La legislatura finisce e siamo costretti a fare qualche bilancio di valutazione dei provvedimenti approvati o solo discussi e del loro impatto sul governo del territorio.
Concentrandosi sulle questioni strutturali, gli anni che ci separano dal 2013 sono stati segnati:
dalla consapevolezza, entrata finalmente anche nell’agenda politica europea ed italiana, degli effetti prodotti dai cambiamenti climatici e dall’urgenza di azioni, anche locali, per contrastarli;
dal perdurare della crisi immobiliare, figlia anche della sovrapproduzione edilizia del periodo precedente, che convive con il permanere del problema casa oggi aggravato dalla pressione conseguente ai flussi migratori ormai stabili da molti anni. Crisi edilizia e sovrapproduzione che hanno di fatto “esautorato” definitivamente il piano urbanistico che si legittimava sulla espansione edilizia;
dal processo di degrado urbano e territoriale che non si limita alle periferie, ma investe territori vasti dalle aree metropolitane alle aree interne, del quale le “emergenze” ambientali (alluvioni, terremoti e frane) e sociali (immigrazione e povertà) costituiscono il segnale più evidente.
La XVII legislatura, dopo la proposta presentata dall’ex Ministro Lupi, ha decisamente abbandonato, come tutti i governi e parlamenti precedenti, ogni ipotesi di riforma della legge urbanistica del 1942. Abbandonando la necessità di costruire un percorso normativo e amministrativo in grado di misurarsi, nello scenario delle risorse limitate, su cosa significa l’interesse pubblico nel processo di piano, si è arresa alla babele urbanistica regionale e alla “ragione della disciplina concorrente”, ma si è arresa anche nei confronti del consumo di suolo la cui trasformazione non appare più plausibile, ma che inarrestabilmente continua.
La sovrapproduzione edilizia ha reso ovunque, nei grandi e nei piccoli centri, nelle aree urbane e in quelle rurali, inutile ogni ulteriore consumo di territorio agricolo e naturale.
Servirebbe un programma di rigenerazione del patrimonio esistente sostenuto da risorse fiscali e da rigide norme contro il consumo di suolo. La legge approvata alla Camera è “un cantiere aperto” da sistemare e da chiudere definendo un criterio nazionale senza demandarlo alle leggi regionali, prevedendo criteri quali quelli utilizzati quando sono stati introdotti gli standard urbanistici con un decreto interministeriale valido per tutto il territorio. Purtroppo anche il testo, per quanto discutibile e migliorabile, “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato” approvato alla Camera non verrà trasformato in legge.
Provvedimenti limitati, perlopiù orientati sul versante dell’edilizia, come le “semplificazioni”; il d-ter dell’articolo 16 del Dpr 380/2001; le definizioni del Regolamento Edilizio Unico, si sono caratterizzati come azioni che nascono in ambito “settoriale” e inevitabilmente non contengono sempre i necessari riferimenti ad una materia per definizione “complessa” come il governo del territorio e che continuano ad interpretare i territori e le domande che sul territorio si formano, attraverso un’ottica legata all’urbanistica come strumento regolatore della crescita. Una realtà che invece chiede un cambio di paradigma interpretativo amministrativo e tecnico.
Processi interessanti sono venuti dalle norme che hanno affrontato il riordino amministrativo:
la ridefinizione dell’area vasta e delle provincie;
l’istituzione delle città metropolitane;
l’accorpamento dei comuni con meno di 5.000 abitanti;
la legge sui piccoli comuni.
Un processo davvero importante e utile, che aveva mobilitato molte energie di sindaci, amministratori, ma anche dell’economia fino a studiosi nelle università. Un processo accompagnato, analizzato e descritto in molte pagine di Urbanistica Informazioni e nelle pubblicazioni dell’INU, che si incrocia con i temi strutturali sopra descritti e con le geografie politiche amministrative in grado di affrontarli.
Un processo che ha perso forza politica dopo l’esito del referendum del 4 dicembre 2016, ma che rimane in campo (le leggi in questo caso ci sono) per affrontare le sfide che Silvia Viviani in questo numero sintetizza nelle “10 proposte dell’INU per la rigenerazione urbana”.
Il riordino amministrativo (comuni, provincie e città metropolitane), nel quadro di una legge per il governo del territorio, accompagnato anche da un riordino della finanza pubblica e da una nuova fiscalità legata ad un progetto di città pubblica e di rigenerazione urbana, in grado di attivare, finanziamenti per il disagio abitativo e il trasporto pubblico locale, vere emergenze delle grandi e medie città italiane, costituiscono le linee operative per programmare il percorso che il nuovo Parlamento dovrà affrontare da qui a poco.