Expo 2015 si è aperto! Già questa sarebbe una notizia di per sé. Dopo anni di polemiche, di lavori, di momenti alti e bassi, di cronaca giudiziaria, di politica di basso e alto livello, di appalti e di pessimismo italiano, alla fine ce l’abbiamo fatta. Dal giorno dopo l’apertura, l’Expo è “una festa di popoli, di culture, di cibo”. Questo lo slogan più vicino a tutti i visitatori comuni che ridimensiona l’aulico e difficilmente declinabile messaggio “Feeding the planet Energy for life” (Nutrire il pianeta - Energia per la vita) con il quale si è vinta la candidatura e si è registrato il Masterplan presso il BIE, ma sul quale era davvero difficile poter pensare di attirare molti milioni di visitatori soprattutto milanesi e lombardi e lasciare loro molto più che un seme educativo.
In fondo, Expo è quello che oggi si può apprezzare dall’esperienza di visita al sito: una sequenza di architetture più o meno qualitative, di allestimenti più o meno riusciti, di tanti visitatori indotti a provare e a gustare esperienze differenti e un po’ insolite. È dichiaratamente onesto nel configurarsi come un parco di intrattenimento e insieme un’attrazione commerciale con tanti protagonisti delle eccellenze italiane e internazionali; certamente non ha mai avuto la pretesa di essere uno spazio esclusivamente didattico/educativo. Altro è constatare oggi, come troppe energie, attenzioni e polemiche siano state concentrate sull’hardware e molto poco sul sofware dell’Expo, ovvero come spesso la cronaca abbia sovrastato un vero dibattito culturale sui contenuti di una esposizione intorno a temi così strategici per il futuro, che stimolasse la scarsa capacità di programmazione di un serio e interessante palinsesto di eventi, nonchè di un creativo e attrattivo modello espositivo che declinasse il tema, sia da parte dell’organizzazione, sia da parte dei paesi espositori. Nella realtà, diversi Paesi hanno solo sfiorato il tema, altri l’hanno ignorato, pochi hanno centrato l’obiettivo di coerenza, coniugando attrattività e messaggio in una vera esperienza di edutainment.
Problema di mancanza di tempo, certo; di tempi sprecati all’inizio dell’avventura, di persone inadeguate in luoghi chiave o di decisioni progettuali sbagliate e processi decisionali mal gestiti, degli stop and go delle pagine nere della cronaca giudiziaria, degli appalti e della burocrazia; ma, anche, della poca partecipazione alla sfida dell’Expo, della solitudine dei numeri primi. Un evento che avrebbe dovuto trascinare la città, i territori, la regione, il paese, mobilitando le migliori forze politiche e le migliori professionalità, che avrebbe dovuto unire molti (cittadini, professionisti, istituzioni), nell’urgenza si è chiuso in sé stesso, avversato e mal digerito dai suoi stessi promotori, ma anche dallo scetticismo e pessimismo dei più: una storia italiana e appunto degli italiani. Così, con lo stesso solipsismo, l’Expo milanese si è presentato all’appuntamento del primo Maggio, quasi a sorpresa, dimostrando di potercela anche fare, con un profilo interessante ed esperienziale inatteso. Si è rivelato un nuovo brano di città, piacevole e curato, completo di verde, di qualità compositive e scorci paesaggistici interessanti, con manufatti unici e curati che si affacciano su un chiassoso e festoso corridoio tendato, pieno di curiosi e affaticati camminatori. Un esteso (100 ettari) e complesso pezzo di città organizzato sull’asse centrale del decumano dove ogni paese ospite si presenta grazie a una generale equità rappresentativa, avendo a disposizione la medesima condizione di affaccio.
La struttura dell’area fondata su “il cardo e il decumano” funziona, regge all’impatto dei visitatori ed è funzionale all’operatività di mezzi e forniture; è un grande telaio operativo che lavora sull’anello perimetrale viabilistico di servizio, lasciando il centro dell’area libero per le percorrenze pedonali. L’asse centrale duro e vuoto è molto adatto all’affollamento ma si presta meno a una gradevole esperienza di visita che dovrebbe essere garantito dall’anello lungo il canale perimetrale d’acqua e i sui percorsi verdi, che, però, rimangono deserti e poco sfruttati.
Alcuni lavori interni saranno conclusi e certamente alcune carenze organizzative si saneranno nelle prossime settimane e potranno permettere una maggior inclusività delle visite (raggiungibilità del sito, trasporti alternativi per anziani e categorie deboli, mobilità sul perimetro e interna, ciclabilità, segnalazione e orientamento alla visita), e anche questo fa parte della natura italiana di Expo dove tutto è sempre quasi pronto, ma mai davvero completamente finito.
La vera sfida ora non è nell’evento in sé, che ha già onorato alcune scadenze e aspettative pur disattendendone altre, ma in cosa l’evento lascerà o permetterà di creare per Milano e per la Lombardia o per l’intera Nazione dal giorno dopo la chiusura. Dopo il bando andato deserto per alienare l’area a sviluppatori privati, si aprono nuovi scenari con un doveroso e sfidante protagonismo delle amministrazioni pubbliche coinvolte, nel proporre uno scenario di investimenti e di funzioni innovative legate alla ricerca e allo sviluppo, alla produzione e alle tecnologie. Il nodo fondamentale è la valorizzazione della legacy materiale e in qualche modo immateriale dell’evento, preservando e valorizzando l’imponente infrastrutturazione realizzata e mettendola in valore per l’insediamento di nuove attività; realizzando quel parco pluri-tematico già prefigurato dagli strumenti urbanistici, ma ancora tutto da creare e promuovere nell’agenda politica odierna, ancora impegnata nelle fasi d’avvio dell’Evento.
Nell’attesa della definizione del destino finale dell’area quali strategie possono essere attuate per non rischiare di “spegnerla” e di perderla definitivamente? E’ fondamentale, ora più che mai, impostare una rapida pianificazione di interventi che permettano di ri-attivare l’area subito dopo la chiusura del grande evento, garantendo continuità d’uso e gestione temporanea di aree e manufatti anche dopo il 2015 costruendo un nuovo progetto che coniughi le fasi di smantellamento alle fasi di riapertura. Uno scenario di breve-medio periodo per la messa in valore dell’area che permetta una gestione adeguata e una progressiva valorizzazione delle infrastrutture e delle attività presenti, innestando alcuni nuovi programmi funzionali che consentirebbero di mantenere un continuo interesse e un costante flusso di attenzione e di attività sull’area. Senza lasciare che il progetto per il post Expo rischi di essere avviato con una lunga cantierizzazione che potrebbe sottrarre per anni dalla vita urbana un ambito così esteso e nevralgico per le relazioni dei territori del Nord Ovest metropolitano.