Urbanistica INFORMAZIONI

Era il 17 agosto 1942

Qualcuno aveva ipotizzato che nell’anno del suo ottantesimo genetliaco la Legge urbanistica n. 1150 del 1942 sarebbe stata superata dalla nascita della legge di principi sul governo del territorio. Un’ipotesi rinforzatasi con l’emanazione, da parte del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, del Decreto n. 441 del 21 novembre 2021 con cui veniva istituita la Commissione per la riforma della normativa nazionale in materia di pianificazione del territorio, standard urbanistici e in materia edilizia. Quale esito dei lavori, da svolgersi entro sei mesi (poi prorogati) dalla data del Decreto, la Commissione aveva il compito di presentare al Ministro “uno o più schemi di provvedimento recanti disposizioni di riforma della Legge 17 agosto 1942, n. 1150 e smi” (art. 2, comma 2, Decreto 441/2021), oltre che per la riforma organica dell’attuale normativa in materia di costruzioni (Dpr 380/2001 e smi).
Di questa iniziativa, però, non sono noti gli esiti: a seguito di una crisi di governo, la mattina del 21 luglio 2022 il presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato le dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e le elezioni politiche per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sono state indette per il prossimo 25 settembre 2022.
Se con la riforma della Legge 1150 siamo ancora a metà del guado (con le cd. leggi Ponte e Bucalossi), o (alcuni) in gattopardesca attesa, viene da chiedersi quale sia la forza di tale provvedimento che ne decreta, di fatto, ancora un punto fermo del nostro ordinamento.

Un sistema di pianificazione (gerarchico e verticale)

La Legge promulgata il 17 agosto 1942 con il numero 1150, costituisce un esito specifico e significativo del dibattito culturale e politico che affonda le proprie radici nella discussione attorno alla ridefinizione della legge sull’esproprio per pubblica utilità (Legge 2359/1865) e alla rivendicazione, da parte di molti specialisti, della propria supremazia tecnico-scientifica sui problemi della città (Zucconi 1989). Una discussione incentrata sulla necessità di superare i settorialismi e i limiti delle disposizioni ottocentesche e di scindere la legislazione più propriamente urbanistica – le norme sui piani – da quella riguardante l’esproprio per pubblica utilità: temi che, discussi fin dalla fine del secolo precedente, maturano in Italia nel corso dei primi tre decenni del ’900 intorno al problema della formazione dello stato moderno nell’accezione che assume nel contesto politico del regime fascista.
Dunque, entro il profilo istituzionale della forma di stato e di governo vigente al 1942, la Legge 1150 definisce ed introduce per la prima volta in Italia, un vero e proprio sistema di pianificazione, istituendo una consequenziale gerarchia di livelli di piano, a partire da quello della pianificazione che oggi definiremmo territoriale d’area vasta, al livello urbanistico comunale.
Il livello superiore è infatti rappresentato dal Piano territoriale di coordinamento (Ptc) che stabilisce direttive per ambiti territoriali speciali, da vincolare o da riservare a particolari destinazioni, oltre che la rete delle principali linee di comunicazione. Il Ptc è un atto dell’autorità centrale dello stato, non è obbligatorio ma il Ministero dei LLPP ha la facoltà di provvedere alla sua compilazione per quelle determinate parti del territorio nazionale dove sia necessario orientare e coordinare l’attività urbanistica. Il diretto coinvolgimento che la legge prevede, nell’approvazione dei suddetti piani, del Ministro delle comunicazioni nei casi in cui essi interessino impianti ferroviari, o del Ministro delle corporazioni nei casi di sistemazione delle zone industriali, sottende il fatto che il Ptc del 1942 non persegue soltanto politiche territoriali e urbanistiche ma, riguardando strutture essenziali per lo sviluppo e la riorganizzazione del Paese (il sistema delle comunicazioni e l’apparato produttivo) persegue politiche di tipo economico e sociale. Non a caso, per il Ptc si delinea un processo di formazione che vede il coordinamento dello stato con i suoi organi decentrati (le prefetture) e, successivamente all’approvazione da parte del governo, si sancisce l’obbligatorietà per i comuni a rispettarlo nella stesura dei Piani urbanistici comunali.
Al livello immediatamente sottostante è previsto il Piano regolatore generale comunale: il nuovo piano che la legge istituisce è finalizzato non tanto a ristrutturazioni e addizioni, come i piani regolatori fino ad allora vigenti secondo la legge del 1865 ma al completo ridisegno della totalità del territorio comunale secondo criteri razionali (ciò riproponendo le indicazioni già contenute nel disegno di legge del Ministro guardasigilli Pisanelli del 1864). Il Prg si distingue inoltre per essere concepito come strumento la cui redazione è obbligatoria per quei comuni compresi in appositi elenchi predisposti dal Ministero dei LLPP, a cui spetta anche il compito di approvare i Piani regolatori stessi, mentre è facoltativa per tutti gli altri comuni. Rispetto ai contenuti, il Prg deve indicare la sistemazione dei principali impianti a rete, le aree da destinare agli spazi di uso pubblico e per servizi e soprattutto la divisione del territorio in zone, con precisazione di quelle destinate all’espansione dell’aggregato urbano. La legge stabilisce che le determinazioni nell’uso del suolo che il piano detta assumano valore a tempo indeterminato in quanto, non corrispondendo a dichiarazione di pubblica utilità, non sono soggette alla procedura dell’esproprio e di conseguenza dell’indennizzo del bene espropriato.
Al Piano regolatore generale comunale la legge 1150 affianca il Piano
intercomunale che, in linea col profilo gerarchico che ispira la legge, viene redatto da un solo comune (solitamente quello maggiore per rango funzionale) ma che comprende anche il territorio di comuni limitrofi, in ciò autorizzato dal Ministero dei Lavori Pubblici. Si tratta di uno strumento pensato per consentire ai centri urbani in veloce trasformazione ed espansione (i poli urbano-territoriali) di affrontare i propri problemi di sviluppo, travalicando i confini amministrativi comunali nella logica espansiva della crescita a macchia d’olio.
Al livello inferiore di questo idealtipico sistema di pianificazione è collocato il Piano particolareggiato, strumento urbanistico pubblico di dettaglio che serve per rendere operabili le previsioni contenute nel Prg. Predisposto a cura del comune, è approvato con decreto dal Ministero dei LLPP che contestualmente fissa il tempo, non superiore a dieci anni, entro il quale dovrà essere attuato ed i termini entro cui dovranno essere stabilite le relative espropriazioni. Le limitazioni di durata vengono quindi spostate dallo strumento che regola le linee dello sviluppo futuro della città – il Prg – allo strumento che regola l’attuazione degli interventi previsti dal piano. L’approvazione dei Piani particolareggiati equivale a dichiarazione di pubblica utilità per le opere in essi comprese, come precedentemente disciplinato per i Piani regolatori e d’ampliamento ex lege 2359/1865.
Per i comuni non obbligati al Piano regolatore (o sprovvisti) viene concepito il Programma di fabbricazione che si occupa esclusivamente di delimitare la zona di espansione con i relativi tipi edilizi: in sostanza costituisce un allegato grafico al Regolamento edilizio, che indica le aree nelle quali trovano applicazione le diverse norme. La legge, inoltre, non precisa le regole tecniche per l’elaborazione dei piani e lascia libera iniziativa alle amministrazioni comunali ed ai loro podestà.
Da un punto di vista operativo, la legge del 1942 assegna un ampio potere di elaborazione e di controllo all’autorità centrale dello stato, individuando nel Ministero dei Lavori Pubblici una ampia gamma di funzioni direttive e di controllo: esso è preposto all’elaborazione ed approvazione dei Piani territoriali, alla predisposizione dell’elenco dei comuni obbligati a redige il Piano regolatore generale, all’approvazione del Prg e del Piano particolareggiato, alla disposizione della formazione del Piano regolatore intercomunale.
Dunque il testo del 1942, oltre ad essere l’esito (tardivo e a meno di un anno dalla caduta dello stato fascista nel luglio 1943) dell’interazione conflittuale fra varie culture e saperi tecnici e disciplinari, fra diverse categorie professionali e imprenditoriali, si caratterizza per alcuni contenuti che si possono riconoscere come particolarmente coerenti con il sistema politico fascista che porta la legge alla sua approvazione. Tale carattere della legge è, ad esempio, ravvisabile: negli scopi cui viene finalizzata l’attività urbanistica in particolare per quanto riguarda l’obbiettivo di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo ma con l’intenzione di perseguire un equilibrato sviluppo della relazione città-territorio; nei modi dell’attuazione della disciplina urbanistica a partire dai piani territoriali per discendere fino alle norme sull’attività costruttiva edilizia in forza di una autorità delle pubbliche istituzioni fortemente gerarchica e referente allo stato; nell’esplicitazione di regole (all’art. 11), che palesano il legame che si era instaurato fra Stato e settore industriale ove infatti si dichiara che "sono fatti salvi al Ministro delle corporazioni di autorizzare in caso di necessità nuovi impianti industriali fuori delle zone previste dai piani regolatori". Obbiettivo della legge è quello di garantire lo sviluppo industriale controllandone gli effetti politico-sociali (paventando la concentrazione urbana della classe operaia), evitando che entri in conflitto con l’ordinata crescita urbana, in modo tale da evitare forme di squilibrio che la struttura economica e sociale italiana (esistente e
prevista dal regime) non sarebbe stata in grado di sopportare.
In questo senso, da un lato la legge ribadisce una condizione (che peraltro aveva caratterizzato la cultura tecnico-teorica precedente) di primato della città quale elemento strutturante e motore della società e delle attività economiche ed il Piano regolatore quale strumento per l’organizzazione spaziale delle politiche urbane e del loro controllo, dall’altro dota lo stato di strumenti e poteri precisi di indirizzo e intervento sul territorio sovraccomunale.

Dopo 80 anni: a che punto siamo?

Nel lunghissimo arco di tempo che ci separa dall’anno di approvazione della L 1150, soprattutto a partire dalla fase di ricostituzione dell’Inu in periodo repubblicano, l’Istituto ha affiancato tecnici, politici, amministratori e studiosi che si sono continuamente impegnati a sostegno della revisione e riforma della prima legge urbanistica nazionale.
In questo lungo tempo si sono susseguiti tentativi di riforma organica, riforme ponte e/o parziali, controriforme, provvedimenti integrativi settoriali. Fatti che sono stati sistematicamente esaminati e narrati nel biennio 2020-21 durante il quale, in occasione dei novant’anni dalla fondazione nel 1930, l’Istituto è stato impegnato in una complessa attività di riflessione critica e risignificazione dei propri obiettivi, compiti, funzioni e impegno per l’urbanistica italiana. Sviluppando “una ricostruzione del passato proiettata al futuro, utile per autorappresentarsi e presentarsi, per comprendere il ruolo svolto in passato dall’Istituto in rapporto a quello che può e vuole svolgere oggi a fronte del profondo cambiamento in atto” (Gabellini 2021) e praticando un approccio riflessivo – non già celebrativo –, si sono susseguiti molti eventi che hanno inteso evidenziare l’impegno tecnico, culturale e politico dell’Inu, il ruolo nel Paese e nel campo disciplinare, l’impegno civile e le competenze. Le diverse iniziative e attività per i 90 dell’Inu sono coordinate e raccolte sul sito www.inu90.com, cui si rimanda.
Riprendendo, dunque, le file del discorso con cui si sono aperte queste brevi note, le buone ragioni per riaprire il cantiere della legge di principi del governo del territorio (Talia 2021) sono molteplici: su tutte, ed in relazione a quel sistema di pianificazione gerarchico-verticale del ’42, vi è un mutato scenario istituzionale democratico che ha fra i principi fondamentali quello di sussidiarietà, le cui radici storiche vanno correttamente posizionate non già nel trattato di Maastricht del 1992 ma, non a caso, nel pensiero sussidiario che ha ispirato il Codice di Camaldoli (documento programmatico elaborato nel 1943) e la stessa Costituzione italiana del 1947, anche se il suo ingresso formale nel dettato costituzionale italiano è avvenuto soltanto con la Lc 3/2001.
Come si è già avuto occasione di sostenere (Giaimo 2022) l’interesse per il principio di sussidiarietà non si esaurisce alle considerazioni sulla sua rilevanza democratica in vista di una migliore organizzazione dei livelli di governo ma si estende al contributo che esso può fornire per supportare un’ampia e consapevole partecipazione alla vita democratica del Paese, anche praticando la pianificazione come fondamentale attività del governo del territorio.

Riferimenti

Gabellini P. (2021), "Per i 90 anni dell’Istituto nazionale di urbanistica", Urbanistica Informazioni, no. 296, p. 5-6.
Giaimo C. (2022), “Trent’anni di sussidiarietà”, Urbanistica Informazioni, no. 302, p. 5.
Talia M. (2021), “Il cantiere della nuova legge di principi sul governo del territorio”, Urbanistica Informazioni, no. 295, p. 8-9.
Zucconi G. (1989), La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1855 - 1942), Jaca Book, Milano.

Data di pubblicazione: 14 ottobre 2022