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Cambiamenti climatici

In IV di copertina
Land with dry and cracked ground
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Lo scorso anno, per l’Italia, è stato il secondo anno più caldo della serie dal 1961, superato solo dal 2022, e il decimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto alla norma.
Il 2023 ha fatto registrare il nuovo record della media annuale delle temperature minime giornaliere.
Nel nostro Paese la temperatura media ha superato di 1,14 °C quella del trentennio 1991-2020, un valore ancora più alto rispetto all’anomalia +0,86 °C registrata a livello globale sulla terraferma.
Le precipitazioni cumulate annuali nel 2023 sono state complessivamente inferiori di circa il 4% rispetto al trentennio di riferimento 1991-2020, con riduzioni più marcate nelle aree occidentali del Nord e del Centro, nelle Isole e nelle aree centro-meridionali di Puglia e Calabria, le aree del Paese che durante l’anno passato sono state soggette a persistenti condizioni di siccità.
In Sicilia sono stati registrati fino a 165 giorni secchi consecutivi i e in Sardegna e lungo la costa ionica fino a 100.
Sono alcuni dati dell’ultimo rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente sul clima in Italia, che riporta anche una panoramica degli eventi idro-meteorologici e meteo-marini più rilevanti e più critici che si sono verificati nel corso dell’ultimo anno.
I segnali, infatti, sono già riconoscibili e significativi e vedono l’intensificarsi di eventi estremi, il degrado dei nostri suoli, il ritiro dei ghiacciai, la modifica del ciclo idrologico e del livello e della temperatura dei mari, lo stress della vegetazione e degli ecosistemi naturali, gli impatti sul sistema agricolo, tutti campanelli d’allarme per un futuro sempre più a rischio per la nostra società e per l’equilibrio del Pianeta.
Già oggi, si stima che ricadano in aree potenzialmente inondabili, per uno scenario medio di pericolosità, l’11,8% delle famiglie, il 13,4% di imprese e il 16,5% di beni culturali, con conseguente impatto economico e sociale.
La progressiva impermeabilizzazione del suolo e la riduzione delle superfici di espansione delle piene aumentano la pericolosità e acuiscono le conseguenze dei fenomeni alluvionali.
Sono, quindi, sempre più inevitabili drastiche azioni di adattamento degli insediamenti e dei territori finalizzate a limitare la vulnerabilità dei sistemi esposti e rafforzarne la resilienza, prevenendo o riducendo i rischi associati ai cambiamenti climatici.
Le aree urbane devono essere i primi luoghi dove intervenire, anche in considerazione di quanto previsto dal recente regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Law), entrato in vigore il 18 agosto scorso e in base al quale tutti gli Stati membri dell’Ue devono assicurare, entro il 2030, il ripristino di almeno il 20% delle aree degradate terrestri e marine ed entro il 2050 di tutti gli ecosistemi.
Le prime stime fornite dall’ISPRA, nella nuova edizione dell’Atlante dei dati ambientali presentata il 30 settembre a Torino, riportano che complessivamente sono il 28,6% i comuni che saranno obbligati a ripristinare gli ecosistemi delle proprie aree urbane.
Si arriva a superare il 40% se, oltre ai comuni definiti come “centri e agglomerati urbani” dal regolamento europeo, si aggiungono anche i comuni “periurbani”, pari all’11,6% del totale.

Data di pubblicazione: 20 ottobre 2024