La casa è tornata ad essere un tema centrale del dibattito, anche se non lo è ancora completamente delle politiche urbane. Emerge con grande evidenza la dimensione problematica intorno al tema casa e che riguarda da un lato la disponibilità di alloggi – il patrimonio pubblico è progressivamente diminuito – dall’altro la vetustà del patrimonio, dall’altro ancora la domanda di ’casa pubblica’ da parte di una fascia di popolazione più articolata rispetto al passato.
Federcasa parla di un patrimonio di 754.000 alloggi al 2022 in locazione Erp (Edilizia residenziale pubblica) vale a dire l’83% del patrimonio residenziale pubblico totale che somma varie proprietà pubbliche (comuni ed enti pubblici diversi). Circa la metà e cioè 400.000 alloggi realizzati tra il 1970 e il 2020 sono classificati ad elevato consumo energetico e le famiglie che vi abitano impegnano più del 10% del loro reddito per i consumi energetici.
Il patrimonio abitativo pubblico disponibile è diminuito nei decenni a seguito di operazioni di riscatto da parte degli affittuari, svendita ma anche un non utilizzo e un abbandono dovuto a problemi di manutenzione del patrimonio stesso, alla mancanza di risorse economiche per gli interventi, a volte, alla cattiva gestione. Le risorse economiche sono poche a fronte di investimenti cospicui ma serve soprattutto una chiara politica abitativa di scala nazionale, un investimento continuativo e non legato ad azioni episodiche e una tantum.
Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da questo punto di vista pur prevedendo importanti interventi per l’abitare, non ha considerato in maniera adeguata il problema ’casa’ e quindi gli investimenti e gli interventi risultano assolutamente sottodimensionati rispetto alle reali necessità del Paese.
La questione casa va però all’oggi pensata e tradotta in maniera diversa. Vanno cioè messi a punto strumenti di intervento capaci di confrontarsi con le necessità e con una domanda mutata rispetto solo a qualche decennio fa.
Una domanda che mette ora in evidenza nuovi bisogni ed emergenze, nuove domande da parte di una popolazione – la cosiddetta fascia grigia – in aumento, troppo ricca per un alloggio Erp e troppo povera per il mercato privato.
Diventa, quindi, prioritario ristabilire un finanziamento statale specifico in grado di rispondere al fabbisogno, e una politica per la casa capace di intercettare l’articolata domanda e declinare di conseguenza nuove soluzioni abitative innovative anche dal punto di vista progettuale. Interventi che devono saper leggere i bisogni che i diversi contesti esprimono e declinarli di conseguenza, poiché i problemi e le situazioni anche emergenziali che vivono le città dense e le periferie metropolitane, caratterizzate da una domanda crescente di casa pubblica e da una disponibilità contenuta di alloggi, si affiancano contesti che non esprimono le medesime problematiche, che manifestano una domanda più contenuta o più polarizzata.
È chiaro che il punto di vista che si propone mira a restituire un ruolo centrale all’operatore pubblico perché tuteli il diritto di tutti ad avere una casa, anche a coloro che non sono in grado di accedervi alle condizioni del mercato, e a riconoscere che il social housing – per quanto strumento da potenziare – non può essere visto come la soluzione al problema abitativo del paese.
La lettura dei fabbisogni deve accompagnarsi a un’analisi del patrimonio costruito ormai molti decenni fa e in risposta ad una domanda di casa diversa da quella attuale, il tema cioè della tipologia e del dimensionamento degli alloggi che costituiscono il patrimonio attuale impone di riqualificare l’esistente adattandolo ai nuovi nuclei famigliari.
Si è costruito un patrimonio per famiglie mediamente più numerose, mentre all’oggi la domanda è per appartamenti più piccoli, per persone sole, spesso per anziani rimasti soli e la sfida progettuale con la quale ci dobbiamo confrontare richiede capacità tecniche, investimenti mirati e collaborazione tra soggetti diversi, pubblici e privati.
Serve cioè un soggetto pubblico che si faccia interprete di una nuova stagione di edilizia residenziale pubblica capace di aumentare e significativamente il numero di abitazioni disponibili per poter soddisfare il fabbisogno dei ceti meno abbienti, a cominciare dalle persone che si trovano in condizione di povertà, ma anche che sia capace di rispondere alla domanda di famiglie e singoli che non vivono necessariamente in condizioni di disagio estremo ma che sono in estrema difficoltà a trovare e mantenere una casa.
Parallelamente vanno favorite soluzioni costruttive innovative e capaci di ridurre il costo degli alloggi, ad esempio, attraverso la cooperazione tra soggetti pubblici e privati in primis cooperative e i diversi soggetti del terzo settore, favorendo modalità di realizzazione in autocostruzione, ad esempio, mettendo a disposizione terreni pubblici.
Il pubblico dovrebbe cioè da un lato costruire e incrementare il proprio patrimonio abitativo, dall’altro favorire forme articolate di accesso alla casa e, quindi, cooperare per lo sviluppo di modelli di vera edilizia sociale a prezzi accessibili destinati a una fascia media di popolazione.
Le formule ci sono ma richiedono obiettivi condivisi e cooperazione e soprattutto una strategia politica sulla casa e l’abitare capace di incrementare l’offerta di alloggi a canone accessibile e sociale.