Urbanistica INFORMAZIONI

Abusivismo

Il primo connotato dell’abusivismo (edilizio) è quello di una pratica dell’abuso estesa nello spazio e nel tempo, il che la fa segnalare come una componente non irrilevante delle dinamiche di trasformazione del territorio italiano, con una sua periodizzazione segnata da momenti di produzione particolarmente copiosa, alternati ad altri di rallentamento e quasi stasi; con connotati qualitativi differenziati su gamme molto estese che vanno dalle baracche alle villette al mare e perfino a ponderosi condomini; tutti, comunque, omologati sotto il medesimo marchio.
Torniamo alla radice dell’abusivismo, ovvero all’abuso. Si tratta di un vocabolo bifronte: da un lato segnala la violazione di una legge o di una regola di comportamento, di un codice etico di buone maniere; dall’altro segnala il vantaggio per il trasgressore, un beneficio che ne ricava dal comportamento illecito. Questo secondo aspetto richiama una volontà decisa, una attorialità determinata e sicura di sé, che spesso riscontriamo nella – paradossale – rivendicazione degli abusivisti, se non alla liceità della propria azione, perlomeno ad una possibilità di giustificarla, da cui il tanto discusso ’abusivismo di necessità’: infatti, la necessità conduce alla virtù.
Oppure, ci fornisce una delle chiavi interpretative dell’abusivismo, nelle politiche territoriali, di maggior prestigio, ovvero quella di essere la naturale conseguenza della ’mobilitazione individuale’, coscientemente assecondata dai governi che non intendevano impegnarsi con una politica della casa e che, con il medesimo approccio, lo hanno poi legalizzato con i condoni.
Fortunatamente su questo sfondo costante che ha dominato il dopoguerra si sono aperti squarci di riformismo attivo, sostenuto da poderosi movimenti, come quello che si è manifestato con la Legge 457/78 "Norme per l’edilizia residenziale": limitate parentesi, sebbene importanti nei risultati prodotti. Questa legge, che oggi ricordiamo per aver introdotto i Piani di recupero per i centri storici, ebbe il merito di mettere a punto una politica per la casa organica, graduata secondo diverse fasce sociali con misurati strumenti di finanziamento per l’edilizia convenzionata ed agevolata.
Quello che chiamiamo abusivismo è denominato con molti altri nomi che risentono dell’epoca e della geografia. Nel dopoguerra del boom economico e dell’inurbamento accelerato erano le baraccopoli, tra le più famose quella di Roma; in America Latina, intorno alle grandi metropoli come Città del Messico o Rio de Janeiro sono le favelas; più in generale, in ogni continente prendono il nome di slums, come traduzione in inglese di agglomerati fatiscenti, sebbene quest’ultimo vocabolo che si presta alla comunicazione globale nasce più da situazioni di degrado che non di illegalità. Infatti questi sinonimi, in termini di significato, ondeggiano tra diverse accentuazioni sia per la condizione oggettiva che per la prospettiva dell’osservatore e dell’analista: da estremo rifugio di derelitti a luogo e manifestazione di traffici illeciti e clientelismo politico.
L’urbanistica si trova pienamente coinvolta in questo spettro di posizioni con gradienti che vanno dall’insurgent planning di John Friedman e Leonie Sandercock, un apostolato di redenzione degli ultimi, inquadrata in processi di cambiamento anticapitalistici, fino al giustizialismo delle rigorose punizioni.
Il connotato dell’abusivismo è nettamente dispregiativo e, in questa sua declinazione, si presta a metafore altrettanto incisive. Nelle cronache, l’abuso ricorre per le violazioni del corpo femminile (o maschile), onde è facilmente trasponibile nella depredazione della madre terra, meritando una ripulsa altrettanto decisa. Con questi significati alimenta una militanza radicale e intransigente dove la connotazione di abusivo, quantunque superficiale ed omologante, equivale ad una condanna senza misericordia.
Di qui l’alleanza con la via giudiziaria, dove l’obiettivo non è la soluzione di un problema che affligge estesissimi territori, ma la condanna di comportamenti illeciti. Minore rilevanza ha la capacità di eseguire il verdetto di rimozione del danno arrecato (il cui effetto sul suolo è pressoché irrimediabile, anche con la demolizione).
Così quando l’urbanistica presta i suoi strumenti per proporre di dipanare la complessità di una realtà molteplice e variamente interpretabile, immediatamente attraversa la linea sottile del sospetto e del biasimo. Essendo nata per riparare i guasti dell’urbanesimo, come sosteneva Piccinato, si muove con quella duttilità pragmatica di conciliazione per ottenere il risultato relativamente migliore (non l’ottimo) con una attività di tessitura di interessi sociali – attenta all’equità ed ai deboli. Infatti, strumenti e soluzioni per ottenere la rigenerazione dei territori vanno strettamente condizionati dalle articolazioni locali dell’urbanizzazione e gli stessi obiettivi di greening o rinaturazione dipendono dalle condizioni ecologiche di contesto ed interne all’intervento. Per alcuni, tuttavia, questo lavoro di rammendo è solo interessata giustificazione del malaffare.
Quando il discorso pubblico cade su questi argomenti, allora gli urbanisti devono rivendicare la loro qualità etica come elemento di legittimazione del proprio ruolo sociale. E se la popolarità dei giudici assicura loro un’autorevolezza nettamente superiore, allora nelle pratiche e nell’opinione pubblica il medesimo traguardo si pone anche agli urbanisti.

Data di pubblicazione: 6 agosto 2023