Approfondire le origini del termine Aree interne (Ai) richiede un confronto con filoni di ricerca volti a definire i processi di marginalizzazione, isolamento dei territori, degrado del patrimonio naturale e culturale e sviluppo sostenibile locale.
I fenomeni della marginalità e perifericità vengono affrontati, attraverso il riconoscimento delle criticità, delle specifiche risorse territoriali e lo studio delle loro relazioni funzionali [1]. Quindi, già alla fine degli anni ’80, la condizione di area interna dipende sia da fattori fisici, che da processi di lunga durata, di comportamenti, attitudini e scelte di policy.
Questo concetto è ripreso nel 2013 con la Strategia nazionale aree interne (Snai), proposta dal Ministro Fabrizio Barca. La Snai, in linea con i principi della Politica di coesione europea, sviluppata a partire dagli anni ‘90 e, in particolare, con il “Libro verde sulla coesione territoriale” [2]], che intende fare della diversità territoriale un punto di forza, viene definita dall’Accordo di partenariato 2014-2020 [3]. Nel documento, le Ai vengono inserite come priorità di intervento, insieme a Città e Mezzogiorno, per lo sviluppo del Paese.
In “Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica di coesione territoriale” [4], si identificano Ai quegli ambiti geografici significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali, ricchi di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificati per natura e a seguito di secolari processi di antropizzazione [5]. Il carattere di “centro di offerta di servizi” è riservato a quei comuni, o aggregati di comuni confinanti, che sono in grado di offrire, simultaneamente, una serie di servizi che identificano la cittadinanza: istruzione (tutta l’offerta scolastica secondaria); sanità (almeno un ospedale con dipartimento d’emergenza e accettazione DEA di I livello); mobilità (almeno una stazione ferroviaria di categoria Silver).
Una volta individuati i poli, vengono indentificate Aree di cintura (distanza in minuti dal polo più prossimo inferiore a 20 min), Aree intermedie (tempi di percorrenza compresi tra 20 e 40 min), Aree periferiche (tempi di percorrenza compresi tra 40 e 75 min), Aree ultra-periferiche (oltre 75 min). Con questa classificazione, sono Ai il 60% del territorio nazionale, il 22% della popolazione e il 52% dei comuni italiani, con una media di 3.000 abitanti/cad. Si tratta di luoghi ricchi di risorse naturali, culturali e paesaggistiche e quindi particolarmente rilevanti nel riconoscimento di identità territoriali che diventano ancoraggi spaziali di comunità locali. La permanenza di comunità, in questa parte del Paese, ha una valenza strategica in termini di tenuta dell’intero territorio nazionale, perché molto di quanto accade nelle Ai ha ripercussioni sistemiche sul contesto [6].
A dieci anni dall’avvio della Snai, è possibile affermare che essa rappresenta di fatto una sperimentazione su scala nazionale di una politica place-based, orientata a uno sviluppo dei territori basato sulle risorse locali e sulla valorizzazione del ruolo delle comunità quali attori attivi delle trasformazioni territoriali [7]. L’idea-guida di fondo, alla base della strategia, è che lo sviluppo di queste aree risulta essere cruciale per l’intero paese e, per questa ragione, il problema va affrontato a livello nazionale tenendo conto della granulometria territoriale e delle possibili sinergie con straordinarie potenzialità, a partire dal sistema delle aree protette [8]. Obiettivo ultimo è il miglioramento delle tendenze demografiche in atto. A tal fine, la strategia si articola su due dimensioni: i) costruire le precondizioni dello sviluppo locale, ovvero mettere in atto tutte le azioni necessarie per dotare i territori interni di un’adeguata offerta di beni/servizi (istruzione, salute, mobilità) di base che influiscono direttamente sulla qualità della vita delle comunità; ii) avviare progetti di sviluppo locale, che agiscono direttamente sui fattori latenti di sviluppo dei territori e su temi catalizzatori e di grande rilevanza, legati anche (ma non solo) alle consistenti potenzialità di risorse nascoste che esistono in queste aree.
[1] Dematteis G., Magnaghi A., Magnatti P. (1983), L’Italia emergente. Indagine geo-demografica sullo sviluppo periferico, Franco Angeli, Milano.
[2] https://ec.europa.eu/regional_policy/en/2021_2027/ [https://ec.europa.eu/regional_policy/en/2021_2027/
[3] Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance. Documento tecnico collegato alla bozza di Accordo di Partenariato trasmessa alla CE il 9 dicembre 2013 (https://www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/ [https://www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/]).
[4] Forum Aree Interne. Roma, 15 dicembre 2012.
[5] Lucatelli S., Luisi D., Tantillo F. (2022), L’Italia lontana. Una politica per le aree interne, Donzelli Editore, Roma.
[6] Carrosio G. (2019), I margini al centro. L’Italia delle aree interne tra fragilità e innovazione, Donzelli Editore, Roma; Marchetti M., Panuzzi S., Pazzagli R. (2017), Aree interne. Per una rinascita dei territori rurali e montani, Rubettino, Soveria Mannelli.
[7] Barca F. (2020) “The place-based approach as a key challenge for protected areas and communities”, in I. Pierantoni, M. Sargolini, Protected areas and local communities. A challenge for inland development, List, Trento-Barcellona.
[8] Sargolini M. (2016), "Le aree interne: un monitoraggio critico", in Inu, Rapporto dal territorio 2016, INU Edizioni, Roma, p. 231-237.