Il Piano Casa del Governo è sostanzialmente fallito, i 59 miliardi d’investimento ipotizzati dall’ANCE non si vedono e anche i dati migliori riferiti a Veneto (12.000 domande) e alla Sardegna (5.000), per non citare i soli 232 interventi della Lombardia, dimostrano l’inutilità e l’inefficacia di uno strumento che, nato per “sostenere e rilanciare il settore edilizio”, aveva anche l’ambizione di rispondere alla domanda delle famiglie e risolvere il problema casa attraverso aumenti volumetrici. Ma il Piano Casa è fallito anche perché non ha saputo, e non poteva, dare risposta alle principali esigenze che esprimono le famiglie italiane e lo stesso settore edilizio; come osservato anche dall’Indagine Conoscitiva del mercato immobiliare realizzata dall’ottava Commissione della Camera dei Deputati, Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici, le priorità sono la carenza di abitazioni in affitto a prezzi sostenibili, i costi dei mutui, la crisi delle vendite e degli investimenti e la necessità di sviluppare interventi di ristrutturazione energetica. Molti, e Urbanistica Informazioni tra questi (vedi n.229/2010), avevano indicato i limiti prima ancora dei pericoli, di questo strumento; limiti di inapplicabilità per le caratteristiche, la distribuzione e non ultima la qualità architettonica e paesaggistica del patrimonio edilizio. A queste osservazioni erano contrapposte le stime: delle case in proprietà, delle tipologie edilizie e soprattutto della speranza che le famiglie (non si sa come praticamente) investissero i loro risparmi (non molti peraltro) in “una stanza in più”. Il Piano Casa, è finito in un flop, ma non è finita la cultura che indirizza l’azione politica nella distribuzione delle risorse nei confronti di azioni ideologiche e di bandiera piuttosto che investire nelle città e in quei settori: l’edilizia residenziale sociale, l’energia e la mobilità, che possono dimostrarsi in tempi non certo lunghi, anche se non immediati, capaci di generare risparmi e liberare risorse. Il Piano Casa viene ri-presentato e con una logica tutta centralista (cercando di liberarsi cioè dalla legislazione regionale e dalla attuazione comunale) si propone di superare le norme poste dalle regioni indirizzate a limitarne l’uso nei centri storici e nelle zone di pregio ambientale, favorendo invece una stretta relazione tra incentivi volumetrici e risparmio energetico. Una logica perversa che non solo non tiene conto che la materia è di competenza regionale e che non fa un bilancio del fallimento dell’esperienza recente, ma che serve ancora una volta a riportare tutta la questione dell’abitare che coinvolge le nostra città e i nostri territori, alla sola dimensione della casa, senza peraltro sostenere la crescente quota di soggetti che non riescono ad accedere alla casa con risorse proprie. I servizi insufficienti, la mobilità sempre più limitata al trasporto privato su gomma, gli spazi del lavoro, dai capannoni alle concentrazioni di uffici in zone produttive senza spazi verdi, i centri commerciali e gli spazi del loisir sono sempre più estranei e marginali ad una logica che alcuni anni fa avremmo chiamato della qualità e tendono invece ad assumere, quasi in un nuovo design urbano dalla monofunzionalità sempre più spinta, la sola dimensione immobiliare. E quando poi non ci sono più risorse, i privati sono in “crisi” o in “attesa” si ripropone l’intervento sulla casa attraverso condoni e piccole premialità.
Un paese che non ama le sue città potrebbe essere il titolo del film sulla politica urbanistica degli anni 2000. Una politica che premia la dispersione insediativa (l’ultima modifica della legge urbanistica del Veneto consente interventi in zona agricola a prescindere dal fatto che il proprietario sia o meno imprenditore agricolo ), che non investe e spesso contrasta il trasporto pubblico (si vedano le difficoltà e le lentezze nella costruzione di metropolitane e tram oltre al degrado e l’inefficienza del trasporto ferroviario locale) e che ha letteralmente abdicato a qualsiasi investimento sulla costruzione di spazi verdi, parchi urbani e servizi collettivi quali biblioteche, mediateche, spazi di incontro che rappresentano invece le nuove polarità di molte città francesi e tedesche. Sul tema energetico, come auspicato nella nuova rubrica di UI che prende avvio con questo numero, accrescere l’efficienza energetica territoriale significa innescare la più potente tra le leve oggi disponibili per innovare l’assetto delle città e dei territori e per mobilitare risorse finanziarie in larga misura private, generando al contempo rilevanti co-benefici ambientali e sociali in favore delle comunità interessate. Piano Casa contrapposto a Piano Urbanistico non significa il piano del fare contrapposto ai piani di carta, sono due strategie di cui la seconda non solo costituisce una prospettiva per il futuro , ma rappresenta un preciso ambito di investimento capace di attrarre risorse private e di valorizzare il capitale privato e sociale investito nelle nostre città.