È certamente necessario soffermarsi sulla urgente esigenza di una legge di riforma della pianificazione quale attività del governo del territorio, che doti il Paese di nuovi principi e regole. Da tali nuovi principi e (poche) regole è necessario che discendano leggi regionali che consentano di operare con maggiore efficacia nei rispettivi sistemi locali e nell’area vasta.
Una legge nazionale che informi leggi regionali per innovare l’ordinamento ed i contenuti dell’urbanistica offrendo un repertorio di strumenti utilizzabili nel campo del rapporto fra interesse generale e particolare e fra risorse pubbliche ed investimenti privati, così come nel campo del regime degli immobili, consentendo processi di decisione e pianificazione basati sul dialogo cooperativo delle istituzioni, rendendo più efficaci e flessibili i piani, favorendo un’operatività coerente al perseguimento di obbiettivi e valori condivisi per la conservazione, l’innovazione, la trasformazione e lo sviluppo del territorio e della città.
Il superamento della vigente legge urbanistica nazionale 1150/42 così come integrata dalla L 765/67 deve essere orientato alla definizione di principi volti ad introdurre almeno alcuni sostanziali caratteri innovativi:
nel sistema di pianificazione e delle prassi ad esso collegate, come quelli della sussidiarietà e cooperazione fra istituzioni e livelli di piano in luogo dell’attuale struttura verticale del sistema di tipo gerarchico e subordinato;
nel ripensare alla natura ed all’efficacia dei contenuti dei piani (auspicabilmente strutturali e strategici, regolativi, operativi);
nell’affrontare su basi concrete e realistiche questioni come quelle del regime degli immobili e della sostenibilità ambientale delle trasformazioni territoriali;
nel ridefinire il quadro delle dotazioni e dei servizi di welfare a partire dall’incremento della qualità insediativa urbana ma anche dal raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire sull’intero territorio nazionale e dei doveri dei soggetti privati e pubblici.
D’altra parte anche nella prospettiva regionalista rinforzata e sussidiaria, sostanzialmente già in atto, vi sono importanti competenze concorrenti, come quella del governo del territorio, che richiedono di essere regolate da leggi esito del combinato disposto di una legislazione statale (di fondamentale riferimento in termini di principi generali) e di leggi regionali di disciplina ed efficacia procedurale delle rispettive realtà; una soluzione che trova l’equilibrio di ogni contributo legislativo all’interno del principio di sussidiarietà.
Il sistema istituzionale italiano successivamente alla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 impone, ad una proposta di superamento della legislazione urbanistica nazionale vigente, di essere rigorosamente una legge di principi e di metodo generale della pianificazione; una legge con caratteristiche costitutive nei confronti di un’azione legislativa da parte delle Regioni, capace di valorizzare l’autonomia istituzionale e di governo del territorio regionale e locale, di sviluppare la sperimentazione, di valorizzare le differenze, di individuare quelle soluzioni idonee alle specificità e diversità dei territori.
Va riconosciuta la delicatezza del corretto rapporto che deve esistere tra legge nazionale di principi di governo del territorio e competenze e ruolo della legislazione regionale. Del resto, su un punto, e cioè sul ruolo centrale delle Regioni, sembra emergere una convergenza, così come sempre più ampio appare il riferimento ai principi di sussidiarietà, leale collaborazione interistituzionale e partecipazione come base logica e giuridica che lega i diversi attori del governo del territorio in Italia.
Un campo di riflessione e di lavoro che oggi appare, dunque, particolarmente importante riguarda la questione di un cambiamento dei rapporti fra livelli istituzionali di governo del territorio, dei loro processi decisionali e dei loro atti e strumenti di pianificazione e dell’innovazione profonda delle procedure relative.
Vi è una ragione più generale che attiene alla crescita in senso democratico e pluralista del governo pubblico del territorio nella quale si inscrive l’esigenza di uscire da una situazione in cui i soggetti istituzionali, invece che essere partners in un processo di pianificazione di tipo reticolare e cooperativo, competono (anche corporativamente) su ogni singolo atto di piano, per di più privilegiando uno stile di comportamento ed una sostanza di azioni in cui prevale ancora la ’cultura della procedura’ in luogo di una ’cultura dell’intervento’.
Sembra dunque necessario imprimere una nuova direzione di marcia, anche disciplinare, su cui misurare la maturità di un impegno tecnico e politico di riforma del sistema complesso delle regole per un buon governo del territorio.
Una base a partire dalla quale costruire quella legge nazionale di cui necessitano le Regioni per legiferare più autorevolmente ed efficacemente favorendo un’attività di pianificazione adatta alle sfide contemporanee.
Ciò che appare necessario è, quindi, da un lato sviluppare una riflessione sul tipo di legge nazionale di cui hanno bisogno sia il Paese che le Regioni e sul tipo di azione legislativa e di indirizzo di cui necessita il territorio; dall’altro, considerare la sperimentazione di piani e politiche in corso in alcuni Comuni, Città metropolitane (e forse qualche Provincia), avendo attenzione al tipo di domanda che tali sperimentazioni pongono, dal basso, ai principi, alle regole e all’azione di pianificazione e indirizzo di Stato e Regioni.
In particolare, alcuni fra nodi problematici, questioni e domande più evidenti su cui appare utile riflettere e agire possono essere schematicamente così evocati.
Di chi è il territorio da pianificare? Quello della Stato, delle Regioni, delle Città metropolitane e Province o dei Comuni (o anche e forse sempre di più delle Autorità, Agenzie, Società miste)?
Di quale territorio si tratta? Quello ’virtuale’ delle reti o quello reale degli interventi di trasformazione dello spazio locale?
Qual è il territorio della sussidiarietà? Quello della sua suddivisione in ’oggetti’ che competono ai diversi livelli istituzionali? Potrebbe essere una risposta plausibile, anche se è il territorio sulla ’frontiera’ degli oggetti che costituisce il problema e che molto più dell’altro richiede di sostituire la competizione corporativa sulla divisione dei poteri di pianificazione del territorio, con cultura ed azioni cooperative e di copianificazione.
Vi sono troppe istituzioni per governare il territorio? Il problema è mal posto (e concorre al permanere di una più generale abitudine alla difficoltà di decidere ed alla cultura del rinvio delle questioni complesse) e va invece affrontato nei termini di un pluralismo virtuoso in cui l’azione dei soggetti istituzionali assolve ai compiti propri degli enti territoriali e coopera per produrre ’valore aggiunto’ di governo del territorio.
È necessario un piano utile ed efficace: ma per chi? Oggi il piano è rivolto solo ’agli altri’, detta cioè regole al comportamento dell’iniziativa privata ma è assai più vago e ’variabile’ nei confronti degli interventi pubblici e della politica e delle azioni concrete dell’istituzione responsabile di quel piano.
È certamente necessario passare da un piano che esercita un’autorità pubblica spesso solo formale ad un piano che comprenda in modo trasparente ed utile per l’interesse generale una equilibrata negoziazione pubblico-privato e pubblico-pubblico, consentendo di valutare utilità ed efficacia di tali negoziazioni non soltanto sulla base del raggiungimento di qualche ’accordo’ ma della coerenza con i contenuti ’strutturali’ (costitutivi e fondativi) del piano e del perseguimento operativo delle strategie esplicitate.