Dopo un lungo periodo di stasi, anche il nostro Paese sembra finalmente in grado di intraprendere una fase prolungata di cambiamento, che prelude molto probabilmente a quella transizione che nel dibattito politico degli ultimi mesi viene sempre più spesso richiamata per alludere ad un profondo mutamento del ruolo da consegnare alla scienza, alla tecnologia e alla innovazione nella organizzazione dei processi economici e sociali ed anche, perché no, nella trasformazione degli stessi sistemi insediativi.
Affidandosi al potere salvifico della conoscenza, una componente significativa dell’opinione pubblica sta maturando la consapevolezza che una nuova stagione di successo per il mondo delle imprese e per le politiche pubbliche può imporsi finalmente, facendo leva su un utilizzo disinvolto o, al limite, predatorio dei nuovi saperi. In altri termini sembra farsi strada la convinzione che il salto di paradigma evocato dalla transizione ecologica e da quella digitale possa svilupparsi all’interno del perimetro, in realtà piuttosto angusto, che è stato disegnato ispirandosi alla retorica delle smart cities e, più recentemente, dell’intelligenza artificiale.
In linea con questa tendenza ad operare drastiche schematizzazioni, è ormai diffusa l’opinione che una nuova cultura di governo debba ispirarsi alla cancellazione di quei fattori di complessità che possono intralciare la rapidità delle decisioni, e in questo clima è abbastanza evidente che le procedure della pianificazione territoriale ed urbanistica rischiano di diventare molto presto un perfetto caso di studio. c
Ma naturalmente semplici ricette o manuali di autoaiuto non possono rivelarsi sufficienti. È infatti evidente che in questa corsa alla semplificazione la salvaguardia delle differenze, delle tutele, delle interdipendenze e dei diritti è ormai messa a repentaglio, soprattutto se si affermerà il principio che le ‘regole’ sono comunque un intralcio, e che gli elementi di complessità che la modernità tende inevitabilmente a introdurre possono essere rimossi senza compromettere non solo l’intellegibilità del quadro di insieme [1], ma anche l’efficacia delle politiche pubbliche.
Prima ancora della disciplina urbanistica, è dunque il governo del territorio a correre maggiormente il rischio della marginalizzazione, proprio per la sua vocazione a costituirsi come attività conflittuale e complessa di utilità pubblica. Laddove la cultura della pianificazione tende inevitabilmente ad operare continue partizioni nella regolamentazione dell’uso del suolo e, di conseguenza, nelle strategie dei soggetti ed attori delle trasformazioni insediative, la governance territoriale esplica una funzione preminente di coordinamento e di orientamento generale degli attori che operano in un determinato territorio (istituzionali e non, pubblici e privati) e delle relative proposte, che in accordo con gli obiettivi dell’Unione europea punta a facilitare lo sviluppo sostenibile, a promuovere l’elaborazione e l’attuazione di coerenti iniziative territoriali e a favorire la coesione socio-economico-territoriale, lo sviluppo sostenibile e la competitività.
Se dunque il governo del territorio si candida a sostenere la costituzione di alleanze e di relazioni sinergiche tra le forze in campo, qualunque altra modalità di intervento che, nel nome della semplificazione, cerchi di limitare la numerosità degli indicatori da prendere in esame, proverà inevitabilmente ad imporre una rappresentazione della realtà piuttosto artificiosa, che proponendo una forte contrazione delle variabili prese in esame finirà per recidere quelle connessioni e quei legami che potrebbero ostacolare qualunque tentativo di frammentazione e di riduzione ai minimi termini della complessità.
In ultima analisi questo impulso alla settorializzazione si traduce, nella maggioranza dei casi, nella separazione della visione urbanistica dagli altri possibili sguardi che potrebbero metterla in contatto, a seconda dei casi, con il sistema economico, con le reti della mobilità o con l’ambiente. È altresì evidente che il prezzo da pagare per questa semplificazione rischia di rivelarsi molto alto, tanto che l’accelerazione dei processi decisionali potrebbe preludere ad un rapporto sempre più insoddisfacente tra la sfera politica e la dimensione tecnico-amministrativa delle scelte di interesse collettivo elaborate dalla pianificazione.
Come ho avuto modo di osservare in occasione di una tavola rotonda coordinata da Carlo Alberto Barbieri nell’ambito dell’ultima Biennale dello Spazio Pubblico su “Urbanistica ed economia della prossimità”, dissociare la lettura degli organismi urbani dallo studio della localizzazione delle attività produttive, dall’analisi degli aspetti logistici della distribuzione commerciale o dalla presenza delle destinazioni d’uso nei tessuti urbani fa sì che il ricorso alla nozione di prossimità possa rivelarsi troppo astratto, o addirittura privo di senso.
Fatta questa precisazione, la considerazione, nel governo del territorio, del tema della accessibilità o lo studio delle relazioni intersettoriali possono offrire spunti molto interessanti:
offrendo in primo luogo la possibilità di una rilettura dei rapporti centro-periferia, affiancando al criterio della distanza quello della contiguità;
facendo sì che per effetto di questo cambio di prospettiva la durata degli spostamenti possa acquisire un’importanza crescente, tanto da bilanciare l’impiego, altrimenti esclusivo, degli standard nel dimensionamento delle dotazioni urbanistiche;
dimostrando con chiarezza che l’intuizione della ‘città dei 15 minuti’ non chiama in causa più semplicemente la tecnica urbanistica e le discipline del progetto, ma prefigura l’adozione di un approccio integrato alla complessità urbana (Moreno et al. 2021).
Si può evidenziare a questo punto che questa nuova consapevolezza ci consente di affrancarci dagli errori compiuti dalla cultura urbanistica nei confronti del modello del quartiere, e del ruolo che quest’ultimo ha svolto nella storia della città. Se questa partizione del tessuto urbano aveva acquisito un ruolo essenziale nel piano razionalista, fino al punto da rappresentare la cellula elementare dello sviluppo di un insediamento, il processo di urbanizzazione ha poi pensato di poterne fare a meno, omologando i tessuti periferici e accrescendo l’asimmetria tra le aree centrali e il resto della regione urbana.
Giunti a questo punto si tratta ora di compiere a ritroso questa marcia sconsiderata che ha sfibrato una trama urbana che era stata via via indebolita e privata dei principali elementi di vitalità e di qualità. Facendo leva ad esempio sui rapporti di prossimità che sono presenti nell’organismo urbano, non solo per operare più semplicemente una revisione delle infrastrutture di trasporto e del sistema della mobilità, ma provando a ripensare alla struttura e alla forma degli insediamenti mediante un sistematico ricorso alle politiche e agli strumenti della rigenerazione territoriale e urbana.
Alla luce delle considerazioni che abbiamo appena proposto, non è possibile ignorare che una nuova disciplina della rigenerazione non può limitarsi ad una riqualificazione edilizia o al potenziamento delle dotazioni urbanistiche. Questa nuova strategia deve essere in grado infatti di associare a questa progettualità rinnovata misure ancora più articolate, in grado cioè di realizzare nelle aree di intervento alcuni importanti traguardi nel campo della transizione ecologica (verde urbano, desealing, pedonalizzazione, ecc.) e della giustizia ambientale.
Naturalmente è necessario rendersi conto che queste nuove sfide presuppongono la disponibilità, da parte degli enti locali, delle imprese e del mondo delle professioni, di competenze estremamente specializzate, e ancora non presenti nella pubblica amministrazione se non in modo episodico. Il nostro Istituto è consapevole di questo ritardo e intende fornire il suo apporto più qualificato, che prevede al tempo stesso un profondo rinnovamento dei processi formativi e della pratica professionale, e una riforma complessiva del quadro normativo, a partire dalla predisposizione di una Legge di principi e di regole generali per il governo del territorio e la pianificazione di cui stiamo elaborando una proposta articolata.
Moreno C., Allam Z., Chabaud D. Gall C., Pratlong F. (2021), “Introducing the ‘15-Minute City’: Sustainability, Resilience and Place Identity in Future Post-Pandemic Cities”, Smart Cities, vol. 4, p. 93-111.
Sunstein C. R. (2014), Semplice. L’arte del governo nel terzo millennio, Feltrinelli, Milano.
[1] Naturalmente non è così. Un utile riferimento è costituito, ad esempio, dal contributo di Cass R. Sunstein (2014), che dimostra che il sistema di regolazione, se ben congegnato, può migliorare in modo significativo il benessere dei cittadini.