Come evidenzia il VI Rapporto di valutazione dell’IPCC, molti sistemi naturali e settori socio-economici stanno già risentendo dei cambiamenti climatici a scala regionale. A lungo termine, a seconda dello scenario di riscaldamento globale che si configurerà, si prevedono impatti che potrebbero essere significativamente più intensi di quelli finora osservati. Adattarsi agli effetti del cambiamento climatico è quindi quantomai necessario e urgente.
Se con gli sforzi internazionali volti ad implementare le politiche di mitigazione, vale a dire la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e il miglioramento delle attività che rimuovono tali gas dall’atmosfera (serbatoi di carbonio), si persegue l’obiettivo indispensabile di ’evitare l’ingestibile’, con le politiche di adattamento si mira a ’gestire l’inevitabile’.
L’Accordo di Parigi ha fissato “entro i 2°C, e possibilmente 1.5°C” la soglia critica da non superare in termini di incremento della temperatura media globale rispetto ai livelli pre-industriali, con l’obiettivo di evitare che le conseguenze dei cambiamenti climatici diventino difficili da gestire perché di lunga durata, estese su grande scala o addirittura irreversibili. Nello scenario più ottimistico, vale a dire in caso di successo dell’Accordo, le politiche di adattamento dovranno essere indirizzate a contenere ’solo’ gli effetti degli impatti già in corso, innescati da un riscaldamento globale già in atto, di poco superiore a 1°C. Tali impatti, di intensità e gravità comunque già evidenti nei nostri territori, sono destinati a protrarsi per i prossimi decenni, richiedendo perciò politiche di adattamento comunque incisive e di lungo termine.
In caso di mancato raggiungimento dei target sopra citati, alle politiche di adattamento spetterebbe invece l’arduo compito di contenere le possibili conseguenze di cambiamenti epocali che, a seconda dello scenario che si configurerà, potranno essere di vaste proporzioni e di intensità, ad oggi, ancora inimmaginabili con precisione. Come sostiene l’Intergovernmental Panel on Climate Change (2022) esistono, tuttavia, dei limiti all’adattamento che dipendono in parte dall’azione umana, come nel caso delle barriere politiche o finanziarie, ma in parte sono rappresentati da invalicabili confini dettati dalla fisica (es. innalzamento del livello dei mari), dalla biologia (es. capacità di sopportare determinate temperature), ecc. È quindi ragionevole supporre che ci sia una ’quota’ di danno, in particolare quella derivante dagli eventi catastrofici, alla quale non ci si possa adattare.
Mitigazione e adattamento sono, quindi, le due facce dello stesso obiettivo, quello cioè di contenere i rischi associati al cambiamento climatico, nonché politiche complementari ormai ugualmente urgenti e necessarie: quanto maggiore sarà il successo della mitigazione, tanto minore sarà l’esigenza di adattarsi e viceversa. Va considerato, tuttavia, che la mitigazione, senza l’adattamento, non sarebbe sufficiente a salvaguardare le nostre società ma, allo stesso tempo, l’adattamento, senza la mitigazione, risulterebbe in un’azione impotente.
Pur in mancanza di obblighi vincolanti a livello internazionale, e sulla scia di molti paesi europei, nel 2015 l’Italia si è dotata di una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici con l’obiettivo di elaborare una visione nazionale su come affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, comprese le variazioni climatiche e gli eventi meteo-climatici estremi, individuare un set di azioni ed indirizzi per farvi fronte, con il fine di ridurre al minimo i rischi (MATTM 2015). In attuazione della Strategia, nel 2023 è stato approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) con l’obiettivo di "fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socio-economici e naturali, nonché a trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche" (MASE 2023: 5). Il Pnacc mira, sostanzialmente, alla costruzione di un contesto organizzativo incentrato sulla definizione di una struttura e dei criteri di governance e sullo sviluppo delle conoscenze, attraverso: l’istituzione di un Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici; la definizione delle modalità di inclusione dei principi, delle misure e delle azioni di adattamento nei piani e programmi nazionali, regionali e locali (mainstreaming dell’adattamento nella pianificazione a tutti i livelli di governo del territorio); la definizione di modalità e strumenti settoriali e intersettoriali di attuazione delle misure del Pnacc ai diversi livelli di governo; il miglioramento e la messa a sistema del quadro delle conoscenze sugli impatti dei cambiamenti climatici, sulle vulnerabilità e sui rischi in Italia.
L’insieme di tali azioni cosiddette “sistemiche” rappresenta il presupposto fondamentale per dare attuazione alle azioni di adattamento nei diversi settori e ai differenti livelli di governance, attraverso la definizione di ruoli, responsabilità e priorità, fonti di finanziamento nonché individuando gli ostacoli all’adattamento di carattere normativo, regolamentare e procedurale da mitigare e, laddove possibile, da rimuovere (MASE 2023: 85).
MASE - Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (2023), Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
MATTM - Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (2015), Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.