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Rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del Paese

L’annuale Rapporto del Censis porta con sé una carica di attese sullo stato di salute del Paese che, il più delle volte viene sintetizzato dai media attraverso una formula o una metafora. Quest’anno l’attenzione si è appuntata sulla società “sciapa”, termine usato nel Centro Italia, ma che resta incomprensibile nel resto del Paese, soprattutto al Nord. Ci manca un po’ il “sale della vita”, la brillantezza, il senso ultimo di quello che facciamo, tanto da provocare disagio, senso d’ incompiutezza e infelicità. Ma questa è la sintesi impressiva di un ragionamento ben più ampio e di un’interpretazione, che riempie più di seicento pagine.

L’analisi sullo stato del Paese.
“Casa Italia” ha subìto uno smottamento soprattutto economico-produttivo i cui effetti sono leggibili nel deterioramento delle condizioni sociali. Lo scivolamento verso il basso si è fermato grazie all’azione di puntellamento e contenimento operato del tessuto tradizionale del Paese, dalle famiglie, dalle imprese manifatturiere internazionalizzate ma anche grazie alla resistenza del sistema aziendale minore.
Le famiglie continuano a operare secondo la precisa strategia di salvaguardare il proprio tenore di vita anche di fronte ad obiettive situazioni di disagio. Le difficoltà sono note: dal 2008 (settembre) quando è scoppiata la crisi simbolicamente rappresentata dal fallimento di Lehman Brothers al 2013 (settembre) gli occupati si sono ridotti di circa 1,0 milione, il Pil, a causa delle due recessioni (’08-’09 e ’12-’13), si è prosciugato di circa 118 miliardi di euro. Le conseguenze sulle condizioni sociali sono evidenti : riduzione del reddito disponibile delle famiglie, chiusure d’impresa, contrazione della domanda di lavoro, mancato ricambio generazionale nel mercato del lavoro.
La grande capacità di rivedere il modello dei consumi è certo il primo fattore in grado di mitigare il disagio sociale. E’ noto come in questi anni ci siamo abituati a ricercare i modi per realizzare acquisti ai prezzi più bassi, eventualmente rinviarli in attesa di tempi migliori o rinunciare a quanto non risultasse necessario. Il modello di consumo, in passato più influenzato da emotività e impulso, è ora ispirato, oltre che alla temperanza, anche a una più rigida programmazione, all’utilizzo combinato di internet (dove si accede alle informazione commerciali e alle occasioni) e alla ricerca di luoghi d’ acquisto più convenienti (dai discount fino ai mercati rionali).
Il secondo elemento che in questi anni ha mitigato gli effetti sociali della crisi è il perdurare, in Italia, delle reti di solidarietà familiari. La famiglia tradizionale è un ricordo del passato e l’invecchiamento della popolazione ha portato la dimensione media dei nuclei conviventi a superare di poco i 2 componenti. Se si considera invece la rete concatenata delle relazioni familiari di tipo intergenerazionale, la cerchia si allarga e il valore medio arriva a circa 9 familiari. E’ questa la dimensione dove operano i meccanismi di aiuto e sostegno, anche di tipo economico. Su venticinque milioni di famiglie esistenti in ben otto milioni almeno un componente riceve un aiuto monetario (che vale in media circa 300 Euro al mese).
La terza modalità che condiziona i comportamenti sociali è l’incertezza provocata da una rilevante instabilità del quadro istituzionale, soprattutto per quel che attiene tasse e tariffe, imposte, ticket sulle prestazioni sanitarie, trattamenti pensionistici. A chi non può spendere si unisce chi, pur avendo risorse, non può programmare il suo budget e quindi si astiene dal consumare. Come non pensare che se, alla misura (elevata) del prelievo fiscale, aggiungiamo anche la confusione normativa (basti pensare alla ormai ex Imu) consumi e investimenti ne risentano pesantemente. Infatti, cresce la propensione al risparmio a scapito dei consumi: crollata al 7,7% nel 2012 è oggi tornata vicina al 10% e persino i depositi bancari sono cresciuti del 4% per mantenere i risparmi liquidi.
Anche il tradizionale tessuto di piccola impresa ha mostrato una certa capacità di resistenza in tutti i settori. Alle chiusure di tanti negozi corrisponde un incremento del 23% del commercio on-line, la cessazione di attività manifatturiere di piccolo taglio ha come contraltare le PMI che esportano, l’artigianato diventa digitale, innova con le stampanti 3D o con l’invenzione di prodotti di qualità.
Abbiamo assistito, in passato, a molti passaggi critici della nostra economia cui ha corrisposto una vigorosa reazione sociale. Ma eravamo un Paese diverso protetto nei confini nazionali, e grazie a una maggiore autonomia potevamo meglio gestire i nostri difetti e le nostre virtù. Il maggior grado di interdipendenza dalle regole europee e dal mercato globale rende indispensabile un cambio di passo. Casa Italia puntellata nello smottamento ora va rimessa a nuovo, rinforzata e ricostruita.

Le energie affioranti per ripartire.
Nella società italiana abbiamo potuto rilevare quest’anno energie affioranti e soprattutto opportunità ove concentrare gli sforzi con appropriate politiche. Crescono le imprese fondate, gestite o rese dinamiche da donne, che , pur costituendo poco meno di un quarto del totale, compensano la riduzione di quelle “maschili”. Sono ormai presenti non solo in settori particolari come nella sanità, nell’assistenza, nel commercio, ma anche in comparti di punta come nell’agricoltura e nell’agro-alimentare, nella farmaceutica, nell’industria del lusso. Il maggior successo femminile deriva dal più elevato livello conoscitivo, ma non è estranea anche la trasparenza dei comportamenti e i riferimenti etici. Dobbiamo sempre ricordare che solo il 4% dei detenuti è costituito da donne.
Altrettanta soggettualità vitale esprimono gli immigrati: negli anni della crisi le imprese di italiani sono diminuite del 4,4% mentre quelle gestite da stranieri risultano cresciute del 23%.Circa 80.000 fra autonomi e imprenditori immigrati impiegano dipendenti (anche italiani) certo non senza contraddizioni o irregolarità.
Ma queste energie affioranti per potersi esprimere hanno bisogno del superamento di ritardi presenti nell’economia reale. Ripresa, sviluppo, non possono essere perseguite solo con logiche macro, di indubbia rilevanza ma anche fortemente condizionanti: l’inseguimento del necessario equilibrio di bilancio si sta dimostrando la principale causa della spirale recessiva che finisce per provocare tensione e paura. E’ indispensabile operare per rivitalizzare l’economia reale, agendo sui punti di debolezza che la caratterizza.
Il complesso di attività che convenzionalmente facciamo confluire nel comparto dei servizi rappresenta, in Italia, un’area in sofferenza. Una società immateriale, digitale, metropolitana sta avanzando grazie alla capacità di accrescere la potenza economica del terziario. Tutto si va trasformando rapidamente: il web marketing raggiunge il cliente, quel cliente determinato di cui si conoscono gusti e capacità economica; la finanza nel bene e nel male non esisterebbe senza la rete; ma la trasformazione è evidente un po’ dovunque dall’education, alla ricerca, dalla logistica ai media.
Il terziario italiano pesa sul Pil circa il 74% quanto nella media europea ma la sua composizione è più arretrata: incidono più che nei grandi paesi europei l’ intermediazione, la Pubblica Amministrazione, i servizi familiari, commercio e trasporti. Risultano invece più deboli: finanza, servizi collettivi, formazione e cultura. Inoltre, fra i grandi Paesi europei siamo quello a più bassa internazionalizzazione. La nostra bilancia commerciale dei servizi nel 2012, infatti , è in deficit per 4,2 miliardi di euro contro un avanzo di 90,1 miliardi di euro per il Regno Unito, 23,4 della Germania, 20,6 della Francia e persino i 4,8 della Spagna.
Ma la ripresa deve essere guidata dalle risorse “naturali” di cui ogni paese è dotato: lo sviluppo è sempre più basato sul “Resources Endowments”. Noi avremmo la cultura, i beni artistici e storici, ma non la sfruttiamo, tanto che in questo settore si contano in Italia circa 300.000 occupati mentre il Regno Unito ne ha 755.000, la Germania 670.000 e la Francia 555.000. Produciamo un valore aggiunto di circa 16 miliardi di euro, la Francia 27 la Germania 35. Se ci ponessimo l’obiettivo di produrre con una moderna industria culturale quanto nei grandi paesi europei, il nostro Pil aumenterebbe dell’1%.
A impedire questa naturale vocazione del paese c’è una verticalizzazione burocratica che impedisce l’autonoma iniziativa decentrata nelle istituzioni culturali; c’è diffidenza nei confronti del privato, unica possibile strada per incrementare gli investimenti. Neppure riusciamo a conseguire l’obiettivo educativo visto che questo tipo di gestione non attira gli italiani: sono solo il 20% i cittadini del nostro paese con una frequentazione alta o medio/alta dei luoghi culturali contro una media europea del 40%.

Il territorio leva per la ripresa.
Grandi eventi e trasformazioni territoriali concepite in modo innovativo possono costituire la leva per riprendere quota. Fra meno di due anni Milano ospiterà l’Expo 2015, poi nel 2019 una città italiana sarà Capitale europea della cultura, titolo cui si sono candidate ben 21 realtà territoriali italiane. Una probabile candidatura Olimpica di Roma sarà per il 2024 e, infine, certamente nel 2025 ci sarà un nuovo Giubileo. Ma non possiamo considerare gli eventi come un’occasione “one shot” per aumentare le presenze turistiche di breve periodo e litigare per realizzare, all’ultimo momento, un po’ di opere pubbliche pagate dallo Stato. Gli eventi sono ormai concepiti come interventi low cost, in grado di provocare uno shock cui devono seguire strategie successive di business.
Altrettanto vale per l’edilizia. Funziona per uscire dalla crisi a condizione che il costruire risponda a un progetto volto ad attrarre sedi d’imprese multinazionali, strutture dove produrre valore (centri di ricerca, centri logistici, etc.), migliorare l’organizzazione della mobilità, dotare il territorio di strutture in grado a migliorare le relazioni. Non c’è città europea che non operi in questo modo. In Europa la passata euforia immobiliare si è ormai trasformata in programmi articolati di valorizzazione del territorio al fine di dare slancio allo sviluppo economico-occupazionale e conseguire superiori standard di qualità sociale.
Potremmo pensare anche noi a definire almeno i punti essenziali di un programma non estemporaneo di rinascita attraverso un migliore assetto territoriale? Il Rapporto Censis prova a individuare alcuni possibili “capitoli”. Innanzitutto, realizzare e/o progettare le grandi infrastrutture europee, secondo lo schema rilasciato nell’ottobre 2013 dalla Commissione Europea che prevede di agganciare l’Italia al resto d’Europa con 4 dei 9 corridoi per i quali è a disposizione un finanziamento di 33 miliardi di Euro per il periodo 2014-2020 e l’emissione dei project bonds. Evitiamo di disperdere risorse e concentriamo gli sforzi su ferrovie e porti appartenenti alle priorità europee, prepariamoci seriamente ad attivare i meccanismi in grado di finanziare le opere e di catturare le risorse disponibili provenienti dalla Commissione Europea o dal settore finanziario.
E’ ,poi, necessario programmare l’intervento diffuso volto a salvaguardare il territorio, migliorare gli impatti ambientali, ridurre i consumi energetici. Anche in questo caso scegliamo per il prossimo triennio una priorità e su quella facciamo massa critica. Visto che in campo energetico sono già in atto politiche d’incentivo per l’ energie rinnovabili, puntiamo sul risparmio energetico diffuso delle abitazioni, sulla manutenzione, riqualificazione e trasformazione dell’edilizia scolastica e dei complessi per l’istruzione.
Una terza linea riguarda la casa e il sistema residenziale, che torna a essere problema socialmente sensibile. Bisogna rimuovere l’attuale ambiguità fra “patrimoniale”, fiscalità sul reddito da abitazione e copertura dei costi per servizi urbani, elementi che vanno tenuti separati. La confusione sul trattamento fiscale sta penalizzando il settore. Bisogna avanzare una proposta credibile e duratura volta principalmente a dare certezze agli investitori. Inoltre, vi sono provvedimenti di tipo congiunturale indispensabili anche sul piano sociale tendenti a favorire l’investimento per l’affitto che non si può limitare alla sola cedolare secca per gli attuali proprietari. In questo molto sta facendo in Francia la gestione Hollande.
Sulla casa bisogna ricostruire un centro pensante in grado di affrontare le diverse questioni e l’operatività dei diversi strumenti (quando c’era il C.E.R. i riferimenti erano più chiari). Ad esempio si potrebbe proporre un organo tecnico-politico a livello dell’amministrazione centrale – un’Agenzia nazionale per la casa - che riunifichi le competenze attualmente disperse.
Infine, va ripensata la riqualificazione del cuore dello sviluppo nell’era della globalizzazione, dell’ipercompetizione e della comunicazione che sono le città. Le città sono ormai lo specchio dell’economia: dove c’è obsolescenza, basso grado di rinnovo, dinamiche sociali rallentate, scarsi investimenti anche lavoro e benessere ristagna. Bisogna cogliere l’occasione del programma Destinazione Italia (che prevede misure per incentivare l’investimento estero sulle città) per rendere effettiva la possibilità di realizzare progetti urbani.

Conclusioni.
Possiamo, a questo punto, concludere che l’avvenire non è buio, solo si sia in grado di cogliere i segni del nuovo ciclo. Ma a rallentare e ostacolare i processi innovativi intervengono quei fattori extra-sociali ed extra-economici che restano una pericolosa miscela demotivante. L’avvitamento della politica rischia di non dare spazio alle energie nuove e positive, per difendere interessi predatori (magari ammantanti dalla patina modernizzante dei poteri tecnologici e finanziari) o parassitari (legati ai vecchi vizi italici di tipo corporativo) rischiano di farci tornare ancora più indietro lenti, pesanti, e statici.
Solo una cultura collettiva di sviluppo che premia la molteplicità delle energie affioranti, chi è competente, creativo, chi rischia e investe, chi studia e chi lavora potrà far accorciare la distanza fra un’Italia che ha tamponato la crisi e l’Italia che ricostruisce il suo futuro.

Data di pubblicazione: 25 gennaio 2014