1. Il XXX Congresso dell’INU svoltosi nel 2019 a Riva del Garda in concomitanza con la VII RUN è stato un successo per la partecipazione di amministratori di grandi e piccole città, di urbanisti e progettisti e di studiosi delle Università italiane. La Rassegna ha consentito di indagare lo stato dell’urbanistica italiana e i numerosi incontri hanno messo a confronto le Regioni, le Città metropolitane e i comuni sulle criticità normative, procedurali e anche tecniche per il governo del territorio.
Quale nuova stagione oggi si apre, quali le domande al nuovo governo e quale ruolo per gli urbanisti.
Anche se non ne eravamo pienamente consapevoli quando ci siamo riuniti la scorsa primavera a Riva del Garda, il duplice appuntamento organizzato dall’INU, e la fase immediatamente successiva che si è caratterizzata per l’avvio di un nuovo ciclo della programmazione europea, potranno costituire un autentico momento di svolta nella riflessione e nelle iniziative del nostro Istituto, che potrebbe essere chiamato molto presto a dare concretezza ed efficacia a quell’invito a sottoscrivere un “Patto per l’urbanistica italiana” con cui si era aperto il XXX Congresso.
Si tratta infatti di una occasione che potrebbe non ripetersi. Basti pensare che è almeno dall’inizio di questo decennio che la cultura urbanistica sta sostenendo con forza la necessità di mettere a punto un’agenda urbana nazionale, che partendo dalla proposizione di una visione a lungo termine dovrebbe indicare il percorso da seguire al fine di legare più strettamente le scelte della pubblica amministrazione alla domanda di sviluppo e di cambiamento che proviene dal sistema economico e, al tempo stesso, dal contesto urbano e territoriale del nostro Paese.
Fino ad ora i nostri appelli non hanno ricevuto risposta, e la circostanza che rendeva questo silenzio ancora più grave era che questa inspiegabile inerzia si aggiungeva ad una tendenza diffusa a subordinare le decisioni della politica e delle istituzioni a logiche di breve periodo, quasi che la rinuncia al metodo della pianificazione e alla valutazione razionale e preventiva dei costi e benefici delle scelte pubbliche potesse consentire un rapporto con i cittadini più diretto, trasparente e senza faticose intermediazioni.
A fronte di questa esitazione a seguire le sollecitazioni che provenivano dal dibattito disciplinare e, soprattutto, a raccogliere l’invito della Commissione Europea a varare anche in Italia una Agenda Urbana in grado di coinvolgere le città dapprima nella elaborazione, e poi nella attuazione di una strategia di sviluppo, la cronaca degli ultimi mesi si è caratterizzata per alcune interessanti novità. In particolare si fa riferimento alla decisione del Dipartimento per la coesione della Presidenza del Consiglio di istituire cinque Tavoli tematici per ognuno degli obiettivi strategici della programmazione 2021-2027, che ha consentito all’INU di partecipare attivamente a questi esercizi di “Partenariato economico e sociale” con specifici contributi e proposte operative, sperimentando una modalità di collaborazione che potrà rivelarsi preziosa soprattutto se avremo l’opportunità di impiegarla in forme più strutturate e impegnative. Convincendo, ad esempio, i nostri interlocutori della necessità di fare in modo che i richiami al contenimento del consumo di suolo, alla tutela della biodiversità, al miglioramento della accessibilità o alla riqualificazione delle reti verdi e blu, che certamente non mancheranno nei regolamenti comunitari di prossima pubblicazione, si traducano più concretamente in una attenta considerazione della dimensione territoriale del processo di programmazione.
Dal momento che la prossima conclusione di questo processo di partecipazione segnerà quanto prima il passaggio verso la elaborazione di un impianto programmatorio vero e proprio, è certamente opportuno che il nostro Istituto riesca ad assicurare la propria presenza in questo fondamentale momento di passaggio. Se avremo successo, la procedura sostanzialmente top-down a cui avevamo pensato quando puntavamo ad una Agenda Urbana e a un Patto per l’urbanistica sostenuti dalle Istituzioni di governo del territorio (dallo Stato centrale fino alla rete capillare degli enti locali), potrà evolvere verso un paradigma combinatorio e incrementale, in grado cioè di valorizzare induttivamente le nostre competenze specialistiche e il nostro grande “archivio” di informazioni sulla evoluzione del sistema di pianificazione e del modello insediativo del Paese, le cui fonti sono costituite in primo luogo dalle nostre pubblicazioni, dal Rapporto dal Territorio 2019 in corso di stampa e dagli stessi materiali raccolti in occasione della RUN di Riva del Garda.
2. Nel messaggio di insediamento, con uno scritto inviato a tutti i soci dell’INU (UI 282) è stata data grande enfasi alla necessità di contrastare, anche nelle azioni e politiche urbane e territoriali, l’impulso alla
Sviluppare una concreta opposizione nei confronti della attuale tendenza a promuovere un impulso generalizzato alla disintermediazione rappresenta indubbiamente una sfida molto importante e impegnativa. Si tratta di una missione che dovrebbe interessare tutti i soggetti, collettivi e individuali, che si affidano a linguaggi tecnici specializzati e che sono attualmente al centro di un attacco concentrico da parte di un’opinione pubblica che, in parte significativa, è costituita paradossalmente dagli stessi utilizzatori di queste competenze specialistiche, nei confronti delle quali ha ormai sviluppato una marcata sfiducia.
Per quanto ci riguarda più direttamente, credo che la difesa dei saperi esperti debba puntare in due fondamentali direzioni: da un lato rivendicando l’autorevolezza e il prestigio che dovrebbero essere assicurati dalla storia lunga e gloriosa del nostro Istituto, che nel 2020 celebrerà il novantesimo anniversario della sua fondazione; dall’altro impegnandoci concretamente nella riduzione del divario che separa, nella nostra disciplina, gli esperti dai semplici addetti ai lavori, promuovendo un’azione di alfabetizzazione tecnica in grado di diminuire questa distanza e diffondere al tempo stesso la convinzione che, almeno nelle situazioni più complesse, convenga affidare il compito di realizzare i nostri più ambiziosi intendimenti a rappresentanti più competenti di noi.
Quanto al primo di questi bersagli, il prossimo anno ci vedrà impegnati nella ricostruzione di un cammino denso di eventi e di personaggi che hanno contribuito a popolare la scena internazionale, con personalità di assoluto rilievo quali Olivetti, Piccinato, Astengo, Salzano e Campos Venuti. La circostanza per cui queste due ultime personalità sono scomparse molto recentemente, ci consentirà di dedicare una parte della nostra riflessione sulle diverse tradizioni urbanistiche del Novecento alla celebrazione dei protagonisti e interpreti di due visioni antagoniste della pianificazione, che si sono rivelate variamente influenti nell’indirizzare il nostro viaggio. Inoltre il riferimento agli avvenimenti salienti di questa storia ci permetterà di passare in rassegna non solo i successi, ma anche i fallimenti della scuola urbanistica italiana (la legge Sullo, il Progetto ‘80, la riforma del regime dei suoli, ecc.), da cui è ancora necessario ripartire se si vuole superare il pesante ritardo che abbiamo maturato nei confronti di altre realtà europee.
Per quanto riguarda invece il secondo obiettivo indicato in precedenza, il tentativo di ridurre la distanza tra saperi esperti e competenze tecniche di base dovrebbe indirizzarsi verso un’azione concertata con le istituzioni accademiche e professionali, con le quali l’INU ha peraltro già intessuto negli anni un intenso sistema di relazioni. Facendo leva su un rapporto di collaborazione che in alcune realtà locali appare già promettente, dovremmo essere in grado di promuovere programmi di tirocinio, di formazione e di aggiornamento professionale tali da assicurare una modalità di apprendimento permanente (lifelong learning) che, almeno in prospettiva, potrebbero contribuire al superamento delle principali criticità del sistema attuale. Oltre agli evidenti benefici per i giovani laureati in architettura e ingegneria edile - sempre meno competenti in campo urbanistico a causa delle scelte miopi operate negli ultimi anni da molte Università italiane - questa alfabetizzazione tecnica dovrebbe favorire nel tempo un dialogo più agevole e collaborativo tra urbanisti senjor e nuovi quadri sia negli uffici tecnici degli enti locali di maggiori dimensioni, sia nei gruppi di progettazione che si misurano sempre più frequentemente con i compiti di crescente complessità conseguenti dalla diffusione degli obiettivi della rigenerazione urbana e della pianificazione integrata.
3. Il tema della legge del governo del territorio continua ad attraversare le vicende politiche del nostro Paese con alterne attenzioni ma senza esiti. La certezza normativa possibile con una legge di principi del governo del territorio che superi l’attuale “babele urbanistica regionale”, come la chiamava Federico Oliva, quali prospettive trova e in che modo oggi può trovare attenzione e impegno incrociandosi con la necessità di avere risposte nei confronti dell’imperativo di fermare il consumo di suolo e di avviare processi di rigenerazione urbana, di difesa del suolo e delle popolazioni dai rischi, di affrontare il tema delle grandi e piccole infrastrutture il cui stato rappresenta uno dei contributi determinanti alla frammentazione del Paese.
Per rispondere ad un quesito così stimolante e impegnativo partirò dalla considerazione, difficilmente contestabile, che il milieu politico-istituzionale nel quale avrebbe dovuto maturare la nuova legge sui principi fondamentali del governo del territorio che l’INU ha promosso ormai da molto tempo non è stato all’altezza del suo compito, e ha prodotto quella babele urbanistica regionale che tu hai richiamato. Il caos normativo che ne è conseguito tende a determinare in molti casi un’autentica paralisi amministrativa degli enti di governo, e costituisce al tempo stesso una causa non secondaria della scarsa credibilità di cui soffre attualmente la nostra disciplina.
Ma è fin troppo evidente che non si tratta semplicemente di difendere il nostro prestigio. I danni prodotti da questa assenza di riferimenti credibili per l’attività di pianificazione e per lo stato del territorio sono sotto gli occhi di tutti e l’INU dovrà riprendere al più presto la sua azione di stimolo e di proposta nei confronti dei livelli istituzionali più direttamente coinvolti, manifestando comprensibilmente un maggiore realismo rispetto alle aspettative che nutrivamo in passato, ma assicurando lo stesso impegno e la stessa determinazione.
Lo scenario politico nel quale si svilupperà la nostra iniziativa nel prossimo biennio è in rapido mutamento, ma forse esistono alcune condizioni favorevoli che potremo utilizzare in vista di un rinnovamento del sistema di alleanze con cui collaborare alla definizione delle proposte di riforma e di revisione dell’ordinamento vigente. Si tratta in primo luogo di incoraggiare l’apertura di un nuovo “cantiere” nel quale ripensare radicalmente all’impianto normativo che avevamo messo a punto in una stagione riformista ormai lontana, fornendo alcuni contributi indispensabili relativamente al monitoraggio dei percorsi intrapresi dalle Regioni in materia di governo del territorio, alla valutazione del possibile impatto, sulla legislazione di settore, delle proposte di autonomia differenziata attualmente in discussione e, soprattutto, alla possibilità di pervenire in modo incrementale alla definizione di una legge quadro, con anticipazioni riguardanti ad esempio il riordino e l’innovazione della disciplina in materia di rigenerazione urbana, o la predisposizione di una nuova legge sul suolo, in grado di favorirne la messa in sicurezza e il contenimento del suo consumo.
Come ho già avuto modo di osservare in più occasioni, è opportuno che questa attività di riflessione e di proposta si sviluppi anche al nostro interno superando una sterile e fuorviante contrapposizione tra “innovatori” e “conservatori”. Il riformismo che abbiamo in mente deve saper interagire con le esigenze di cambiamento ed evoluzione di un Paese sempre più disarticolato e incoerente, nel quale le politiche pubbliche saranno destinate ad avere successo solamente se sapranno combinare con sapienza modelli di intervento differenti per livello di complessità, per capacità di far leva sulle energie locali o, al contrario, di prescindere dal loro contributo qualora queste ultime si riveleranno indisponibili. Se poi riusciremo a disporre questa modalità operativa all’interno di un lucido disegno di governo, allora anche l’azione di contrasto che eserciteremo nei confronti dell’irriducibile frammentazione del territorio italiano - e dei suoi squilibri vecchi e nuovi - potrà trovare un’opportuna collocazione in un’Agenda Urbana nazionale finalmente in gestazione.