Il concetto di Digital Twin (DT), inizialmente nato in ambito industriale, è diventato un termine centrale anche nel contesto territoriale, generando interpretazioni diverse che riflettono il tentativo di adattare un paradigma complesso a nuovi ambiti applicativi. Tuttavia, proprio questa ricchezza semantica rischia di indebolirne il significato se non accompagnata da una riflessione critica. Spesso il DT viene ridotto a una piattaforma che privilegia le analisi condizionali, subordinando a un ruolo secondario la rappresentazione fisica del territorio e i dati georeferenziati che costituiscono il fondamento stesso del concetto.
Questa visione parziale ignora che il DT non è solo uno strumento predittivo, ma un ecosistema complesso in cui il dato acquisito – nelle sue dimensioni mono, bi e tridimensionali – è il vero paradigma centrale. Il dato territoriale, soprattutto quando arricchito da tecnologie geomatiche avanzate, come il LiDAR, la fotogrammetria e l’osservazione della Terra, rappresenta non solo la base per la costruzione del gemello digitale, ma anche il cuore delle analisi che ne derivano. È qui che si innesta un’importante riflessione socio-linguistica: il linguaggio utilizzato per descrivere il DT spesso minimizza la centralità del dato, enfatizzando invece le sue capacità analitiche e predittive. Ma senza una solida infrastruttura di dati di alta qualità, ogni analisi rischia di risultare vaga o inefficace.
L’introduzione delle tecniche di intelligenza artificiale aggiunge ulteriore complessità e valore al discorso. L’AI consente di estrarre informazioni ad alto valore aggiunto da dati georeferenziati, rendendo possibile l’identificazione di pattern, l’individuazione di correlazioni nascoste e la generazione di conoscenza utilizzabile. Questa capacità di trasformare il dato in informazione e poi in decisioni è il vero cambio di paradigma che il DT promette, e sottolinea come il dato territoriale debba essere visto come un’entità dinamica e non come un semplice strato di base. La struttura lessicale stessa del termine “Digital Twin” suggerisce una relazione speculare tra il mondo fisico e il modello digitale, ma è necessario spingersi oltre, verso una dimensione in cui il dato non è solo specchio della realtà, ma strumento attivo nella modellazione di scenari.
La variabile temporale rappresenta un ulteriore elemento chiave che merita attenzione. Il DT, per essere davvero efficace, non può limitarsi a una rappresentazione statica o al presente, ma deve includere una prospettiva diacronica e multidirezionale. Questo significa non solo utilizzare il gemello digitale per modellare scenari futuri, come accade nelle simulazioni di rischio o nella pianificazione urbanistica, ma anche per analisi di nowcasting e studi retrospettivi. La capacità di integrare dati storici e di modellare il passato è cruciale per comprendere l’evoluzione delle strutture territoriali e per identificare pattern di trasformazione che possono influenzare le decisioni attuali.
La prospettiva diacronica non è semplicemente una variabile tecnica, ma una chiave interpretativa che lega passato, presente e futuro in una logica dinamica. Questa dimensione temporale permette di comprendere come insediamenti, infrastrutture, reti idriche, superfici agricole e le strutture socioeconomiche abbiano subito trasformazioni nel tempo, e come queste possano essere proiettate in scenari futuri. Inoltre, il nowcasting – inteso come l’analisi di fenomeni in tempo reale – è essenziale per affrontare le sfide della gestione delle emergenze, come inondazioni improvvise o incendi boschivi.
Un esempio emblematico di questa centralità del dato e della variabile temporale è rappresentato dalle applicazioni legate alla transizione ecologica. Per valutare la resilienza urbana, non è sufficiente avere un modello 3D statico della città; è necessario un DT che integri dati dinamici sulla qualità dell’aria, sull’energia prodotta da fonti rinnovabili, sui consumi idrici e sulle condizioni meteorologiche, combinandoli con dati storici e proiezioni future. In questa prospettiva, il DT diventa un laboratorio virtuale in cui non solo si osservano i fenomeni, ma si sperimentano soluzioni, si simulano interventi e si valutano gli impatti delle politiche pubbliche.
La vera sfida del DT non risiede solo nella sua capacità di integrare dati e analisi, ma nella capacità di diventare uno strumento flessibile e adattabile alle mutevoli esigenze di territori e comunità. Per fare ciò, è necessario un linguaggio condiviso che ne riconosca la complessità e ne valorizzi tutte le dimensioni. Non si tratta solo di rappresentare il territorio, ma di trasformare il modo in cui lo comprendiamo, lo gestiamo e lo modelliamo per il futuro.
In ultima analisi, il DT è molto più di un modello 3D o di un sistema di supporto decisionale: è un ecosistema in evoluzione che integra dati, analisi e simulazioni per rispondere alle sfide territoriali del presente e del futuro. La sua efficacia dipende dalla qualità del dato, dalla capacità di sfruttare tecnologie avanzate come l’AI e dall’inclusione della variabile temporale in una logica che lega passato, presente e futuro. Solo riconoscendo e valorizzando queste dimensioni possiamo sfruttare appieno il potenziale del DT per costruire territori più sostenibili, resilienti e innovativi.