Urbanistica INFORMAZIONI

Amministrare le città

Quando Giuseppe Campos Venuti nel 1967 scelse per il suo libro il titolo “Amministrare l’Urbanistica” lo fece, come dichiara nell’introduzione, per segnare una discontinuità tra la sconfitta della riforma urbanistica in parlamento e la necessità di un nuovo impegno a partire dall’esperienza maturata in particolare nelle città emiliane. Anche oggi ci sono una serie di segnali, anche di segno opposto, che ci portano a ripensare alle esperienze sviluppate negli ultimi dieci anni e soprattutto agli esiti dell’amministrare l’urbanistica nelle città italiane. La diagnosi dei mali delle città e dei territori è una operazione che gli amministratori locali hanno fatto con attenta precisione. Le leggi regionali di riforma a cavallo degli anni 2000 hanno certamente aiutato questo compito attraverso gli studi sulla difesa del suolo, la consapevolezza della necessità di contenere il consumo di territorio e i nuovi approcci al paesaggio. Alle politiche di vincolo e tutela si sono spesso affiancate tematiche e modalità nuove di leggere i temi da sempre irrisolti e sempre presenti in termini spesso emergenziali: le diverse domande abitative, gli spazi verdi assenti o residuali, il traffico e la marginalità del trasporto pubblico locale, la questione energetica come tema che riguarda la città e il territorio nel suo complesso e non solo i singoli edifici.
Una costante, a fronte di questa diagnosi sostanzialmente condivisa, è rappresentata però dalla incapacità/impossibilità di attivare politiche in grado di dare risposte a queste criticità, mentre la qualità della vita nelle città è in costante declino.
Il cambiamento che ha segnato le città è rappresentato dai processi che abbiamo definito con il termine metropolitanizzazione e che comprende:
- la riduzione dello spazio pubblico che è stato sostituito da un sistema connettivo costituito dal trasporto individuale motorizzato; la diffusione insediativa, rende infatti impossibile, l’uso di qualsiasi altra modalità di trasporto;
- i nuovi squilibri territoriali tra le parti interessate dalla diffusione insediativa e i centri, antichi o moderni, dove sono addensati i servizi e le funzioni di eccellenza, che ogni giorno attirano un numero rilevante di persone/automobili; squilibri che si tramutano in fenomeni di congestione e in nuovi carichi urbanistici;
- la continua occupazione di suolo extraurbano e la sua trasformazione in suolo urbano, con intensità e quantità notevolissime rispetto al passato,
l’acuirsi delle problematiche energetiche, già presenti nella città tradizionale, ma con la tendenza ad aggravarsi sempre di più nella città che si dilata sul territorio moltiplicando i consumi energetici.

Le leggi urbanistiche regionali in questi primi anni di attuazione e sperimentazione evidenziano, come era del resto atteso, luci ed ombre e certamente non sempre l’interpretazione che ne è stata data risulta soddisfacente. Tre questioni emergono sopra le altre.

  1. Le potenzialità progettuali e operative che stanno alla base del rapporto tra Piano Strutturale e Piano Operativo nella pratica non sono pienamente acquisite; si assiste addirittura a soluzioni che riproducono il Prg (direttamente prescrittivo e generatore di rendita) accomunando le scelte, i tempi e la scala operativa del piano strutturale e di quello operativo. Ne consegue l’incapacità di dare risposte credibili e praticabili; compito dell’amministrazione urbanistica è anche quello di tutelare le risorse e dare risposte ai fabbisogni senza che questo debba significare continuare a vendere il territorio.
  2. Nei confronti del rapporto tra enti cresce la “burocratizzazione e la cultura del mero controllo sempre più formale, giustificato dalla esigenza di omologazione di grafie e quadri conoscitivi, mentre sono ancora rari e limitati i casi di pianificazione associata e di area vasta capaci di affrontare le questioni emergenti alla scala in cui si presentano.
  3. I nuovi piani nati dalle leggi riformate devono affrontare una fase caratterizzata da ridotte espansioni e da significativi processi di riconversione di aree che hanno perso la funzione originaria. Queste caratteristiche, che sono parte delle ragioni che hanno sollecitato la necessità del processo di riforma, richiedono una attivazione progettuale nuova, capace di incrociare discipline che fin qui non dialogavano.

L’amministrazione urbanistica non si esaurisce nella più o meno efficace produzione di piani, l’estensione delle pratiche che vanno sotto le varie denominazioni di “progetto urbano” è un fenomeno in crescita che si alimenta in un progressivo svuotamento del piano urbanistico. Il governo senza piano è una pratica urbanistica molto diffusa soprattutto nelle città più grandi in quanto, a fianco di una reale difficoltà nella redazione di uno strumento diventato nel tempo sempre più complesso, consente una gestione delle trasformazioni urbane adeguate ai “bisogni” politici e immobiliari del momento
I nostri comuni sono però attestati anche su di un altro fronte di crisi, rappresentato dalla carenza di risorse da investire per il governo del territorio, che significa difficoltà di costruzione e realizzazione dei servizi pubblici. La fase politica che si è aperta con il voto alle amministrative e ai referendum pone una evidenza: bisogna scegliere, governare e amministrare. Il debito e la scarsità di risorse pubbliche sono una ragione in più che impone di scegliere e non un motivo per non investire. La sfida consiste nel contrastare la crisi economica e la crisi urbana con una azione comune che, come è stato detto al congresso dell’Inu, “Emerge con evidenza il problema delle risorse con cui contrastare l’insostenibilità e garantire la qualità della città italiana (…) consapevoli che le soluzioni non saranno di natura congiunturale, ma tali da prefigurare una radicale prospettiva di cambiamento”.

Data di pubblicazione: 7 luglio 2011