Nella pianificazione, quale attività del governo del territorio, la nozione di ‘dotazione minima inderogabile’ è da intendersi quale minima riserva di aree da finalizzare al miglioramento della qualità urbana, tenendo conto dei bisogni effettivi e dell’evolvere della domanda di servizi delle diverse realtà locali.
Come è noto, il corpus normativo che disciplina la quantità minima di spazi da riservare, nella formazione dei piani urbanistici, alla realizzazione di servizi pubblici e di interesse collettivo, è costituito dal Di 1444/1968. Tale provvedimento è l’unico che costituisce, ancora oggi, l’indispensabile garanzia per la messa in opera di diritti fondamentali dei cittadini attraverso scuole di ogni ordine e grado, ospedali, parchi e aree verdi sportive e ricreative, attrezzature di interesse comune, ovvero per assicurare il telaio minimo indispensabile di funzionalità pubbliche che assolvono compiti essenziali per le comunità.
Lo standard quale dotazione quantitativa è dunque un prerequisito di ordine spaziale per la produzione e fornitura di servizi pubblici.
In forza di ciò va riconosciuta la correlazione fra la nozione di ‘dotazione minima inderogabile’ e la ‘determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali’ ex art. 117, c. 2, lett. m), in particolare considerando il contesto delle politiche pubbliche e dei servizi offerti ai cittadini su scala nazionale. Infatti, tale correlazione risiede nel compito assegnato alla pianificazione relativo alla creazione di ambienti urbani e territoriali che soddisfano le esigenze fondamentali della popolazione, garantendo l’accesso a servizi essenziali su tutto il territorio nazionale.
Si tratta di valori costituzionali che, soprattutto dopo la riforma del 2001, sono oramai strettamente correlati anche alla materia del governo del territorio. Nello stesso anno la Cassazione ha stabilito con chiarezza che la norma sugli standard “ha efficacia di legge dello Stato, essendo stato emanato il decreto che la contiene su delega della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150” (Cass., II, 27 marzo 2001, n. 4113).
In tal senso hanno operato anche due importanti iniziative che si sono mosse attorno alla necessità di un aggiornamento del Di 1444/68. La prima riguarda il testo di riforma elaborato nella XVIII legislatura (governo ‘Conte uno’) e presentato nel 2019 dal Gruppo di lavoro istituito (Decreto n. 349/2018, prorogato con Decreto 31.12.2018) dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e presieduto da Costanza Pera. In coerenza a quanto scritto nella proposta di articolato, la relazione d’accompagnamento riconosce negli standard “una garanzia cruciale per la messa in opera di diritti fondamentali dei cittadini” ed in quanto tale vengono confermati. Circa le procedure da seguire per la rivisitazione della materia degli standard urbanistici, l’attività del Gruppo di lavoro ha riconosciuto pertinenza e fondamento che tale mossa riformatrice fosse in capo allo Stato, proprio nell’art. 117, c. 2, lett. m).
La seconda iniziativa, sviluppata sempre nella XVIII legislatura ma durante il governo presieduto da Mario Draghi, rimanda ai lavori svolti dalla “Commissione per la riforma della normativa nazionale in materia di pianificazione del territorio, standard urbanistici e in materia edilizia” istituita con Decreto 441/2021 e presieduta da Raffaele Greco. Anche tale Commissione ha prodotto un disegno di legge e una relazione illustrativa; in particolare in quest’ultima si richiama la giurisprudenza in ordine alla riconducibilità della disciplina degli standard urbanistici ai ‘livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale’ ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione, “concorrendo gli stessi all’individuazione delle dotazioni minime indispensabili ad assicurare i servizi socio-economici indispensabili alla collettività che fruisce del bene territorio”.
La cornice di senso che si intende delineare è molto chiara: gli standard urbanistici quali dotazioni minime finalizzate a soddisfare diritti primari sono elementi costitutivi per tutto il territorio nazionale assunto nella sua interezza e indifferenziabilità, dunque inderogabili.
Si può quindi ritenere che se nella materia concorrente del governo del territorio le leggi regionali debbano attenersi alle norme dei principi generali della legislazione nazionale (che dopo ben 23 anni lo Stato deve ancora definire!), per contro, per quanto riguarda le dotazioni di spazi e attrezzature pubblici, si pone l’esigenza che essi rispondano a criteri di identificazione e definizione omogenei su tutto il territorio nazionale, in quanto non è costituzionalmente ammissibile che vi possano essere squilibri (anche molto consistenti come quelli cui assistiamo oggi) tra le diverse regioni, in virtù di differenti rapporti e parametri liberamente individuati dalle singole – e diverse – norme di disciplina regionale.
In conclusione, se in forza dei fondamentali e irrinunciabili, principi di sussidiarietà verticale e di prossimità territoriale la pianificazione e regolazione dell’assetto urbanistico e territoriale è da rimettere, quanto più possibile, ai livelli di governo più vicini alle comunità direttamente interessate, si deve ritenere che la determinazione delle dotazioni di aree, edifici e attrezzature pubbliche, o private di uso pubblico, finalizzati alla realizzazione e fornitura di servizi di pubblica utilità e interesse collettivo, a favorire idonee condizioni insediative e di qualità della vita, di relazione, di coesione sociale nonché a migliorare l’accessibilità universale, la qualità e la fruibilità dello spazio pubblico, sia da mantenere in capo al legislatore statale, in quanto ragionevolmente riconducibile all’ambito delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali.
L’agenda del legislatore statale è dunque differenziata attorno a due prospettive operative: la prima concerne l’individuazione dei – tanto attesi – principi fondamentali del governo del territorio; la seconda attiene alla determinazione delle dotazioni (urbanistiche e territoriali) minime e inderogabili atte a garantire i livelli minimi delle prestazioni concernenti diritti fondamentali.
Su quest’ultima fattispecie, le normative regionali potranno intervenire esclusivamente ampliando e rafforzando.
Dunque alla pianificazione è riconosciuto il compito di contribuire a realizzare questo obiettivo, promuovendo equità e giustizia: se il piano ne fosse deficitario, potrebbe venirne meno la sua legittimità.