Partecipante alla consultazione: Istituto Nazionale di Urbanistica
Motivazioni del contributo proposto:
Riflessioni sulla materia e indicazioni sul testo di legge proposto
Premesse
Nell’esprimere apprezzamento per il tentativo di promuovere finalmente l’approvazione di una legge quadro sul governo del territorio - attesa da numerosi decenni, di seguito vengono svolte alcune considerazioni.
In generale, nel disegno di legge (ddl) in materia di governo del territorio, si riconosce l’esito di un ventennio di riforme, promosso dall’INU (Congresso di Bologna, 1995). Il ddl fornisce alle Regioni la opportuna “copertura”, relativamente a questioni come la perequazione urbanistica, la compensazione, la scomposizione del piano in componenti strutturali e operative.
Nel merito del portato del ddl, però, si ravvisano elementi critici, sia di sostanza che di forma.
Si deve rilevare che, al di là dei titoli (Titolo I: Principi fondamentali in materia di governo del territorio, proprietà immobiliare e accordi pubblico privato”, Titolo II “Politiche urbane, edilizia sociale e semplificazione in materia edilizia”) e della finalità generale (la legge intende occuparsi dell’intero territorio che “in tutte le sue componenti, costituisce bene comune, unitario e indivisibile”), mancano i contenuti fondamentali per il governo di tutte le componenti del territorio: insediamenti e infrastrutture, paesaggio e beni architettonici, aree agricole, aree naturali da tutelare, assetto idrogeologico e prevenzione da eventi sismici. Il ddl enuncia principi giuridici generali (sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, consensualità, partecipazione, proporzionalità, concorrenza, leale collaborazione, semplificazione e non aggravamento dei procedimenti) ma affronta prevalentemente il tema dei diritti edificatori e il ruolo della proprietà privata degli immobili.
Si deve anche rilevare che la possibilità di costruzione in deroga ai Piani, di modificare le destinazioni d’uso, di trasferire immobili in altra area senza specificare che essa debba avere destinazione “conforme”, oltre alla discrezionalità data a premialità e compensazioni, renderebbe la pianificazione un atto quasi superfluo, ma utile alla commercializzazione dei metri cubi individuati nei Piani.
Conviene, inoltre, prestare attenzione alle disposizioni che possono farsi rientrare tra quelle concernenti la disciplina della proprietà fondiaria o tra le norme di frontiera tra la disciplina stessa e la disciplina relativa al governo del territorio, nonché ad alcune disposizioni aventi ad oggetto la conformazione edificatoria mediante l’esercizio delle funzioni di pianificazione. A tal proposito si rileva che l’esigenza di assicurare “il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata la sua appartenenza e il suo godimento” (art. 8) risulta indispensabile in applicazione di principi costituzionali relativi alla proprietà stessa, che comunque, però, ne affermano la “funzione sociale”. Nel redigere l’art. 8 sarebbe occorso prestare maggiore attenzione a detta funzione sociale.
Comprensibile l’affermazione del “principio di indifferenza delle posizioni proprietarie” contenuta nella parte di detto articolo avente ad oggetto “la disciplina della conformazione della proprietà”. Ma la previsione secondo cui sarebbero da compensare tutte le limitazioni della proprietà privata che la pianificazione comporta e “che non hanno carattere generale etc.” non è condivisibile. In forza di tale principio si potrebbe ritenere legittima una non meglio precisata “compensazione” anche per limitazioni non conseguenti all’imposizione di vincoli ablativi. Quanto alla nozione di “categoria di beni” è da evidenziare che non chiaro certo risulta il riferimento a quelli di detti beni “posti in posizione corrispondente rispetto ai fini della programmazione territoriale”.
Inoltre, deve essere considerata una più chiara affermazione del principio secondo cui l’edificabilità discende dai piani e solo dagli stessi.
Infine, ma non ultima per rilievo, vi è la verifica di allineamento con la riforma proposta del Titolo V della Costituzione. Appare opportuno considerare che, in un futuro più o meno prossimo, potrebbe intervenire l’approvazione definitiva della riforma del Titolo V della Costituzione e con essa una modifica dell’art. 117 della Costituzione in forza della quale non si avrebbero più materie di competenza legislativa concorrente e rientrerebbe tra le competenze legislative statali la materia “norme generali sull’urbanistica”. Ci si chiede quale sorte potrebbe avere il progetto di legge in considerazione se, a monte della sua approvazione, prima da parte del Consiglio dei Ministri e poi da parte del Parlamento, intervenissero l’approvazione definitiva e l’entrata in vigore della suddetta riforma del titolo V della Costituzione.
A tal proposito è da evidenziare che non risulta chiara la distinzione tra “principi fondamentali”, la cui approvazione, per le materie di competenza concorrente di cui all’attuale comma terzo dell’art. 117, solo compete (rectius dovrebbe competere) oggi allo Stato, e le materie indicate nel suddetto progetto di riforma del Titolo V, come “norme generali sull’urbanistica” etc.
Il progetto in considerazione non contiene, peraltro, solo principi fondamentali relativi alla materia “governo del territorio” (che, se va in porto la suddetta riforma del Titolo V della Costituzione, ridiventerebbe la materia “urbanistica”). Come già la lettura del primo titolo del progetto suggerisce di far rilevare, esso contiene anche principi fondamentali “in materia di … proprietà immobiliare e accordi pubblico privato”. Anzi si riscontrano nello stesso anche principi fondamentali e norme relative ad altre materie:
norme rientranti nella disciplina della proprietà fondiaria appartenenti alla materia “ordinamento civile”,
norme riconducibili alla materia, avente contorni non ben definiti, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) ovverosia la materia “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”
alcune norme da assumere come norme relative oppure relative anche alla tutela dell’ambiente.
L’occasione offerta dalla considerazione del progetto ministeriale è da cogliere per indicare un’omissione di principi border line tra l’urbanistica e l’ambiente, relativi alla valutazione ambientale strategica di piani. In particolare sorprende l’esclusione del principio di sostenibilità dal novero dei principi per l’esercizio delle funzioni di pianificazione indicati nel terzo comma dell’art. 2. Forse, però, è stato (erroneamente) ritenuto sufficiente il cenno allo “sviluppo economico sostenibile” contenuto nel comma precedente.