I parlamentari eletti, anche quelli nuovi, conoscono le ragioni della crisi e del degrado di ampie parti del territorio italiano, così come conoscono i problemi per la messa in sicurezza del territorio e dell’ambiente. Conoscono anche le difficoltà nel reperire le risorse per intervenire sulle criticità e sulle emergenze che si determinano sia sul lato della difesa del territorio: terremoti, inondazioni, frane, …, sia su versante sociale: si pensi alla irrisolta domanda abitativa per i costi e la distribuzione che presenta l’offerta o alla qualità dei servizi disponibili nelle periferie più o meno centrali delle nostre città.
Conoscono i problemi, le cause, le risorse necessarie per intervenire, quello che i nostri parlamentari sembrano non conoscere, anche quelli nuovi visto i loro programmi elettorali (Contropiano di questo numero) sono gli strumenti per affrontare questi problemi, così come sembrano non interessati ad indirizzare verso questi le risorse pubbliche disponibili.
Più volte l’INU, fa parte della sua storia, ha cercato di orientare l’agenda politica dei governi centrali e locali ponendo il fuoco sulla necessità, oggi un obbligo visto l’esito del referendum del 4 dicembre 2016, di una legge di principi in materia di governo del territorio, come ci ricorda F. Oliva nel n. 156 di Urbanistica, e soprattutto proponendo un modello di progettazione urbanistica integrata incentrata sulla individuazione di prestazioni ambientali e standard urbanistici a sostegno dell’ugualianza sociale come afferma Silvia Viviani nella sua apertura in questo numero.
Conoscere per governare era il modello che proponevano Astengo e Campos Venuti, oggi sembra indispensabile avviare un percorso in grado di spacchettare la complessità delle criticità che interessano le città e i territori. Certamente tutto si tiene, ma certamente non è più possibile sperare che i problemi possano essere risolti come negli anni ’70 o forse ancora negli anni’90 del secolo scorso, con una legge.
Serve la predisposizione di un percorso a tappe (si dice anche road map) che si possa dipanare su di un orizzonte lungo e che pur con le limitate risorse disponibili sappia investire fondi pubblici e indirizzare quelli privati nella difesa del territorio e nella rigenerazione urbana, ambientale e sociale.
Al primo posto del percorso deve essere posta la difesa del territorio e delle persone che lo abitano, rileggendo e ripercorrendo i limiti che si sono evidenziati nella prevenzione prima e nella ricostruzione poi a partire dagli eventi più recenti dell’Aquila e delle zone interne delle Marche, Umbria e Lazio, ponendo attenzione e provando a legare:
la fragilità del nostro territorio con la fragilità delle politiche fin qui attuate e sull’uso delle risorse;
la fragilità sismica, ma anche idrogeologica con la fragilità demografica e socioeconomica;
le politiche e azioni di salvaguardia e di difesa del suolo con le politiche per le aree interne, con le politiche fiscali con le politiche di piano;
il sistema delle conoscenze accumulate in occasione della redazione dei piani strutturali con il sistema delle conoscenze che serve alla prevenzione e alla ricostruzione.
Al fine di predisporre un programma che come priorità strategica lavori per un Piano di Interventi per la messa in sicurezza di tutti i territori fragili del nostro Paese e che nel contempo individui:
le politiche urbanistiche per la ricostruzione in modo che gli interventi nei borghi e nei centri storici possano essere attuati legandosi al principio richiesto dagli abitanti: “dov’era com’era”, ma sapendosi adeguare alle identità dei luoghi e ai bisogni in un nuovo rapporto tra economia e sociale;
quale contributo i piani urbanistici sono in grado di dare alla conoscenza del territorio in termini di difesa del suolo, paesaggio e valori storico – culturali come fattori strategici della ricostruzione;
quali politiche per la rigenerazione bisogna attuare mentre si attua la ricostruzione;
quali strumenti economico e fiscali.
Il secondo punto attiene al programma di contenimento del consumo di suolo e allo stretto legame di questo con una strategia di rigenerazione urbana.
Tutti i dati sul consumo di suolo agricolo e naturale sono noti, così come sono conosciute le destinazioni d’uso che lo producono a partire dalle infrastrutture stradali e come questa erosione di risorse non più riproducibili sia in qualche misura “insensibile” alla crisi del mercato immobiliare. Pensiamo agli esiti del cosiddetto Piano Casa in presenza di una conclamata sovrapproduzione edilizia.
Solo una riconversione che metta al centro la rigenerazione è in grado di invertire questo processo, ma servono politiche e investimenti:
urbanistiche, intervenendo dove ancora si fanno i piani regolatori e dove non si fanno, per agire sulla produzione di rendita disinnescando i cosiddetti “diritti acquisiti” che non sono altro che valorizzazioni, che arrivano molto spesso da acquisizioni lontane, prodotte dalla decisione pubblica e attivando finalmente in modo compiuto la proposta di riforma urbanistica dell’INU sulla decadenza delle previsioni di piano, anche private oltre a quelle pubbliche come già avviene, non attuate;
normative, definendo un criterio nazionale che stabilisca in modo obbligatorio le modalità e l’attuazione dell’obiettivo di consumo zero entro il 2050;
finanziarie, le risorse necessarie per la rigenerazione urbana e territoriale sono sicuramente ingenti, anche perche interessano i gravi danni provocati in decenni di incuria e di politiche certamente non orientate alla qualità e alla difesa del territorio, pensiamo agli inquinamenti della stagione dello sviluppo industriale degli anni ’60 e ’70 dalla chimica alla siderurgia, oggi abbandonati spesso al loro destino e lontani da ipotesi di riconversione con i conseguenti lasciti in termini di bonifiche inattuate/inattuabili a cui si accompagnano degrado edilizio e processi di marginalità sociale e povertà;
amministrative e imprenditoriali, la riconversione delle aree dismesse in Italia, presentata come opportunità e occasione di rigenerazione urbana, economica e immobiliare, non è avvenuta. Costi, capacità del mercato, strumenti amministrativi e fiscali, compresi gli interessi delle società proprietarie di questi beni a cui spesso interessa solo il loro valore nei bilanci, una limitata capacità del settore edilizio tutto ancora orientato all’espansione e incentrato sulla costruzione di immobili nuovi con destinazione residenziale, sono motivi non marginali di questo insuccesso.
Oggi individuare il recupero delle aree dismesse e la rigenerazione urbana come il cardine di un processo dalle molte valenze economiche, imprenditoriali, sociali e occupazionali, oltre che ovviamente indispensabile per la qualità della vita e per la sicurezza nelle città impone di agire:
sulla fiscalità, chi e in che modo si pagano le bonifiche;
sul valore delle aree, quali prezzi di transazione e a chi vanno le valorizzazioni di piano (a chi non paga le bonifiche, a chi lascia il degrado e l’inquinamento?);
con investimenti pubblici in infrastrutture verdi e blu e in disinquinamento per rigenerare i “buchi e i vuoti urbani”;
sulla filiera del settore edilizio con processi anche di formazione occupazionale e imprenditoriale per attrezzarlo a questa sfida.
Il terzo punto attiene alla riforma urbanistica. Dagli anni 2000 abbiamo prodotto molte leggi regionali, regolamenti nazionali, qualche semplificazione edilizia e un tentativo incompito di riordino amministrativo di comuni, provincie e città metropolitane. L’esito è un ingorgo di leggi e strumenti che solo apparentemente si presenta come il “federalismo urbanistico”, mentre continua ad esistere la volontà di non affrontare la regolazione dei diritti edificatori e la perequazione urbanistica, competenze attribuite alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni. L’INU ha avviato con il Progetto Paese una rilettura della sua proposta di riforma alla luce dei profondi cambiamenti che hanno investito le città e i territori. La pianificazione urbanistica e territoriale non è un settore confinato negli aspetti edilizi-amministrativi, ma rappresenta, come ci dice la presente Silvia Viviani, il cardine per “il miglioramento della convivenza urbana e (…) di sviluppo locale e nazionale, grazie all’investimento nell’incremento complessivo di qualità del governo della cosa pubblica”. Per questo la legge per il governo del territorio rappresenta un interesse primario per la tutela del territorio e dei diritti dei cittadini.