In occasione della sua prima riunione dopo il XXXI Congresso di Bologna, il Consiglio direttivo nazionale ha provveduto alla nomina delle cariche istituzionali e mi ha confermato Presidente dell’Inu per i prossimi due anni.
Dopo il mio primo mandato da presidente, che ha coinciso con un periodo molto difficile per il Paese e per le associazioni come la nostra, si apre una nuova fase in cui il lavoro culturale e i momenti di aggregazione – che negli anni della pandemia avevano registrato un’importante battuta d’arresto – potranno tornare lentamente alla ‘normalità’, ma senza dimenticare quanto abbiamo appreso durante il lockdown.
Anche se negli ultimi anni l’Inu è comunque riuscito a sviluppare un programma di attività particolarmente ricco e qualificato, in cui spiccava la presenza di iniziative di assoluto rilievo quali ad esempio la celebrazione dei 90 anni dell’Istituto e l’apertura del cantiere sulla riforma urbanistica e la legge di principi del governo del territorio, abbiamo dovuto modificare in molti casi la nostra agenda per tener conto della situazione di emergenza che si era determinata a livello internazionale a causa della crisi economica e sanitaria. Ma, soprattutto, siamo stati indotti a rinunciare in molti casi ad un’importante prerogativa dell’associazionismo, che punta da sempre a far leva sulla organizzazione di momenti di incontro e di conoscenza reciproca tra i soci, per diffondere il senso di appartenenza e la condivisione di un patrimonio comune di idee e di valori.
Naturalmente le misure di distanziamento ci hanno costretto a sperimentare reti di scambio e di collaborazione in remoto che ora potremmo abbandonare progressivamente, ma forse è più saggio combinare anche in futuro forme tradizionali e strumenti innovativi per una comunicazione integrata, che ci consenta di ridurre i costi economici e sociali della trasmissione di informazioni e documenti di ricerca, e del confronto tra punti di vista differenti.
Come la divulgazione affidata ai supporti informatici sta progressivamente rimpiazzando le pubblicazioni a stampa, e i webinar sostituiscono sempre più spesso i convegni e i seminari in presenza, un’accorta alternanza di incontri in remoto e di riunioni dal vivo ci consentirà di raggiungere più efficacemente gli obiettivi, che ci sono connaturati, di estendere la nostra rete di influenza e, al tempo stesso, di offrire alla nostra base associativa importanti occasioni di incontro e di scambio di esperienze.
Passando, a questo punto, dalla illustrazione delle questioni di ’metodo’ – che ci vengono proposte con insistenza dalla rivoluzione culturale imposta dal Covid, e dalla definitiva affermazione nell’uso quotidiano delle piattaforme digitali – al modo in cui queste ultime influiranno sulla attuazione della nostra agenda di lavoro, possiamo ipotizzare una intensificazione dei rapporti centro-periferia all’interno del nostro Istituto, soprattutto a vantaggio di quelle sezioni regionali che soffrono di condizioni oggettive di marginalità per ragioni geografiche, per l’esiguità del numero di iscritti o per la presenza, nel loro territorio, di una pubblica amministrazione che pratica poco l’urbanistica e non conosce sufficientemente l’attività dell’Inu.
In linea con questa intensificazione della collaborazione tra le principali componenti dell’Istituto, si inquadra l’attribuzione di un contributo fondamentale al Laboratorio INU Giovani, non solo in considerazione della più assidua frequentazione delle piattaforme social da parte delle nuove generazioni, ma anche tenendo conto della necessità di consolidare il ruolo di questo organismo quale soggetto attivatore di novità. Si tratta, a mio parere, di ipotizzare un organigramma che individui una sede intermedia tra l’Assemblea di INU Giovani e i suoi rappresentanti all’interno del Cdn, e che consenta un lavoro più strutturato mediante il ricorso a momenti di confronto e di sintesi. In questo modo il Laboratorio INU Giovani potrà configurarsi come un luogo di riflessione e di dibattito, nel quale affrontare con uno sguardo più fresco le criticità relative alla connessione, spesso problematica, tra i percorsi formativi e la professione dell’urbanista.
Analogamente, e riprendendo in sintesi quanto era già presente nella mia relazione alla Assemblea dei Soci di Bologna del 2022, si può ritenere che la messa in rete delle molte iniziative promosse dall’Inu e tuttora in corso di svolgimento ci consentiranno di avviare un censimento sullo stato delle conoscenze dell’Istituto, e sulla capacità e la volontà delle diverse Communities di collaborare alla realizzazione del nostro ambizioso programma di attività in virtù di un assiduo rapporto con i soci, e di un costante aggiornamento della nostra piattaforma web.
I risultati che verranno conseguiti anche grazie a questa attività di coordinamento dovrebbero convergere verso la selezione di un ventaglio di temi di comune interesse. Questo importante lavoro di sintesi narrativa potrà trovare una significativa valorizzazione nel Rapporto dal Territorio quale strumento fondamentale con cui rafforzare le reti di collaborazione con i produttori di informazioni (Istat, Ispra, ecc.), in uno scambio reciproco di conoscenze che l’Inu è in grado di restituire attraverso l’offerta di un contributo originale riguardante la rappresentazione territoriale dei cambiamenti in atto.
Fin qui la saldatura tra aspetti organizzativi ed elementi sostantivi del programma di attività dell’Inu è apparsa evidente, ma il lavoro che dovremo portare a termine nei prossimi due anni non può essere ricondotto unicamente alle opportunità, comunque significative, che ci sono concesse dalla transizione digitale. Nel rinviare i lettori all’elenco dei progetti che abbiamo messo in cantiere per il prossimo biennio (2023-2025) – e che può essere consultato nella mia ultima relazione ai soci – mi preme segnalare qui di seguito due questioni particolarmente rilevanti anche per la loro capacità di introdurre cambiamenti significativi nel nostro stile di lavoro.
Il primo tema è rappresentato senza dubbio dal “Cantiere” per una nuova legge di principi sul governo del territorio, e dalla consapevolezza che i risultati che riusciremo a conseguire in questo campo dipendono, oltre che dalla qualità delle nostre proposte – di cui abbiamo ampiamente discusso in questi mesi – anche dall’ampiezza e dalla solidità del sistema di alleanze che riusciremo a costruire con soggetti potenzialmente interessati a sostenere l’iniziativa dell’Inu. Faccio riferimento, in particolare, ad Ance e a Federcasa, con cui abbiamo avviato da tempo una concertazione, ma anche a Cnappc, Censu e Siu, con i quali abbiamo condiviso la fase iniziale del nostro percorso di studio e di proposta. Se riusciremo a guidare un fronte ’riformista’ così folto e articolato, anche i passi successivi potranno rivelarsi proficui, e saremo in grado di avviare una serrata consultazione con l’Anci e le Regioni subito prima di sollecitare un incontro con le Commissioni parlamentari della Camera e del Senato.
Ne consegue la necessità, per il nostro Istituto, di impegnarsi a fondo per far sì che il processo di elaborazione del nuovo testo di legge contribuisca alla individuazione di un terreno comune di dialogo tra e con chi prende decisioni significative, anche valorizzando il ruolo di intermediazione che le Sezioni regionali dell’Inu possono svolgere a vantaggio dei rispettivi territori. In tale prospettiva è necessario consolidare il rapporto di interlocuzione con le Regioni e con il sistema degli enti locali, con le associazioni e con gli ordini professionali al fine di aumentare la massa critica del fronte che intende sostenere la proposta di una Legge di principi.
L’ampiezza di tale coalizione dipenderà, in ogni caso, dalla nostra capacità di dimostrare che questo nuovo dispositivo non si propone unicamente di operare una fondamentale revisione e semplificazione del quadro normativo. Nelle nostre intenzioni il “Cantiere” dovrà occuparsi più concretamente anche di alcune questioni di emergenza nel campo della cura e della messa in sicurezza del territorio, e puntare al tempo stesso alla definizione di obiettivi e di perimetri riconoscibili rispetto a formulazioni ancora vaghe e retoriche sul tema della rigenerazione urbana e territoriale, sul contenimento del consumo di suolo e sull’aggiornamento degli standard urbanistici, lavorando alle diverse scale per chiarire le forme della leale collaborazione tra Stato e Regioni nelle materie concorrenti definite dal Titolo V della Costituzione.
La seconda questione che qui intendiamo richiamare riguarda invece l’assunzione di responsabilità, da parte del nostro Istituto, rispetto ad alcune impetuose trasformazioni che stanno maturando nel Paese, spesso in assenza di un rilevante coinvolgimento del talento visionario e delle competenze degli urbanisti. Laddove per lungo tempo il contesto italiano poteva essere descritto facendo riferimento al paradigma gramsciano dell’interregno, ovvero di un’attesa snervante di un cambiamento continuamente rinviato e di una sostanziale incapacità a mettere in moto l’innovazione, gli ultimi anni hanno registrato una veemente accelerazione dei processi di trasformazione e, in ultima analisi, della domanda di governo del territorio.
A fronte di questo improvviso cambio di passo, il compito dell’Inu
non sembra più quello di contribuire alla messa in moto di meccanismi ormai incagliati, ma piuttosto di leggere e interpretare la transizione, anticipando e orientando la percezione del mutamento. Oltre a fare in modo che le attività delle nostre communities forniscano contributi parziali, ma rilevanti e finalizzati, sui vari temi che riguardano il governo del territorio (clima, dotazioni territoriali, ecc.), si avverte l’esigenza di lavorare ad una sostanziale revisione delle conoscenze e delle responsabilità degli urbanisti, che dovranno dimostrare di essere pronti a partecipare attivamente al vasto programma di modernizzazione del Paese sospinto dal PNRR.
Se l’Italia ha bisogno di far leva su una nuova generazione di progettisti e di planners per portare a termine quell’ambizioso disegno di razionalizzazione e di rigenerazione urbana che attendiamo da anni, l’iniziativa dell’Inu in questo campo non dovrebbe farsi attendere. Partendo dalla originalità della sua base associativa – costituita, come è noto, da figure giuridiche e da soggetti individuali che operano nell’università, nella professione e nella pubblica amministrazione – puntiamo infatti a coniugare più strettamente l’innovazione dei saperi esperti con una nuova domanda di competenze specialistiche che la riforma del governo del territorio è destinata ad attivare.
Coerentemente con questa visione di insieme abbiamo istituito un gruppo di lavoro coordinato da Andrea Arcidiacono, e aperto ai soci Inu che operano nel mondo accademico, di cui si da notizia più approfondita nelle pagine di questa stessa rivista. Il suo compito sarà quello di mettere a punto una proposta che, partendo dall’individuazione delle nuove pratiche urbanistiche, proceda alla identificazione della domanda di nuovi profili tecnico-amministrativi che l’università dovrebbe preparare. Ne consegue pertanto che la formazione superiore ha la funzione di stabilire relazioni virtuose con la pubblica amministrazione e con il mondo delle professioni, al fine di tenere insieme la sperimentazione didattica e l’esperienza progettuale mediante il ricorso programmato a stage “pre” e “post-laurea”, a master e scuole di specializzazione e a viaggi di studio in Italia e all’estero.
Nel tentativo di affiancare alla formazione universitaria più tradizionale modelli formativi che si ispirano alla formula dell’educazione permanente o dell’apprendimento continuo (lifelong learning), non solo si può tentare di fermare il progressivo declino dei curriculum universitari in campo urbanistico, ma è possibile aprire un nuovo spazio di collaborazione tra le istituzioni accademiche e il mondo complesso e variegato dell’associazionismo e degli ordini professionali, mettendo a punto un progetto educativo a cui l’Inu può contribuire con impegno come ha già fatto in passato con la Fondazione Astengo.