L’occasione per riflettere, sinteticamente, sul concetto di “consumo di suolo” è senz’altro preziosa viste le ambiguità e molteplicità di significati che si sovrappongono nel portato definitorio di tale locuzione. Un’opportunità per affermare la priorità del valore ambientale ed ecologico della risorsa suolo e dei servizi fondamentali che esso svolge per il nostro benessere, rispetto a strumentali considerazioni di tipo semantico che pur giocano un ruolo importante nella configurazione ed efficacia degli strumenti normativi finalizzati a contenere i processi di consumo di suolo.
Partiamo da qui. La definizione del consumo di suolo rimane un nodo critico anche se, sia nei documenti della Commissione Europea (2016) sia nei rapporti annuali Ispra, sembrerebbe ormai assodato e condiviso un comune campo di senso. Il “consumo di suolo” (land take) si intende come la perdita di aree agricole, naturali e semi-naturali dovuta all’incremento di aree urbane artificiali; esso comprende le aree impermeabilizzate e le aree urbanizzate dovute alla realizzazione di costruzioni e infrastrutture permanenti: insediamenti residenziali, industriali, commerciali, infrastrutture per la mobilità, servizi e aree verdi urbane. Diverso è il concetto di “impermeabilizzazione del suolo” (soil sealing) che si determina con la copertura permanente del suolo realizzata con materiale artificiale. Un suolo che viene consumato durante processi di urbanizzazione può essere solo in parte impermeabilizzato (sono superfici permeabili urbane, ad esempio, il verde di pertinenza degli edifici o i parchi e i giardini pubblici); al contrario ogni qualvolta un suolo viene impermeabilizzato si determina anche un consumo. Per quanto l’aspetto definitorio del consumo di suolo possa sembrare un corno marginale e forse puntiglioso della questione, si può ben capire invece quanta rilevanza e quali ricadute possa avere nella definizione di testi normativi in grado di indirizzare le politiche urbanistiche verso il perseguimento dell’obiettivo consumo di suolo netto pari a zero, fissato dalla UE per il 2050. Se provassimo a confrontare le leggi regionali finora approvate e le molte proposte legislative presentate negli anni, ci troveremmo di fronte a un campionario definitorio variegato e talvolta contraddittorio, ma spesso accomunato da un’interpretazione puramente giuridica della nozione e delle modalità di misurazione del consumo di suolo, pensate più per garantire il rispetto di equilibri contabili e non tanto per verificare gli effettivi impatti prodotti dai processi di trasformazione d’uso dei suoli. E qui sta lo scarto più evidente e critico tra significato attribuito al concetto di consumo di suolo in termini scientifici, disciplinari e legislativi e il suo significante in termini ambientali ed ecologici. Nei disposti legislativi vengono escluse quasi sempre dalla quantificazione del ‘consumo’ e dalla valutazione dagli impatti prodotti, gli interventi di trasformazione del suolo finalizzati alla realizzazione di attrezzature e spazi di interesse collettivo, quali servizi, viabilità o parchi urbani. Pur se è indiscutibile l’importanza sociale, e in alcuni casi ambientale, di tali funzioni, sono, tuttavia altrettanto evidenti gli impatti ambientali che questi interventi determinano con l’artificializzazione del suolo. In molte leggi sembrano avere una rilevanza in termini ambientali solo quelle trasformazioni che, sulla base delle definizioni normative debbono essere computate ai fini della misurazione del consumo. Con situazioni limite nelle quali la norma prevede l’esclusione dal consumo di suolo di quelle trasformazioni che comportano l’urbanizzazione di suoli agricoli, già destinati nelle previsioni di piano ad usi urbani; o all’inverso dove viene consentita una contabilizzazione in riduzione nel bilancio complessivo del consumo di suolo quando un suolo, già agricolo nello ‘stato di fatto’, ma destinato dalla pianificazione vigente a funzioni urbane, venga ‘ri-pianificato’ (nella sua condizione di diritto) per un utilizzo agricolo o naturale. È evidente il cortocircuito tra definizioni ‘scientifiche’ e applicazioni legislative del concetto. Un nodo intricato che impone tuttavia uno scarto verso una diversa prospettiva d’azione. Per quanto sia infatti ben chiara la difficoltà di raggiungere una necessaria coerenza e condivisione tra enunciazioni disciplinari e statuizioni normative, è ancora più importante dare oggi priorità ad un approccio valutativo del consumo di suolo, in cui la misurazione quantitativa si coniughi con metodi qualitativi di monitoraggio e di valutazione degli impatti ambientali determinati dalle trasformazioni d’uso del suolo, in relazione alla perdita di funzionalità e alla riduzione di fornitura di servizi ecosistemici. Se infatti conoscere la quantità di suolo consumato è ancora fondamentale per comprendere la dimensione territoriale di un fenomeno che persiste con intensità assai rilevanti (Ispra 2021), è altrettanto urgente introdurre metodologie efficaci e oggettive di valutazione degli impatti, potenziali e reali, connessi ai processi di artificializzazione del suolo, rispetto ai quali valutare la sostenibilità delle scelte di pianificazione. Un differente paradigma urbanistico in cui la valutazione delle funzionalità del suolo e dei servizi ecosistemici si integri direttamente nella costruzione di un processo di pianificazione ecologicamente orientato (Arcidiacono et al. 2018), condizionandone le strategie, indirizzandone le azioni di rigenerazione e incidendo direttamente sulle previsioni di trasformabilità dei suoli, limitando o impedendo nuovi consumi di aree libere, urbane ed extraurbane, e definendo misure e criteri di mitigazione e compensazione per gli interventi sostenibili.
Riferimenti
Arcidiacono A., Di Simine D., Ronchi S., Salata S. (a cura di) (2018), Consumo di suolo, servizi ecosistemici e green infrastructures: Caratteri territoriali, approcci disciplinari e progetti innovativi. Rapporto 2018 CRCS, INU Edizioni, Roma.
EC-European Commission (2016), No net land take by 2050? Future Brief 14.
Ispra (2021), Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, Report Snpa 22/21.