Le ultime alluvioni che hanno colpito il Nord e Centro Italia chiedono in primo luogo una decisa coesione istituzionale, politica, culturale e sociale, che vada oltre la ricerca delle singole responsabilità per le quali, peraltro, sono impegnati gli organi a ciò competenti.
I fattori che vanno considerati sono almeno due:
l’eccezionalità dell’evento (la calamità naturale),
lo stato dei territori colpiti dall’evento eccezionale.
Il termine eccezionalità deve legarsi a quello del rischio, mentre lo stato dei territori chiede anche la riformulazione della categoria dell’eccezionalità.
Andiamo con ordine.
Non mancano, nel nostro Paese, leggi per il governo del territorio e leggi a tutela dell’ambiente, alle quali corrispondono strumenti (piani, politiche, programmi) in capo a diversi Enti competenti (Stato, Regioni, Province, Comuni). Fra queste, non mancano apposite leggi in materia di difesa del suolo, a partire dal ceppo normativo nazionale che risale al primo Novecento, fino ai più recenti testi comunitari e alle disposizioni statali e regionali.
Gli anni Novanta del secolo scorso sono stati caratterizzati da un profondo rinnovamento legislativo, dal 1989, anno di emanazione della L. 183 in materia di difesa del suolo, l’amministrazione pubblica ha l’obbligo di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, a fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi, svolgendo ogni opportuna azione di carattere conoscitivo, di programmazione e pianificazione degli interventi, di loro esecuzione. Ne conseguirono la suddivisione del territorio nazionale in bacini idrografici di rango nazionale e di rango regionale, con relativo riparto di competenze e l‘obbligo di formazione di appositi Piani di Bacino. La prevalenza dei Piani di Bacino su qualunque altro strumento della pianificazione di qualunque altro Ente che governa il territorio, è una componente del nuovo approccio per affrontare la questione del rischio nella pianificazione urbanistica e territoriale.
Ciò ha comportato varie innovazioni:
la interdisciplinarietà, ossia il concorso di diversi saperi alla formazione dei piani urbanistici;
la collaborazione fra Enti competenti nel governo del territorio, che ha portato a metodi di co-pianificazione nella formazione dei piani;
l’integrazione delle attività di valutazione ambientale nella pianificazione, che rispondono proprio a princìpi di cautela, di responsabilità e di prevenzione;
la ridefinizione di una filiera di strumenti, che dovrebbero definire le questioni ambientali che travalicano i confini amministrativi;
l’assoggettamento a regole di tutela dell’ambiente anche di politiche di settore, come quelle agricole, infrastrutturali, etc.;
il progressivo affermarsi del contenimento del consumo di suolo negli strumenti della pianificazione.
Sarebbe lungo l’elenco dei provvedimenti, leggi, atti e piani, riferiti alla difesa del suolo e alla prevenzione del rischio idraulico nonché al governo del territorio, nei quali tali innovazioni sono contenute, e non si fa fatica a trovarne effetti diretti di miglioramento degli strumenti della pianificazione territoriale regionale, provinciale e comunale, in ordine alla difesa dell’ambiente e alla prevenzione del rischio, ed effetti indiretti, che si vedranno nell’applicazione di quegli strumenti, che si sostanziano nella inedificabilità di suoli a rischio e nella individuazione di regole di prevenzione e di opere di messa in sicurezza idraulica. Misure specifiche per la difesa del suolo e la prevenzione del rischio idraulico sono contenute in apposita deliberazione del Consiglio regionale toscano, del 1994, che integra le norme urbanistiche regionali, e saranno pilastri delle riforme urbanistiche toscane della metà degli anni Novanta (LR 5/1995) e della metà degli anni Duemila (LR 1/2005), che hanno prodotto un totale rinnovamento della pianificazione, con due Piani territoriali regionali, due cicli di Piani territoriali provinciali, nuovi Piani strutturali comunali.
Anche nella legge urbanistica della Regione Liguria (n. 36/1997), restando nei territori colpiti dalle vicende recenti, si trovano i dispositivi e le innovazioni fin qui richiamati. Ma ciò vale per molti altri contesti regionali. L’elenco si allungherebbe ulteriormente se facessimo riferimento alle leggi regionali di settore in materia di difesa del suolo. Si aggiungano piani che assoggettano specifiche porzioni territoriali a norme speciali, come per le riserve, i parchi, le aree protette, di norma improntati a salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio.
Concludendo, aver assunto la difesa del suolo quale componente della pianificazione ha significato essersi fatti carico dell’interazione tra ambiente naturale e ambiente costruito o che si intende costruire, in termini di previsione evolutiva e per stabilire condizioni che garantiscano di mantenere e recuperare le risorse territoriali (e in tal senso prevenire dissesti idrogeologici).
Domandiamoci ora qual è lo stato del territorio.
I nostri territori sono densamente popolati e costruiti, ma sono, soprattutto, scarsamente manutenuti.
Il sistema insediativo sul quale si abbattono gli eventi eccezionali, inondazioni o terremoti, si è addensato in ambiti per i quali, nel trentennio della massiccia edificazione che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento, dei princìpi che abbiamo trattato non vi era alcuna applicazione.
Il territorio scarsamente antropizzato, per secoli dedicato all’utilizzo agricolo e alle continue opere manutentive che vi erano connesse, è stato oggetto di abbandono in quegli stessi anni, e poi ripopolato secondo modalità abitative e produttive che solo recentemente sono tornate a farsi carico della cura tanto puntuale (opere agrarie minori, difesa dei sottoboschi, salvaguardia delle regimazioni idrauliche) e complessiva (relazioni fra ambiti collinari e vallivi, fra boschi e pianure, etc).
Non è solo la diffusione insediativa il fenomeno da contrastare, ma anche pratiche che trasformano i suoli con effetti sulle interazioni fra le diverse risorse o di loro impoverimento, e soprattutto lo scarso investimento –pubblico e privato- sulla manutenzione territoriale.
E allora possiamo tornare a quanto abbiamo detto in apertura, comprendendo meglio il collegamento tra eccezionalità dell’evento e stato del territorio.
Collegare urbanistica e sicurezza - come si sta oggi facendo - è molto, ma potrebbe non bastare. Occorre investire nella messa in sicurezza laddove le condizioni di rischio siano tali da non poter più operare in termini di prevenzione, e occorre investire in opere manutentive, a carico dell’intera società, del pubblico che governa e del privato che utilizza i suoli.
Occorre un piano di sicurezza nazionale sul quale far convergere, come priorità, le scarse risorse pubbliche che sono rimaste nel nostro Paese.
Bisogna, infine, contrastare farraginosità e complessità dei sistemi decisionali che, nel nostro Paese, vedono un accavallarsi di compiti, competenze, piani e programmi, procedure, sempre più frammentate tra soggetti plurimi, teoricamente autonomi e responsabili. Una frammentazione delle competenze che ha circoscritto le responsabilità, ma non ha fornito concreta possibilità per le singole componenti decisionali di svolgere adeguatamente il compito assegnato. Occorre, invece, una efficace azione congiunta e raccordata, coerente e coesa, che non può ovviamente essere ricavata dalla mera sommatoria dei piani.
È necessario:
ragionare in termini di programmazione unica, al di là degli interventi specifici di sistemazione idraulica, idrogeologica, idraulico-forestale di norma finanziabili sugli stanziamenti L. 183/89, di fatto assimilabili a interventi urgenti per il superamento di criticità in atto o di eventi calamitosi;
coordinare efficacemente, anche attraverso riordino e semplificazione, la pianificazione di settore e la pianificazione territoriale e urbanistica, le politiche e i programmi.
A ciò dovremmo pensare anche quando parliamo di riordino degli assetti istituzionali nel nostro Paese. L’Inu è intervenuto tempestivamente in merito, sottolineando come in Italia, crisi economica e crisi urbana, pur seguendo logiche talvolta contrapposte, si manifestano quale prodotto di uno stesso e più generale declino e di un modello di sviluppo diventato sempre più insostenibile; e come fosse necessario affidare l’obiettivo di contrastare questa dinamica recessiva ad una azione comune, per affrontare congiuntamente le criticità manifestate dal sistema economico e quelle relative al nostro modello insediativo. Per quanto riguarda l’assetto istituzionale, fondamentale per restituire competitività al sistema Paese, la prospettiva è quella di una sua organica riorganizzazione, modellandolo sulle dimensioni della metropolizzazione e dell’area vasta, sull’assetto reale, troppo spesso lontano dalle frammentazioni territoriali indotte dai confini amministrativi.
Tuttavia, questa consapevolezza non ci ha portato, e non ci porta, a suggerire, né a sostenere, la banalizzazione delle istituzioni e l’impoverimento dei rapporti fra queste e i territori.
Tuttavia, tutto quanto si può ragionevolmente e con responsabilità argomentare non toglie agli eventi che hanno colpito i territori toscani e liguri, il carattere di calamità eccezionale, componente che l’uomo non potrà mai annullare del tutto.