Le persone sono la vita delle città, le città sono fatte da connessioni, le connessioni sono alla base dell’inclusione, l’inclusione libera le persone, le persone sono la vita delle città, … Questa concatenazione assume un valore olistico introducendo in ogni passaggio anche il traguardo del benessere per tutte le persone. Una circolarità incrementale che determina il progressivo miglioramento della qualità della vita in città e territori. Tutto ciò in teoria, ma nella pratica no, e questo giudizio solitamente riscontra l’unanimità.
L’accessibilità per tutti decreta l’efficienza o meno dell’inclusione sociale ponendo al centro la persona con i propri diritti all’indipendenza, all’autonomia, alla diversità e a non essere discriminata. L’accessibilità a 360° però è un ambito complesso riguardando la condizione umana. I contesti coinvolti sono articolati, per citare i più significativi: si riferiscono agli spazi pubblici e a quelli privati; appartengono alla sfera personale e collettiva; vengono definiti dagli aspetti fisici, sensoriali e percettivi; rimandano alla cultura, al sociale, alla sanità e all’economia; implicano l’attenzione delle infrastrutture legate ai servizi, alla mobilità e più in generale all’abitare. L’accessibilità è considerata un sinonimo di vitalità. È nella vastità di questa dimensione che si generano le molteplici barriere nelle nostre città e nei nostri territori.
Le inefficienze fin qui descritte, nonostante la loro sintesi, evidenziano un quadro probatorio pesante che accusa il governo urbano e territoriale ma anche la cosiddetta società civile. Ambedue risultano i responsabili della scadente qualità della vita in particolare delle persone con disabilità, fragilità e marginalità.
È colpevole lo Stato per l’inadempienza di controllo dell’impianto legislativo – è sorprendente che molti osservatori esperti considerino l’Italia uno dei sistemi più pertinenti in materia di accessibilità per le persone con disabilità – è anche responsabile per la settorialità degli istituti preposti all’indirizzo delle politiche (disattenzione verso l’applicazione della Convenzione Onu, eccessiva burocratizzazione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità) che mancano l’obiettivo della visione a lungo termine capace altresì di guidare strategie di sviluppo inclusive e sostenibili. Sono carenti inoltre le politiche inerenti i sistemi regionali della pianificazione urbanistica e territoriale, che nonostante le strumentazioni da lungo tempo disponibili (Peba, Pau, Piani dei servizi e del Tpl, Pums, ecc.) non riescono a produrre realizzazioni integrate e multiscalari. Sono insufficienti anche le azioni degli enti locali che, pure laddove si basino su scelte e approcci virtuosi, faticano a risultare adeguate nelle risposte al carico rilevante delle richieste individuali e collettive espresse dal territorio.
Com’è possibile? La concordia generale, che comunemente si manifesta in tutti gli atteggiamenti dopo la descrizione di condizioni scadenti dell’accessibilità, è da ritenere una delle responsabili del degrado culturale-civile, infatti l’unanimità che diffusamente ottengono, per esempio, le leggi sul miglioramento delle condizioni di disabilità o i Peba – nelle istituzioni si può affermare che non risultano episodi di spaccatura tra maggioranza e opposizione sui provvedimenti inerenti l’accessibilità – può essere la soluzione migliore per lasciare immutato il tutto, come prima. L’indifferenza è il sentimento più ricorrente per non considerare problematico ciò che lo è soltanto per l’altro, cioè il diverso, la persona con disabilità. Un ulteriore aspetto che contribuisce al clima ‘passivo’ è radicato nella mancanza di ‘rete’ tra gli enti che vivono la disabilità dei propri aderenti come una competizione con quella degli altri per riuscire a ottenere maggiore attenzione e assistenza migliore, una sorta di ‘guerra’ interna scatenata dalla carenza di risorse/risposte storicamente presente nei servizi di welfare a tutti i livelli. Questo fenomeno purtroppo fa perdere forza alla visione strategica dell’accessibilità per tutti quale ambito complesso, multiscalare e integrato capace di incrementare il benessere in città e territori.
Eppure le motivazione che spingono a un cambio di paradigma da tempo possono essere individuate. Si sviluppano nuove economie laddove l’accessibilità, attraverso l’innovazione tecnologica dei dispositivi, degli ausili e di modalità fruitive, riesce ad accogliere potenziali di crescita in termini di occasioni e posti di lavoro misconosciuti sia per il settore pubblico (vantaggio competitivo delle città più accessibili, tanto più in un contesto, come il nostro, caratterizzato dal progressivo invecchiamento della popolazione), sia per il settore privato. Turismo accessibile da un lato (con processi di certificazione della qualità) e sviluppo di tecnologie abilitanti dall’altro (personalizzazione di servizi, percorsi di accompagnamento) sono, per esempio, dei campi d’azione importanti per l’attivazione di nuove imprese che facendo leva sul tema dell’accessibilità per tutti devono essere l’oggetto di specifici piani o programmi di rivitalizzazione e promozione alle scale urbana e territoriale. È necessario però avviare azioni integrate in grado di fornire prospettive, connettere le soluzioni ma anche fornire approcci, nella forma delle linee guida, [1] per i tanti e diversi luoghi e comunità in cui le azioni possono essere applicate.
Progetti per fruire spazi, tempi e servizi nella città accessibile consentono al più ampio numero di persone portatrici di diverse abilità di muoversi il più possibile in autonomia e sicurezza tra gli spazi e le attrezzature di uso collettivo, tra i luoghi dell’abitare e quelli in cui si esercitano le attività del vivere quotidiano. Occorre quindi progettare e/o ridisegnare spazi urbani e attrezzature fruibili, confortevoli, sicuri, gradevoli (alla vista, all’udito, al tatto, all’olfatto), divertenti, non ridondanti né invasivi; spazi non specificamente dedicati alle persone con disabilità, ma nei quali tutti possano sentirsi inclusi. Nelle operazioni di riqualificazione e rigenerazione dei territori esistenti l’accessibilità deve costituire un tema ricorrente e imprescindibile, una componente ineludibile dell’accezione più ampia di sostenibilità.
Strumenti per pianificare e programmare città più accessibili implicano di abbandonare la settorialità che ancora generalmente connota gli strumenti e le politiche in materia di accessibilità. Occorre integrare più efficacemente questo approccio progettuale nella pianificazione urbanistica generale, negli interventi di trasformazione così come in quelli di manutenzione ordinaria, e in tutti i procedimenti amministrativi attinenti alle mutazioni dello spazio urbano. È richiesto anche di lavorare alla messa a punto di standard prestazionali capaci di orientare gli interventi a un concreto miglioramento delle connessioni e della fruibilità di spazi aperti, percorsi urbani, sistemi di mobilità attiva. Non meno importante è la disponibilità di risorse per programmare (con continuità) e attuare (anche in maniera incrementale) gli interventi. Di fatto, tuttavia, al miglioramento della fruibilità di spazi e attrezzature già possono venire indirizzati molti e diversi finanziamenti nazionali ed europei. Negli strumenti di progettazione complessa e nelle operazioni di rigenerazione urbana, all’accessibilità va riconosciuto un ruolo cardine, anche attraverso specifiche valutazioni dell’efficacia delle trasformazioni in riferimento al miglioramento delle condizioni di mobilità, inclusione sociale, fruibilità estesa e inclusiva.
Processi per politiche integrate e interattive nei quali il tema trasversale dell’accessibilità riesca a costruire un dibattito permanente tra i settori preposti al governo del territorio, in primis quelli che si occupano di politiche e progetti spaziali. Perciò è richiesta la capacità – da parte dell’attore pubblico e di tutti i portatori di interesse coinvolti – di mettere a sistema conoscenze e campi operativi diversi: dall’urbanistica, al design urbano, all’architettura degli interni; dal welfare socio-sanitario, al governo e gestione amministrativa di spazi e servizi di interesse collettivo, alla mobilità e trasporti; dal recupero e valorizzazione del patrimonio storico, allo sviluppo economico. Per integrare i diversi settori di intervento i percorsi devono considerare le criticità dovute alla mancanza di sistematicità. Ne deriva che le singole iniziative spesso non hanno la capacità di darsi come pratiche ordinarie e replicabili. Per superare tali condizioni, al soggetto pubblico è richiesta una più forte azione di regia. L’accessibilità deve entrare a far parte dell’agenda programmatica del governo delle città e dei territori. Coerentemente, le amministrazioni (ai loro diversi livelli) devono assumere un ruolo di coordinamento e promozione attiva della pluralità di interventi e campi operativi tesi a rendere le nostre città accessibili a tutti. È indispensabile costruire processi di ascolto, partecipazione e comunicazione. Pratiche di interazione allargata devono diventare prassi corrente nella messa a punto di piani, politiche e progetti, dai primi sopralluoghi, alla pianificazione e alla progettazione partecipata delle singole soluzioni e interventi. Costruire città e territori accessibili a tutti non può infatti prescindere dall’organizzazione di occasioni di dialogo costante tra i tanti saperi, sensibilità e conoscenze dei molti attori direttamente coinvolti (persone con diverse disabilità, associazioni e cittadini; istituzioni a diverso livello, terzo settore e gestori dei servizi, operatori delle manutenzioni e dei lavori pubblici; professionisti e progettisti; operatori economici; ecc.).
Formazione per promuovere consapevolezza e supportare quella che si profila come una vera e propria svolta culturale. Investire sui percorsi di formazione costituisce una mossa strategica. Percorsi che si devono sviluppare a tutti i livelli: a partire dall’ambito scolastico-universitario; per proseguire con la formazione continua attraverso approfondimenti tematici rivolti a professionisti e imprese (come, per esempio, corsi integrati multidisciplinari per gli operatori/impiegati nel settore pubblico e nei servizi); sino alla creazione di occasioni periodiche per la divulgazione e la discussione di buone pratiche. Sensibilizzare e aggiornare le competenze sono le azioni diffusamente ritenute prioritarie. Accogliere la sfida di rendere le città accessibili a tutti significa sapersi confrontare con questioni di natura multidisciplinare. Nutrire e aggiornare le competenze dei tecnici del settore pubblico e dei professionisti privati costituisce perciò un passaggio fondamentale. Nuove sinergie devono essere attivate tra università, associazioni ed enti pubblici, al fine di praticare forme congiunte di formazione quali, per esempio, ‘tavoli’ composti da competenze e ruoli differenti. In questa direzione dovrebbe andare la realizzazione di attività preliminari alla concezione degli interventi, in cui operazioni di sopralluogo con tecnici delle istituzioni, professionisti e persone con disabilità si configurino come occasioni per condividere sia percezioni e linguaggi, sia e soprattutto le difficoltà connesse alla fruizione quotidiana della città, e quindi per riflettere insieme sulle misure più idonee a superarle.
Fare rete tra soggetti istituzionali, progettisti, associazioni, ma anche imprese e singoli cittadini, si configura come la mossa chiave per consentire la circuitazione delle esperienze, aumentare la visibilità delle singole azioni, accumulare le lezioni apprese e favorirne la replicabilità, costruire quel clima collaborativo indispensabile alla costruzione di interventi più efficaci. In tal senso, improntare la formazione anche all’organizzazione di laboratori esperienziali e/o progettuali (come passeggiate di quartiere, simulazione di vissuti in condizioni di disabilità, workshop partecipati) consente di mostrare con maggiore forza l’importanza di sviluppare interventi avendo prima definito insieme strategie di ascolto, confronto, gestione e monitoraggio.
[1] La Community Inu “Città accessibili a tutti” nel 2019, esaminando le oltre 120 buone pratiche sviluppate in Italia all’interno dell’accessibilità a 360°, ha pubblicato le Linee guida per politiche integrate in http://atlantecittaccessibili.inu.it/.