Urbanistica INFORMAZIONI

Città metropolitane e Province, le potenzialità per il governo del territorio

Città metropolitane e Province, le potenzialità per il governo del territorio
Carlo Alberto Barbieri

Il processo di riordino del sistema delle Autonomie territoriali, avviato nel 2012 in Italia (dopo molte parole ed alcuni atti legislativi che nel 2011 ne avevano annunciato una futura confusa e contraddittoria messa in atto), ha avuto una forte accelerazione a partire dal mese di luglio scorso per merito del Governo Monti; un processo che subito dopo è stato reso operativo con la Legge relativa alla cosiddetta “spending review” (L. 135 del 7 agosto 2012) cui ha fatto seguito, nei tempi della procedura ivi prevista, il Decreto-legge del 5 novembre 2012, n. 188 ’Disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane’ che il Parlamento dovrà convertire in legge in tempo utile per le scadenze imposte dalla legge già dal 1 gennaio 2013 e fino al 1 gennaio 2014.
E’in corso dunque un percorso di procedure ed atti molteplici, sequenziali e complessi che con scadenze precise si concluderanno entro il prossimo anno e riguardano in primo luogo i soggetti direttamente destinatari di tale riordino e cioè le Province, le 10 Città metropolitane, i moltissimi Comuni italiani di piccole dimensioni oltre alle stesse Regioni (con azioni legislative, regolamentari e di sostegno-promozione). A ciò si aggiunge, ad opera del Governo, anche un brusco ridimensionamento del federalismo delle competenze e dei poteri delle Regioni, che nell’ultimo decennio è stato in vario modo conseguito e perseguito (anche con eccessiva enfasi retorica e molte contraddizioni) dai precedenti Governi. Un ridimensionamento che tuttavia necessita anch’esso di una nuova modifica costituzionale del Titolo V per potersi compiere nella sua portata e su cui è però indispensabile una riflessione, anche critica, più complessa, nei riguardi di un neocentralismo presentato come “di necessità” che sta caratterizzando l’azione del Governo
Proprio perché avviene a Costituzione invariata, non si tratta però soltanto di un “riordino” istituzionale ma di una prospettiva di cambiamenti (a meno di “pentimenti” di percorso e azioni di “contro-riordino”) di una portata tale da poter essere in assoluto i più rilevanti degli ultimi 40 anni (dall’istituzione delle Regioni nel 1970 e dalla Riforma delle Autonomie locali del 1990). In altri termini sembra possibile riconoscere nello sviluppo operativo di queste azioni elementi di riforma (che è naturalmente ben di più di un riordino amministrativo e razionalizzazione delle autonomie territoriali e di alcuni dei relativi costi pubblici). Anche se il movente principale, nel dibattito politico e nell’attenzione dell’opinione pubblica e mediatica, è stato (purtroppo) quasi esclusivamente quello della riduzione della spesa pubblica ed in particolare dei “costi della politica” [1], le prospettive di questo articolato cambiamento possono però (e devono) andare oltre.
Si tratta cioè di cogliere, da subito, le potenzialità di fondo a favore di una prospettiva in cui al più presto sviluppare un’innovazione e miglioramento del governo del territorio, della pianificazione e progettazione delle città e dei territori, della definizione e pratica di nuove politiche dello sviluppo locale, di maggiore efficienza amministrativa ed efficacia per i cittadini e le attività e dunque anche di competitività e concorso a indispensabili azioni di crescita sostenibile.
Prescindendo qui dalla problematica di una revisione delle competenze e dei poteri delle Regioni, tre sono i principali campi di questo percorso e processo da considerare.

1) L’istituzione delle Città metropolitane e la soppressione delle relative Province di Roma, Torino, Milano (con la Provincia di Monza), Venezia, Genova, Bologna, Firenze (con le Province di Prato e Pistoia), Bari, Napoli e Reggio Calabria, a partire dal 1 gennaio 2014 (a 23 anni di distanza dalla L. 142 del 1990 che le introdusse ed ad 12 anni dalla modifica del Titolo V della Costituzione che le inserisce nell’ordinamento della Repubblica).
Alle Città metropolitana sono attribuite, oltre a tutte le funzioni delle Province che esse sostituiscono: la “pianificazione territoriale generale” e delle reti infrastrutturali; la mobilità e viabilità; la promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale; la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché l’ organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano.
Con riferimento alla funzione di pianificazione, particolarmente adatte per questa nuova Istituzione del governo del territorio si possono ritenere sia la pianificazione strutturale che una pianificazione strategica, più che la “pianificazione territoriale generale”; una denominazione questa introdotta dalla legge 135/2012 e che sembra evocare i Piani regolatori o comunque un’ urbanistica regolativa e conformativa della proprietà, che appare invece un’opportunità da lasciare ai Comuni metropolitani.
Dunque alla Città metropolitana la pianificazione configurativa del territorio e di vision strategica per le politiche e le progettualità ed ai Comuni metropolitani, in coerenza ed interazione con tali pianificazioni, i piani operativi e gli strumenti regolativi. Si svilupperebbe così una articolazione più caratterizzata da una governance efficace e sostenibile della pianificazione, evitando il rischio di immaginabili resistenze ad una troppo radicale perdita di sovranità “urbanistica” dei Comuni a favore di un’ Istituzione appena costituita che faticherà a non essere percepita come sovraordinata o volta ad affermare una egemonia del Comune capoluogo.
Organi della Città metropolitana saranno il Consiglio metropolitano (opportunamente elettivo di secondo grado e dunque rappresentativo dei Comuni metropolitani) [2] ed il Sindaco metropolitano; lo Statuto della Città metropolitana stabilirà se il Sindaco metropolitano: a) sia eletto a suffragio universale e diretto; b) sia eletto di secondo grado (con le modalità stabilite per l’elezione del Presidente della Provincia); c) sia di diritto il Sindaco del Comune capoluogo.

2) Il riordino delle Province e delle loro funzioni, sulla base di due requisiti minimi quali la dimensione territoriale non inferiore a 2.500 Kmq e la popolazione residente non inferiore a 350.000 abitanti, con il conseguente dimezzamento del numero delle Province italiane (ma con l’assunzione di una dimensione che non può non rafforzarne il ruolo e l’operatività istituzionale a fronte di alcune delle attuali Province di più piccola dimensione ed un po’ improbabile più recente costituzione).
Le funzioni delle Province quali ’enti intermedi’ di area vasta sono: la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento e la tutela e valorizzazione dell’ambiente; la pianificazione dei trasporti in ambito provinciale, in coerenza con la programmazione regionale nonché la costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali; la programmazione e gestione dell’edilizia scolastica della scuola secondaria superire.
Gli organi di governo della Provincia non prevedono più la Giunta e gli Assessori e sono esclusivamente il Presidente ed il Consiglio provinciale (col sistema elettivo di secondo grado, anche se sarebbe auspicabile, come per la Città metropolitana, anche qui una forma “mista” e cioè con la elezione a suffragio universale del solo Presidente e di secondo grado per il Consiglio).
Nel riordino indubbiamente forte cui sono sottoposte le Province è però importante partire proprio dal positivo avvenuto riconoscimento del ruolo centrale della dimensione provinciale nella pianificazione e governance di area vasta e locale, in cui possono trovare affermazione i principi di adeguatezza e di autonomia amministrativa, fiscale e gestionale, nel momento in cui è necessaria una loro organica espressione e riorganizzazione.

3) L’esercizio associato obbligatorio di funzioni e servizi dei Comuni, con popolazione fino a 5.000 abitanti (fino a 3.000 abitanti se facenti parte di ex Comunità montane), mediante Unione di Comuni o Convenzione fra Comuni, da realizzarsi già dal 1 gennaio 2013 e da concludersi entro il 1 gennaio 2014, pena il commissariamento; con in primo luogo fra tali funzioni associate, la pianificazione urbanistica (che potrebbe finalmente riprendere una più idonea dimensione intercomunale avvalendosi del Piano strutturale dell’Unione, non conformativo della proprietà, e lasciando ai Comuni, in coerenza con esso, gli strumenti regolativi e gli eventuali piani operativi).

È importante ritenere che quanto fin qui sintetizzato possa ragionevolmente costituire un’opportunità ed uno scenario in divenire più favorevole:
per Province che siano più ’ente intermedio’ di quanto non lo siano forse mai state [3], per Unioni di Comuni e Città metropolitane che sappiano esprimere politiche e progettualità integrate volte al contenimento del consumo di suolo, alla rigenerazione urbana, al risparmio energetico, alla efficienza ed efficacia del sistema della mobilità, all’equilibrio ecologico ed ambientale, all’attribuzione di valori condivisi alle qualità della città e dei territori, ad una sostenibile e mirata fiscalità urbana.
per l’attivazione di progettualità dai territori locali in vista di auspicabili nuove politiche europee di crescita, coesione e sostenibilità energetico-ambientale catturando finanziamenti della Programmazione 2014-2020 (che saranno assegnati quasi esclusivamente a progetti secondo l’approccio Community Led Local Development-CLLD).
L’innovazione non solo delle dimensioni ma conseguentemente (deve essere così!) dell’assetto istituzionale-territoriale con le Unioni di Comuni, delle Province riordinate, delle Città metropolitane e soprattutto le nuove forme di governance che potrebbero svilupparsi, evidenziano proprio l’utilità transcalare di un nuovo modo di pianificare il territorio e le Città con Piani formati con la ’copianificazione’ in cooperazione con gli Enti che governano l’area vasta; cogliendo fino in fondo la portata innovativa e sostanziale sia della articolazione e distinzione fra componenti strutturali, operative e regolative della pianificazione, sia della ’Perequazione territoriale’, intesa come metodo ed azioni per facilitare scelte concordate tra comuni limitrofi (dal 2013 nelle Unioni e fra Unioni di Comuni) in tema di risparmio di suolo e riduzione delle esternalità negative sull’ambiente e il paesaggio, attivando forme di ’intercomunalità solidale’ e cioè giochi a somma positiva nello sviluppo locale, strumenti redistributivi che bilanciano costi e benefici tra i Comuni vicini.
Si tratta peraltro della sostanza di proposte sostenute e promosse nella loro sperimentazione dall’Inu ormai da un quindicennio che, oltre a risultare ancora lontane dall’essere realmente e sufficientemente conseguite nel loro significato ed efficacia, richiedono tuttavia una riflessione ed un aggiornamento, sia con riferimento alle numerose nuove leggi regionali della pianificazione, sia soprattutto alla ancora clamorosamente mancante legge nazionale di principi fondamentali del governo del territorio.

[1Ma è evidente a tutti che sotto questo profilo ed alla luce di ciò che riguarda il Parlamento e non poche Regioni, non sono le Province e neanche i piccoli Comuni o le stesse Città il problema principle.

[2A prescindere della dimensione della Città metropolitana sarà composto da 10 membri eletti tra i Sindaci e i consiglieri comunali dei Comuni della città metropolitana (garantendo così snellezza e rappresentatività).

[3Per più congrue dimensioni e mediante l’elezione di secondo grado, maggiormente rappresentative del proprio territorio ed efficaci nella sua pianificazione e coordinamento.

Data di pubblicazione: 25 dicembre 2012