Urbanistica INFORMAZIONI

Custodire il seme del riformismo urbanistico nell’attuale contesto politico-istituzionale

Per effetto di una improvvisa accelerazione a cui la politica italiana ci sta ultimamente abituando, la larghissima maggioranza che sosteneva il Governo Draghi si è bruscamente dissolta, decretando lo scioglimento delle Camere quando mancavano oltre sei mesi dalla conclusione ‘naturale’ della XVIII Legislatura.
Per effetto della fine anticipata del governo delle larghe intese, stiamo assistendo non solo all’inaspettata interruzione di alcuni processi di riforma, ma anche alla mancata approvazione di importanti decreti attuativi da cui dipendeva, tra l’altro, la stessa attuazione del PNRR. Tra gli effetti di questa crisi politica si segnala, per quanto di nostra competenza, anche la prematura interruzione dei lavori affidati alla commissione di esperti istituita da Enrico Giovannini, ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili nel Governo Draghi, con il compito di elaborare proposte di riforma in materia di pianificazione del territorio e di standard urbanistici, nonché di riordino e modifica delle disposizioni contenute nel Testo unico dell’edilizia.
Come avevamo sottolineato solo pochi mesi fa (Talia 2022), l’itinerario che il nostro Istituto avrebbe dovuto percorrere fino alla presentazione di una proposta di Legge di principi sul governo del territorio in occasione del XXXI Congresso che si svolgerà a Bologna nel mese di novembre sembrava destinato a tener conto delle posizioni assunte dalla Commissione ministeriale con lo scopo di istituire un fertile terreno di confronto e di collaborazione, ma a questo punto dobbiamo prendere atto del sopraggiungere di un importante cambiamento di scenario. Nei giorni concitati della campagna elettorale, e poi della formazione di un nuovo governo, dovremo dunque affiancare alla elaborazione di un articolato di legge in grado di raccogliere le suggestioni offerte dal lavoro della Commissione – e di superare al tempo stesso alcune criticità che erano state originate dalle proposte ivi contenute – una riflessione più ampia ed impegnata sulle condizioni che dovranno essere soddisfatte perché l’approccio riformista al governo del territorio possa conseguire i risultati auspicati. E con un orientamento di fondo che riteniamo possa essere confermato anche qualora le prossime elezioni dovessero decretare il successo di formazioni politiche che si ispirano ad un modello di società differente da quello che abbiamo in mente.
In una stagione politica che potrebbe caratterizzarsi per il rifiuto di una visione ‘progressista’ delle politiche urbane, un interessante punto di partenza potrebbe essere costituito dalla rinuncia ad una lettura ideologica del cambiamento della società e delle strutture insediative. Almeno da quando ci si è abituati a ritenere che i compiti del planner non si limitavano alla regolazione delle trasformazioni, ma prevedevano in molti casi anche l’interpretazione, in prima persona, dei processi di sviluppo, è giunto il momento di riconoscere che i valori collettivi non vengono prima delle politiche pubbliche, ma ne sono molto spesso il risultato più rilevante (Cremaschi 2007).
Se è sempre più evidente che il successo delle politiche riformiste non passa necessariamente attraverso l’accettazione di una lettura statica e oppositiva del conflitto, si tende ormai a convenire che i risultati più significativi di tale orientamento sono concretamente valutabili, e prevedono molto spesso l’accoglimento del diritto alla città, ossia della possibilità di fruire, ovunque si abiti, della medesima qualità urbana fatta di connessioni rapide e di equilibrate condizioni di accesso a servizi urbani efficienti e accessibili, alle opportunità di lavoro, ad un ambiente pulito e sano, ad un impianto urbanistico ordinato e razionale, alla bellezza architettonica e alle risorse socio-culturali.
Laddove il contributo di nuove politiche urbane dovesse trovare un favore crescente nelle iniziative delle forze di governo, non solo ci potremmo aspettare effetti positivi nel campo della mobilità sostenibile, del recupero urbanistico e della rigenerazione urbana, della cura delle persone, della comunicazione digitale, della filiera corta dell’agricoltura, del ciclo dei rifiuti o della green economy, ma ci troveremmo nelle condizioni di poter mettere in discussione l’impostazione complessiva dell’intervento statale nel governo del territorio. Un impianto, quest’ultimo, che ha finito per disinteressarsi dei contenuti dell’azione amministrativa, per occuparsi solamente delle procedure, con la conseguenza di determinare in molti casi una caduta di responsabilità dello Stato nei confronti della condizione urbana, e di dar vita al tempo stesso ad una produzione legislativa ipertrofica, destinata a condizionare le iniziative e le politiche di bilancio degli enti locali (Tocci 2013).
Giunti a questo fase peculiare della nostra esplorazione converrà sottolineare che il tentativo di pervenire ad una versione ‘sostantiva’ del riformismo urbanistico di cui abbiamo sottolineato l’importanza, non tende necessariamente a indebolire il nostro impegno nella elaborazione di una proposta efficace di revisione della legislazione urbanistica. Al contrario, è facile dimostrare che nuove politiche pubbliche potranno trovare una piena consapevolezza proprio in virtù delle novità introdotte dalla riforma della Costituzione approvata nel 2001 che attengono tra l’altro alla diffusione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, e che sono tuttora in attesa di un positivo e concreto accoglimento (Caravita e Salerno 2021) soprattutto per quanto riguarda il nostro ordinamento in materia di governo del territorio.
Si pensi, ad esempio, alla necessità di affrontare con piena consapevolezza le principali questioni riproposte con forza dalla riformulazione del Titolo V della Costituzione, che secondo Caravita e Salerno (2021) possono essere riassunte in questo modo:

  1. l’esigenza di approdare ad una chiara ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni in relazione ai campi di interesse che coinvolgono più direttamente la pianificazione del territorio;
  2. la necessità di pervenire ad una chiara individuazione delle problematiche connesse all’attribuzione delle funzioni amministrative, anche tenendo contro del ruolo che le autonomie locali potranno svolgere in un contesto che appare sempre più condizionato dallo sviluppo delle politiche europee;
  3. il bisogno di formulare ipotesi convincenti relativamente al dimensionamento territoriale ‘ottimale’ delle istituzioni decentrate, anche in considerazione delle proposte di riorganizzazione attualmente sul tappeto;
  4. l’urgenza di approfondire le questioni sollevate dalla estensione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, in un quadro della finanza pubblica che tenga conto dei principali fattori di vincolo che operano alle differenti scale.

L’ordinamento delle amministrazioni locali disegnato dalla riforma del 2001, se non vorrà alterare il modello statuale ispirato ad un forte decentramento istituzionale che era stato tracciato con forza dalla nostra Carta costituzionale – e che sottolineava che “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” – dovrà costituire la principale ispirazione della Legge di principi sul governo del territorio alla quale stiamo lavorando. Di conseguenza, il contributo offerto dal nostro Istituto dovrà puntare con decisione alla individuazione di una articolazione ottimale delle istituzioni territoriali che soddisfi le aspettative delle collettività più direttamente interessate, che confermi il modello fortemente pluralistico delle istituzioni territoriali e che superi le attuali perplessità, riguardanti soprattutto l’incerta collocazione delle Province tra Regioni e Comuni, le difficoltà incontrate dalla attuazione dell’istituto della Città metropolitana e la definitiva affermazione delle formule riguardanti l’associazione o l’accorpamento delle amministrazioni locali, soprattutto se di piccola dimensione.
La problematicità delle questioni che abbiamo appena richiamato, e la necessità di non affidarsi ad eccessive esemplificazioni per quanto riguarda l’individuazione di slogan e di ‘parole d’ordine’ che rischierebbero di favorire una caduta di responsabilità dello Stato verso la condizione urbana, segnalano la necessità di vigilare con particolare attenzione il passaggio, che si preannuncia particolarmente difficoltoso, verso una nuova fase delle politiche pubbliche, nella quale la scelta riformista passerà attraverso una sintesi faticosa e ‘sorvegliata’ tra una pluralità di opportunità e di fattori di vincolo, e in cui l’esercizio di una funzione di governo si proporrà in primo luogo come arte del possibile.

Riferimenti

Caravita B., Salerno G. M. (2021), “Ripensare il Titolo V a vent’anni dalla riforma del 2001”, Federalismi.it [http://federalismi.it], fascicolo n. 15/2021, 16 giugno.
Cremaschi M. (2007), “Destra e sinistra: inciampi del riformismo in urbanistica”, in A. Lanzani, S. Moroni (a cura di), Città e azione pubblica. Riformismo al plurale, Carocci, Roma.
Talia M. (2022), “Alla ricerca di un corretto registro per la riforma urbanistica”, Urbanistica Informazioni, no. 303, p. 9-10.
Tocci W. (2013), Sulle orme del gambero. Ragioni e passioni della sinistra, Donzelli editore, Roma.

Data di pubblicazione: 14 ottobre 2022