Urbanistica INFORMAZIONI

Costruire tanto, male e dove non si può

Da tempo le Aperture di Urbanistica Informazioni rischiano di risultare tutte uguali, cambiano i titoli ma restano i temi che “chiamiamo emergenze, ma che sono gli esiti dei disastri sociali e ambientali che si sono creati proprio come conseguenza di una messa a regime dell’emergenza e quindi della deroga come politica di governo del territorio” (UI, 256/2014). A fianco della denuncia, le Aperture ripropongono il tema di come il Piano (e altri strumenti di governo del territorio) possano garantire difesa del suolo, qualità ambientale, servizi pubblici e case in affitto, in assenza di interventi pubblici diretti e di operatori in grado di trovare sostenibilità economica per finanziarli.

L’estate 2017 ha portato in superficie tutte le fragilità territoriali e sociali del nostro Paese, che sono anche (soprattutto) il prodotto della politica del nostro Paese che possiamo definire attraverso il “modello urbanistico” che la definisce: costruire tanto, male e dove non si può.

Alluvioni, terremoti, incendi e fabbisogno abitativo, aggravato dalla consistenza dei flussi migratori, hanno reso evidente l’impotenza e l’inefficacia delle risposte emergenziali ponendo all’ordine del giorno, anche dell’agenda del Governo, la necessità di affrontare la difesa del suolo e le politiche sociali con una strategia di “piano” che non disperda le limitate risorse che lo Stato è in grado di attivare.

Sembra una presa di coscienza necessaria e finalmente nella direzione giusta, anche se i programmi attivati e delineati, si pensi a Casa Italia e i Bandi per le periferie degradate, garantiscono un finanziamento irrilevante rispetto alla dimensione dei problemi e nello stesso tempo sembrano non comprendere la necessità di una azione incentrata su risorse, programmi e progetti con regole semplici e chiare da attivare subito, ma con un orizzonte da piano decennale.

Pur consci delle critiche a cui si va incontro quando si propone di studiare per conoscere i fenomeni che si devono governare e di assumere, sia alla scala centrale che locale, la logica del Piano e del Governo del territorio, in quanto rimandano alla “contraddizione” tra emergenze e tempi lunghi del Piano e dell’urbanistica, ci sembra imprescindibile avviare un lavoro finalmente articolato in una dimensione che sappia utilizzare tutte le conoscenze maturate nell’esperienza della pianificazione regionale e comunale, ma con una direzione coordinata in grado di misurare i rischi, definire i vincoli e proporre politiche e distribuire risorse in modo adeguato ai problemi.

Il primo passo di un grande progetto di difesa del territorio e di rigenerazione urbana consiste nel pendere conoscenza dei problemi e della loro dimensione. Solo così si possono avanzare delle soluzioni, delle regole, dei progetti e costruire un sistema di gerarchie e priorità.

Noi urbanisti dobbiamo imparare a stare in questo progetto con una nuova cultura del Piano inteso come un processo, un percorso che deve inevitabilmente essere capace anche giuridicamente, di cambiarsi, di modificarsi. Si devono definire alcune linee guida molto solide e strategiche riferite alla tutela dl suolo, al paesaggio, alla domanda abitativa, alle infrastrutture, al trasporto pubblico, con attenzione alla qualità urbana, che significa prevenire e gestire le “emergenze” fisiche e sociali.

Il piano con la sua possibilità/capacità di delineare le scelte strutturali di assetto e di “regolare” interessi pubblici può costituire lo strumento per definire gli interventi tutelando gli spazi naturali, creando reti ecosistemiche che innervano il territorio e la città e bloccando il consumo di territorio, abbandonando la cultura della deroga che non da risposte alle domande di casa, lavoro e mobilità, ma serve solo (e spesso anche attraverso piani che hanno la mera funzione di condoni) a legittimare piccole e gradi speculazioni residenziali e produttive.

Data di pubblicazione: 8 settembre 2017