Nell’attuale, turbolento, momento storico, un terzo dei Paesi ha recinzioni di diverse tipologie lungo i suoi confini [1], accelera il peggioramento delle condizioni climatiche, si rende incerto lo sguardo al futuro e, in esso, il progetto degli spazi nei quali viviamo è sempre più obbligato a fare i conti con l’ambiente [2]. Quasi 80mila ettari di foresta sono stati distrutti nel 2018 e più di 100mila ettari di terra coltivata sono stati erosi, 182mila ettari di suolo sono stati desertificati e sono state emesse oltre 600mila tonnellate di CO2; delle oltre 200mila megawattore di energia consumate giornalmente quasi 180mila vengono da fonti non rinnovabili. Il 2017 a livello globale è stato il terzo anno più caldo, sia della serie di temperature medie annuali su terraferma, sia di quella su continenti e oceani insieme, e in Italia esso è stato caratterizzato dall’intensificazione delle condizioni di siccità riscontrate nel 2016 [3]. Oggi, la popolazione mondiale è pari a 7,5 miliardi. Dovrebbe raddoppiare in circa 40 anni, anche se il ritmo di crescita rallenta. Il 67 per cento vivrà in Paesi con una fecondità che non arriva alla soglia di sostituzione dei 2,1 figli per donna. Più della metà della popolazione vive in città. Il 40% della popolazione europea vive in città di dimensione media (tra 100.000 e 500.000 abitanti, bacino d’utenza inferiore a 1,5 milioni di persone, almeno un’università). Entro il 2050, due su tre individui vivranno in ambito urbano, incrementando al contempo la domanda di servizi pubblici e la necessità di una pianificazione sostenibile per far fronte alla riduzione della produzione agricola e al bisogno di cibo, all’erosione delle risorse naturali, all’inquinamento dell’aria e delle acque e allo smaltimento dei rifiuti [4]. In Italia la popolazione ha superato la soglia dei 60 milioni, portandoci al quarto posto fra i Paesi europei. I giovani sono poco più del 13%. Da oltre un decennio le nascite calano. Aumentano i cittadini stranieri, provenienti dai Paesi dell’Est Europa e da Paesi asiatici e africani. La mobilità sul territorio nazionale conferma la migrazione dal sud verso il nord e per quasi la metà riguarda persone in età compresa tra i 15 e i 39 anni. Se i giovani si muovono verso le principali aree urbane centro-settentrionali, i più anziani scelgono le città medie [5]. Aumentano i rischi di esclusione sociale e di povertà (+ 30% dal 2016 al 2017) [6], la produzione di rifiuti, i reati ambientali [7], l’inquinamento atmosferico [8]. Disastri, frane, inondazioni hanno caratterizzato drammaticamente il 2018 [9]. Le aree a elevata criticità idrogeologica [10] rappresentano il 10% della superficie italiana e riguardano l’89% dei comuni; le aree a elevato rischio sismico sono più del 50% del territorio nazionale e interessano il 38% dei comuni [11]. Dal confronto tra il 2017 e il 2015, emerge un incremento del 6,2% delle classi a pericolosità elevata e molto elevata; gli incrementi più significativi della superficie classificata a pericolosità elevata e molto elevata hanno riguardato il bacino del fiume Tevere, la regione Sardegna, il bacino dell’Arno, i bacini della Calabria, delle Marche, dell’Abruzzo, il bacino del Po in Lombardia, la provincia di Bolzano [12]. I dati contenuti nel “Rapporto dal territorio 2016” dell’INU [13] confermano che l’urbanizzazione dispersa ha prodotto perdita di paesaggi e suoli e dei relativi servizi eco-sistemici, si è mostrata energivora, ha riguardato zone a rischio idrogeologico, sismico, vulcanico. Abitiamo forme urbane diverse per contesti morfologici nei quali si distendono, per caratteri e ranghi rispetto alle aree di influenza, che hanno in comune caratteristiche collegate all’urbanesimo del terzo Millennio. Più della metà della popolazione italiana abita città che si sgranano dal nucleo antico compatto in ambiti periferici, fino a insediamenti a bassa densità, in una progressiva rarefazione della trama urbana pubblica e nella commistione di abbandoni, vuoti, addensamenti puntuali, commerciali e produttivi, di infrastrutture e lacerti agricoli. I paesaggi urbani sono densi di degradi, mentre quelli rurali e naturalistici soccombono, per la mancanza di manutenzione, al soqquadro climatico, che ne fa scempio, improvviso, violento, duraturo. Intanto, si registra una nuova sensibilità alle questioni ambientali e paesaggistiche, la preoccupazione per il deterioramento del paesaggio è un dato stabile (15,1%) [14]. Se nel nostro Paese pare persistere una "vocazione alla bellezza" (Corrado Augias, 2017), ereditata forse da quella capacità di creare "una ricchezza, che non si trasformò in potenza, ma si trasfigurò in bellezza" (Giorgio Ruffolo, 2008), nel 2016 la spesa per i servizi culturali, inclusi tutela e valorizzazione del patrimonio, è stata dello 0,31% del Pil, meno dell’anno precedente e al disotto della media Ue, anch’essa in calo (0,43%). Nonostante il perdurante consumo di suolo e la frammentazione ecologica che ne consegue, il territorio italiano è coperto da aree protette per oltre il 20% di estensione. Ogni italiano dispone di oltre 30 mq. di verde pubblico [15], il patrimonio di verde storico (giardini, parchi) ammonta ad oltre 74 milioni di mq. (1,9 ogni 100 di superficie urbanizzata). Lo stock edilizio disponibile è ingente: più di 30 milioni di abitazioni. Quasi l’80% è occupato da residenti. Dal 2001 al 2016, il valore delle case (stock abitativo) è cresciuto del 76%, passando da 3.268 a 5.738 miliardi. In Italia nel 2016 il valore dello stock di attività non finanziarie possedute dall’insieme dei settori istituzionali in Italia è pari a 9.561 miliardi di euro e l’84%, è costituto da immobili, abitazioni in primis; le famiglie detengono oltre il 90% del valore del patrimonio residenziale complessivo. Agli alloggi realizzati ma poi invenduti si dovrebbero aggiungere almeno una parte di quelli previsti dai permessi di costruire ritirati e di un ancor più abbondante stock di aspettative edificatorie dormienti nelle previsioni di piani sovradimensionati, elaborati a partire da aspettative formatesi nei recenti periodi di forte espansione residenziale [16]. Più del 50% delle abitazioni ha oltre 40 anni, un ulteriore 30% è stato costruito fra il 1970 e il 1990.
Cresce l’utilizzo come abitazione di ambienti non idonei (capanne, garage, camper), espressione del disagio sociale e dell’emergenza abitativa. La dispersione insediativa e la ricerca di condizioni di vita e di lavoro soddisfacenti, un comportamento individuale sempre più autonomo nell’organizzare i propri spazi e rappresentare la città, la crescita delle diverse forme di condivisione di conoscenze e servizi, fino alla produzione di nuove economie legate allo scambio sostenuto dalla tecnologia avanzata, resiliente ad ogni criticità correlata alla fisicità dei luoghi, configurano una trama reticolare alla quale non corrispondono le geografie amministrative e neanche gli strumenti di pianificazione disponibili. Ed è proprio la reticolarità la chiave per un nuovo modello di pianificazione territoriale e urbanistica. In esso le centralità sono da trovare negli spazi e servizi pubblici, progettati e realizzati integrando urbanistica e architettura, per ridare vita a centri storici abbandonati o turistizzati e creare densità negli ambienti rarefatti; mentre alle reti ecologiche, ambientali e della mobilità sostenibile è affidata la possibilità di fermare la propensione distruttiva dell’espansione urbana, legittimata o meno dai piani. Contrastare il consumo di suolo e investire sulla rigenerazione urbana, collegando il progetto della trasformazione fisica a un nuovo modello di sviluppo economico e di giustizia sociale, sono obiettivi che riguardano tutti, devono permeare le politiche pubbliche ed essere assunti quali princìpi fondamentali del governo del territorio, in armonia con le tutele ambientali e paesaggistiche, a garanzia di diritti civili e sociali.
[1] http://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/06/26/lera-dei-muri-dividono-mondo-le-nuove-frontiere-della-globalizzazione/?refresh_ce=1
[2] La propensione a guardare al futuro in chiave ottimistica varia in maniera sensibile in base alla ripartizione di residenza, il Nord supera di 4,7 punti percentuali il Mezzogiorno, con un divario in crescita rispetto all’anno precedente. Gli uomini sono sensibilmente più ottimisti delle donne (rispettivamente 29,1% e 25,5%). ISTAT, BES Rapporto 2018
[3] Il 2017 è stato un anno caratterizzato da intense anomalie climatiche. Le più rilevanti ed estese sono state l’intensa siccità, che ha interessato in particolare le regioni centro-settentrionali fino all’inizio del mese di settembre, e le intense ondate di calore estive, che hanno portato anche a valori record della temperatura massima. Nel corso dell’anno si sono altresì sviluppati numerosi eventi convettivi, localmente violenti, sia nell’interno che lungo le coste. Le notevoli intensità di precipitazione sono state causa di improvvise alluvioni e di colate detritiche, queste ultime anche in concomitanza con temperature elevate in alta quota o con eventi geofisici come la sequenza sismica che ha interessato l’Italia centrale. ISPRA, Rapporto Clima, 2017
[4] 2018 Revision of World Urbanization Prospects
[7] Nel 2016, la maggior parte delle violazioni contestate riguarda la gestione dei rifiuti (8.792 procedimenti) e delle acque reflue (1.636); sono invece 170 i procedimenti per il trasporto non autorizzato di rifiuti e 164 quelli per il traffico organizzato dei rifiuti. Nel 2017 gli incendi hanno coinvolto una superficie forestale di 162 mila ettari, pari al 5,4 per mille del territorio nazionale: il valore più alto dopo il 2007, superiore di 2,5 volte a quello dell’anno precedente. L’impatto maggiore si è avuto in Calabria (21,1 per mille del territorio regionale), Campania, Sicilia e Lazio (tra 11 e 15 per mille). Il fenomeno risente, nella sua variabilità, delle condizioni meteo-climatiche, ma manifesta anche evidenti difficoltà nella gestione del patrimonio forestale.
[8] Nel 2017 si stima che le emissioni di CO2 e altri gas climalteranti, responsabili dell’effetto serra, siano pari a 7,2 tonnellate pro capite19, come nell’anno precedente. ISTAT, 2018
[9] http://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/12/30/2018-inquinamento-alluvioni-meteo-lanno-dei-disastri/
[10] Nel 2017, secondo le stime dell’Ispra, il 2,2% della popolazione italiana è esposta al rischio di frane e il 10,4% è esposta al rischio di alluvioni. Le aree a pericolosità da frana elevata o molto elevata coprono una superficie di oltre 25 mila km2, pari all’8,4% del territorio nazionale: all’incirca la stessa estensione delle aree a pericolosità idraulica media, più popolate perché in pianura.
[11] http://www.cresme.it/it/studi-e-ricerche/57/rapporto-sullo-stato-del-rischio-del-territorio-italiano.aspx
[12] ISPRA, Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia, 2018
[14] L’insoddisfazione per la qualità del paesaggio è più diffusa nelle grandi aree urbane: 34,8% nei centri metropolitani e 24,8% negli altri comuni con più di 50 mila abitanti, mentre non raggiunge il 15% nei centri fino a 10 mila abitanti. Il disagio, inoltre, è maggiormente riportato dalle persone tra 25 e 34 anni (24,8%) e, nell’ultimo anno, diminuisce nelle classi di età più giovani. ISTAT, BES Rapporto 2018, pag. 124
[15] La distribuzione delle aree verdi fra i 109 comuni capoluogo, tuttavia, non è uniforme: il 50% delle superfici si concentra in 11 città, mentre due città su tre presentano valori inferiori alla media Italia e una su dieci non raggiunge la dotazione minima di 9 mq. per abitante prevista dalla legge. Nel confronto territoriale conviene, pertanto, riferirsi ai valori mediani, che sono di 26,1 m2 per abitante nelle città del Nord, 22,2 in quelle del Centro e 15,7 in quelle del Mezzogiorno. ISTAT, BES Rapporto 2018, pag. 138
[16] Simone Ombuen, Sistemi insediativi, popolazioni, piani, Rapporto dal Territorio, Inu Edizioni, 2016