essere veloci, e questo sarà possibile solo se si lavora insieme; gli strumenti ci sono, la Regione è disponibile a perfezionare la strumentazione di sua competenza, con il duplice obiettivo di velocizzare e tutelare.
C.C. G.R. L’Ufficio Speciale per la Ricostruzione curerà, tra l’altro, la pianificazione urbanistica attuativa connessa alla ricostruzione dei centri storici, urbani e rurali; quale tipo di pianificazione ritiene più idonea per guidare la ricostruzione? Ritiene che il concetto “dov’era, com’era” possa guidare la pianificazione o serve altro?
A.C. La domanda è centrata: il “dov’era com’era” va sicuramente privilegiato, ma non sempre, solo dove si può fare! Le situazioni sono molto differenziate, quindi occorre mettere a punto strumenti diversi, basati sulla partecipazione dei cittadini e delle amministrazioni.
Si dovrà trattare di una partecipazione consapevole, coordinata e facilitata da persone formate ed informate, e sviluppata senza prevaricare le comunità locali. L’Ufficio per la Ricostruzione ha i suoi compiti, ma non può e non deve sostituirsi nella pianificazione: sono i Comuni il vero front office delle comunità. Deve essere garantito il loro coinvolgimento e la loro autonomia.
C.C. G.R. Nell’affrontare, a seguito di calamità, il tema della ricostruzione, ritiene sia possibile “utilizzare” l’evento sismico come opportunità per la messa in sicurezza e lo sviluppo della resilienza dei territori, e per il rilancio dei centri minori? In altre parole: qual è il contributo che il processo di ricostruzione può dare alle politiche di sviluppo?
A.C. Il tema della strategia per le aree interne è stato affrontato nelle Marche a partire dal 2012, nel contesto del cosiddetto “Progetto Barca” che individuava 3 aree con specifiche potenzialità (10 Comuni coinvolti nel Pesarese e Anconetano, 19 nel Maceratese e 15 nell’Ascolano Fermano) e agiva sull’aumento del livello dei servizi per mantenere ed attrarre sul territorio attività e persone.
Il tema era ed è il bilanciamento del territorio, la riduzione dell’ipertrofia della costa e la valorizzazione delle aree interne, non solo e tanto per la loro bellezza paesaggistica, ma per le loro grandi risorse economiche: cultura, agricoltura e turismo. Non ci dimentichiamo che l’agricoltura e l’enogastronomia sono tra i pochi settori che hanno retto alla crisi economica, perciò occorre assolutamente perseguire il tema dello sviluppo integrato, che veda questi settori affiancare la ripresa delle nostre piccole e medie imprese.
Ora, dopo il terremoto, la fatica sarà più grande, ma si può sviluppare l’attrazione anche in fase di ricostruzione: anche i cantieri possono essere attraenti!
C.C. G.R. Quale contributo potrà fornire il modello di pianificazione e l’esperienza della ricostruzione al processo di riforma urbanistica in atto? Ci sono dei temi che la nuova LUR (Legge Urbanistica Regionale), ormai in dirittura di arrivo, potrà introiettare (ad es. accorciamento dei tempi, semplificazione amministrativa, aumento della capacità adattiva)?
A.C. In questi mesi, da agosto ad oggi, la Regione ha potuto pensare poco a questo possibile utilizzo dell’esperienza legata al sisma, perché si sono effettivamente succeduti eventi calamitosi di eccezionale gravità: terremoto, emergenza neve, danni alla rete elettrica. Dopo tutto ciò, le Marche non sono più le stesse, noi non siamo più come prima e la legge urbanistica non potrà essere più la stessa.
Gli Uffici regionali hanno predisposto un aggiornamento della proposta di legge, che ha visto un informale passaggio in Giunta il 30 dicembre: tuttavia essa è in fase embrionale, dovrà essere rivista e soprattutto dovrà essere nuovamente condivisa con il territorio.
I temi da valorizzare sono proprio quelli messi in evidenza dall’esperienza di questi mesi: 1) il fattore tempo, inteso come necessità di velocità diverse rispetto ad esigenze diverse; 2) la necessità di una strategia sovracomunale, ovverosia di un pensiero più ampio; 3) la tensione al “consumo di suolo zero”, affrontato con dovuto realismo. La valorizzazione di questi temi, emersi dall’esperienza in corso, all’interno della legge, rappresenta per noi un obiettivo a breve termine.