A partire dal Pic Urban, la politica urbana europea sta funzionando da stimolo all’innovazione urbanistica italiana. Il ministero competente, che più volte ha cambiato nome in questo periodo ed oggi si chiama delle Infrastrutture e Trasporti, mantenne il ruolo di cerniera con gli enti locali continuando a riservare per sè questa funzione di impulso all’innovazione nonostante la riforma del titolo V della Costituzione l’avesse fortemente ridimensionato nei compiti. Di quella stagione ricordiamo i Programmi Integrati d’Intervento, i Pru, i Prusst, i Contratti di Quartiere promossi sempre con il significato di progetti pilota, una serie di sperimentazioni, basate su fondi limitati e assegnazioni degli stessi con procedure competitive, per selezionare proposte significative e creare casi eventualmente risolti in buone pratiche, dimostrative dei percorsi inediti.
Uno dei momenti di maggior coinvolgimento dell’Inu in questo processo evolutivo è simbolicamente rappresentato dal libro pubblicato da Inu Edizioni e curato da Paolo Avarello e Manuela Ricci. Un volume dal titolo “Politiche Urbane“ che svolge, in un momento chiave, una rassegna “dai programmi complessi alle politiche integrate di sviluppo urbano”. Non va sottovalutata la ricezione di questo testo non solamente per la sua capacità di diffondere delle pratiche che avrebbero potuto generare l’avanzamento delle amministrazioni locali e dei tecnici verso responsabilità di politiche di sviluppo a cui i comuni non erano avezzi, ma anche perché quella rassegna costituiva un primo, e forse rimasto tra i pochi, bilanci critici.
Sarebbe facile elencare ritardi, difetti, insuccessi accumulati in quel periodo e in quegli esperimenti; meno ovvio ribadire quanto possono ancora essere utili a comprendere gli aggiustamenti indispensabili per guidare il perfezionarsi di procedure e processi a cui non si può rinunciare dopo qualche facile entusiasmo e improbabili attese di rapide soluzioni. Sono gli eventi dei paesi più avanzati e che prima di noi si sono incamminati su quella strada a raccontarci come le politiche di contrasto alle diseguaglianze territoriali, alla segregazione, alla povertà, non riescono ad essere ancora definitivamente vincenti fino all’eliminazione del problema portando alla ricerca di continui aggiustamenti, cambi di strategie, esperimenti creativi.
Invece, nel nostro paese i parziali insuccessi, i limiti indotti dalla stessa difficoltà del problema trattato, sono stati utilizzati a pretesto per cancellare un dovere dello stato. L’ondata liberista ha derubricato le politiche urbane seguendo due direttrici ad essa care: la contrazione delle funzioni statali e il decentramento regionale. La loro combinazione si è risolta nell’esplosiva distruzione delle politiche urbane esposte alle difficoltà finanziarie delle regioni nonché ai divari che regionalmente si acuiscono.
Sulla base di queste premesse diventa urgente porre l’interrogativo se le città sono un problema nazionale oppure vanno relegate in un ambito locale. La chiarezza di una risposta in merito va richiesta perché anche con i primi risvegli d’interesse si nota come continui a pesare in modo ancora determinante quell’inerzia ben stratificata dai pluriennali approcci liberisti appena citati. Infatti, del recente Piano Città non solo va lamentato il rapido accantonamento né la modesta dotazione finanziaria, ma semmai è ancora più significativa una procedura fortemente decentrata, l’assenza di un chiaro indirizzo nazionale a confermare che si tratta di faccende che debbono vedersele i comuni. Ricomponendo i programmi non si riesce ad avere un insieme coerente e, pur volendo otturare il naso per non sentire l’odore stantio dei progetti tirati fuori dal cassetto dopo l’ennesima domanda di finanziamento andata perduta, certamente non si è in grado di riconoscere una strategia non unitaria ma neppure coerente.
Poiché questa insoddisfazione non si coglie negli ambienti scientifici, politici e tecnici in maniera forte, se ne deduce che l’esigenza di una strategia nazionale è tutta da dimostrare. Gli argomenti della competizione europea avanzati già con la caduta delle frontiere interne al continente sono ormai noti da decenni e, mentre toccano il cuore di popoli guerrieri come i francesi, i tedeschi o i britannici, producono poco effetto sulle popolazioni pacifiche come quelle italiche. Perciò è inefficace riproporli non solo per lo loro debolezza retorica, ma anche per un cambiamento della situazione tanto dell’assetto costituzionale del nostro paese quanto dell’organizzazione del territorio nazionale.
Per questo secondo aspetto viene immediatamente in primo piano la questione del ruolo delle città metropolitane, in via di costituzione, delle città medie e dei piccoli comuni con la tentazione di una selezione per definire una gerarchia di priorità e la concentrazione degli investimenti, ma rimandiamo a un’analisi meno sbrigativa per alimentare una strategia che si possa avvalere delle risorse rintracciabili nelle diverse taglie urbane. Ora dobbiamo stare attaccati all’importanza nazionale della politica urbana, ovvero alla centralità delle città nella vita del paese, al fatto che dentro di esse si inscrivono tutti o gran parte dei problemi della nazione.
Posso tralasciare la dimostrazione di un argomento che ha trovato già molte esposizioni per rivolgermi all’assetto costituzionale e agganciarmi all’obbligo della sicurezza nazionale attribuita nella piena responsabilità del governo. Il motivo per cui richiamo un tale argomento proviene dall’obbligo dei pianificatori di prospettare scenari di lungo periodo anche nell’analizzare questioni contingenti e proporre azioni a breve termine. Su quegli scenari si profilano gravi pericoli che ricadono pienamente nelle responsabilità del governo nazionale e richiedono una politica di prevenzione, come la crisi energetica, il riscaldamento globale, il dissesto idrogeologico, i danni alla salute provenienti dalle condizioni del territorio. A diverso grado di pericolosità e di urgenza ciascuno di questi temi si potrebbe analizzare nelle linee di tendenza e ricomporre in uno o più scenari dipendenti dalla variabilità e incertezza dei fattori in gioco per comprendere i livelli di rischio futuro.
Prima ancora di compiere un lavoro di questo tipo, comunque una conoscenza di indubbia necessità, non è difficile intuire come siano in gioco valori rilevanti centrali nelle competenze dello stato.
Se questa è la natura nazionale della politica urbana, ne derivano coerenti conseguenze nella scelta degli obiettivi e nell’elaborazione delle strategie, con la successiva articolazione di responsabilità, obiettivi e strategie secondo i livelli di governo e le ripartizioni dell’organizzazione della pubblica amministrazione.
Ne derivano anche responsabilità e selezione delle priorità per la ricerca tanto più necessaria quanto folto è il campo dell’incertezza che investe il campo delle conoscenze necessarie.
L’Inu ha offerto, nel prossimo mese di dicembre un foro dove convergeranno circa 400 ricercatori italiani e stranieri con l’intenzione che sia l’occasione per una ricognizione dello stato dell’arte e delle esplorazioni in corso. È un momento necessario ma non sufficiente e bisognerà continuare sui molti fronti del futuro delle città.